Iran: la censura sui mezzi di comunicazione grazie a tecnologie fornite dai vendor occidentali

di Alessandra Talarico |

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Ahmadinejad

Le tecnologie utilizzate dal governo iraniano per controllare e censurare internet – tra le più sofisticate al mondo – sono state realizzate con la collaborazione di aziende tlc europee.

Come la Cina, anche l’Iran utilizza un insieme di tecnologie volte non solo a bloccare l’accesso a determinati siti o a disconnettere le connessioni internet, ma anche ad analizzare e monitorare nel dettaglio il contenuto dei pacchetti TCP/IP in transito per identificare contenuti ritenuti inopportuni.

 

Il cosiddetto ‘great firewall’ cinese utilizza routers di Cisco Systems e si basa su un sistema d’ispezione dei pacchetti che, una volta intercettata una parola chiave, reagisce inviando pacchetti ‘resettatori’ ai punti finali della connessione, la quale quindi dovrebbe essere interrotta.

 

Secondo il WSJ, invece, i sistemi di monitoraggio del traffico internet adottati in Iran sono stati forniti, almeno in parte, da Nokia Siemens Networks, una joint venture realizzata dalla tedesca Siemens e dalla finlandese Nokia. Ben Roome, il portavoce della società, avrebbe confermato la loro consegna al governo di Ahmadinejad nella seconda metà del 2008, nell’ambito di un accordo con l’Iran relativo alla fornitura di infrastrutture mobili, spiegando che la vendita di tecnologie per l’intercettazione delle comunicazioni è praticamente intrinseca alla vendita di tecnologie di rete.

 

La vendita di questo tipo di tecnologie all’Iran da parte di NSN era stata segnalata già lo scorso anno dal sito internet Futurezone: il governo le avrebbe fin qui utilizzate, ma non in maniera estensiva come nelle ultime settimane, in cui alta è salita la contestazione dei risultati elettorali che hanno riconfermato Ahmadinejad alla guida del Paese e in cui gli occhi del mondo sono stati tutti puntati sui tentativi del governo di bloccare l’accesso a internet e ai mezzi di informazione vicini all’opposizione.

 

Le associazioni a difesa dei diritti umani hanno spesso criticato le aziende occidentali, che si rendono ‘complici’ delle pulsioni censorie di molti governi fornendo loro i sistemi di monitoraggio delle comunicazioni, ma le società hi-tech si sono sempre difese sostenendo che fornire tecnologie per permettere alle persone, di qualunque parte del mondo, di comunicare, è meglio che lasciarle senza la possibilità di far sentire la propria voce.

 

Società come Skype, Google, Yahoo! e Microsoft, che hanno accettato di sottostare ai dettami di molti regimi in fatto di censura, hanno espresso la convinzione che la sola industria non può influenzare le politiche di un governo straniero su argomenti quali il libero scambio di idee, l’accesso alle informazioni e il rispetto dei diritti umani, nodi per i quali occorre piuttosto rafforzare il dialogo tra governi.

 

Per gli utenti, hanno sottolineato più volte, è meglio rendere i servizi più accessibili anche se non al 100%, perché alla fine essi avranno più informazione, anche se non proprio tutta.

Molti governi occidentali usano sistemi di filtraggio per impedire l’accesso a siti pedofili, nazisti, negazionisti. Aziende, scuole a altre istituzioni usano tecnologie di ispezione dei contenuti per difendersi da spam e virus, le famiglie usano i filtri per proteggere i minori da contenuti inappropriati.

 

Quando però i governi – e sono molti nel mondo – utilizzano in maniera intensiva queste tecnologie, con la scusa di proteggere la popolazione da attacchi terroristici o altri crimini e nefandezze, il discorso si fa più complicato: secondo Reporters sans Frontieres, dal 2001 l’Iran ha bloccato l’accesso a circa 5 mila siti internet. Nelle ultime settimane, nel mirino del governo sono finiti i social network, come Twitter e Facebook, e i blog, accusati di diffondere materiali inappropriati. I blogger, in particolare, sono stati inviatati a rimuovere qualsiasi contenuto ‘inappropriato’ per evitare ripercussioni penali.

 

Negli Stati Uniti, secondo il dipartimento di giustizia, l’FBI avrebbe abusato del Patriot Act (varato all’indomani dell’11 settembre per contrastare il terrorismo) per collezionare in maniera del tutto illegale informazioni riservate di decine di migliaia di cittadini.

 

Nei giorni scorsi, il governo cinese ha sospeso alcuni servizi Google – in particolare l’accesso ai siti stranieri – accusando la società americana di non fare abbastanza per contrastare il diffondersi di materiali pedopornografici.

Google, secondo il governo di Pechino, non avrebbe rispettato le leggi del paese e non avrebbe installato gli adeguati filtri per il blocco della pornografia.

La società, già diverse volte finita nell’occhio del ciclone per la sua collaborazione con il governo cinese, ha assicurato di “prendere costantemente misure contro i contenuti volgari, in particolare quelli che possono danneggiare i bambini” e di stare “incrementando i suoi sforzi per rimuovere i contenuti volgari”.

 

Le società hi-tech e molte autorità occidentali hanno criticato, nelle scorse settimane, l’intenzione del governo cinese di imporre ai produttori l’installazione di un software di controllo nei Pc.

Come effetto della protesta, sembrava esserci stato un passo indietro, ma in effetti non è affatto così, perché le autorità di Pechino hanno fatto sapere che, anche se il software ‘Green Dam-Youth Escort’ potrà essere disinstallato, la sua integrazione nei Pc venduti in Cina da luglio sarà obbligatoria.

 

Iran e Cina non sono del resto i soli governi ad attuare una stretta censura sulla rete e sui mezzi di comunicazione: secondo uno studio condotto da OpenNet, in 5 anni si è passati da un paio di paesi a ben 25 che praticano una censura imposta dal governo sulla rete.    

Lo studio ha scoperto attività censorie estremamente radicate in Asia, Medio Oriente e Nord Africa, dove i governi vietano l’accesso a informazioni relative alla politica, alla sessualità, alla cultura e alla religione perché ritenuti argomenti troppo sensibili.

 

La censura politica è inoltre praticata in maniera estensiva in Siria, Tunisia, Vietnam, Iran, Cina e Birmania. In Corea del Sud è impedito l’accesso a qualsiasi sito contenga informazioni sulla Corea del Nord e ai siti di separatisti ed estremisti, per motivi inerenti alla sicurezza nazionale, così come avviene anche in Birmania, Cina e Pakistan.

Nello Yemen, in Arabia Saudita e in Tunisia, si bloccano le informazioni di carattere sociale.