IPv6: il passaggio al nuovo protocollo è essenziale per il futuro del web, ma sorgono nuovi problemi per la privacy

di Alessandra Talarico |

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Ipv6

Ogni computer connesso a internet è dotato di un numero di identificazione, denominato indirizzo IP. Come in una città virtuale, gli indirizzi numerici sono utilizzati per localizzare le macchine collegate al World Wide Web e per identificare eventuali utenti illegali della rete.

E come per le targhe delle auto o i numeri telefonici, anche internet necessita il continuo ampliamento del numero di indirizzi disponibili: con la prevista crescita esponenziale degli oggetti e dei servizi collegati al Web, si pone infatti il rischio di un incombente ‘divario digitale’. Si teme infatti un veloce esaurimento degli indirizzi web disponibili, che potrebbero terminare – secondo molti autorevoli pareri – entro il 2010.

 

In base alle cifre fornite da alcuni ricercatori svizzeri, attualmente vi sono 1,2 miliardi di computer portatili e circa tre miliardi di persone collegate a Internet in tutto il mondo. Se anche gli oggetti si uniranno alle persone, saranno necessari trilioni di nuovi indirizzi e l’attuale protocollo non potrebbe gestirli in alcun modo.

In questione vi è dunque la capacità di un numero crescente di utenti di accedere a internet, in un futuro in cui gli oggetti e le persone rimarranno continuamente collegati al Web.

 

Gli indirizzi IP sono, tra l’altro, sempre più utilizzati anche a fini commerciali, perché essi consentono di elaborare profili dettagliati degli utenti Internet: combinando l’indirizzo IP e le query effettuate dall’utente su un qualsiasi motore di ricerca le aziende sono infatti in grado di identificare un consumatore virtuale e di adattare le loro pubblicità alle sue specifiche esigenze.

Le aziende sono particolarmente desiderose di ‘profilare’ potenziali consumatori in questo modo, mentre gli spot ‘su misura’ in rete cominciano a proliferare, anche perché risultano i più graditi dal pubblico.

 

E’ essenziale, pertanto, portare il nuovo protocollo internet l’IPv6 ovunque e favorire la graduale conversione dell’IPv4, per permettere a tutti i dispositivi abilitati di connettersi in rete.

 

Ma la transizione non è priva di problemi. In primo luogo, i router utilizzati per consentire ai computer di comunicare l’uno con l’altro devono essere sostituiti. Non si tratta di una rivoluzione, ma comunque di un passaggio che comporta nuove spese per gli operatori.

 

In secondo luogo, e cosa ancora più importante, con il passaggio all’IPv6 gli indirizzi IP potrebbero essere comparati ai dati personali e se ciò avvenisse, le società che utilizzano gli indirizzi IP per scopi commerciali sarebbero costrette a chiedere il consenso preventivo all’utente, pregiudicando così gli attuali modelli di business. Oggi, infatti, lo stesso computer può avere più indirizzi IP, uno per ogni connessione a Internet: col passaggio al nuovo protocollo, la situazione potrebbe cambiare completamente. Il numero quasi infinito di indirizzi che il nuovo metodo di calcolo dovrebbe mettere a disposizione, potrebbe infatti comportare l’attribuzione di un indirizzo IP unico per i computer, gli oggetti e per qualsiasi cosa venga collegata al Web.

 

Senza una transizione ordinata, dunque, l’attuale divario digitale potrebbe ampliarsi: di questo si è discusso nel corso di conferenza sul futuro di Internet organizzata dalla Presidenza francese della Ue a Nizza.

Parlando alla Conferenza di Nizza, Peter Hustinx – supervisore europeo della protezione dei dati (GEPD) ha spiegato che “…nel nuovo ambiente di IPv6, la tracciabilità dei computer e degli oggetti delle persone fisiche è destinata a crescere. In molti casi gli indirizzi IP sono già dati personali, sia quando sono fissi che quando sono dinamici, per il semplice motivo che gli ISP hanno sufficienti informazioni per collegare i dati a una persona identificabile. Con l’IPv6 la capacità di identificazione e profilazione è destinata a crescere. Se, dunque, vi sarà la raccolta dei dati personali, dobbiamo fare in modo che sia per motivi legittimi e che si applicano le adeguate garanzie”.

 

Anche la Commissione europea, nella sua comunicazione sull’IPv6, riconosce i potenziali rischi derivanti dal nuovo protocollo e si è impegnata a “monitorare le implicazioni sulla privacy e la sicurezza, in particolare attraverso la consultazione con le parti interessate, come le Autorità di protezione dei dati o quelle incaricate dell’applicazione della legge”.

 

Massimiliano Minisci di ICANN ha confermato che “con l’aumento esponenziale dei numeri IP disponibili, vi potrebbe essere una migrazione verso gli indirizzi fissi”. Tuttavia, ha sottolineato Minisci, la posizione dell’ICANN in merito a questo problema è stata neutrale.

 

Ma come funzione il meccanismo di assegnazione degli indirizzi?

 

L’ICANN, l’organismo che assegna nomi e numeri di Internet in tutto il mondo, offre pacchetti di indirizzi IP a cinque distributori (uno per ogni continente), che riallocano i blocchi agli utenti locali, compresi i fornitori di servizi Internet (ISP).

Gli ISP a loro volta distribuiscono questi indirizzi agli utenti. Quando un computer si connette al Web, riceve quindi l’indirizzo IP da un provider locale selezionato.

 

L’Europa, pur avendo investito 90 milioni di euro nella ricerca sull’IPv6 e potendo vantare la leadership per l’introduzione dell’IPv6 sulle reti di ricerca europee (GEANT), viaggia in ritardo rispetto alle altre potenze: in Giappone, NTT dispone già di una dorsale IPv6 pubblica, mentre la Corea, che ospiterà la prossima riunione ministeriale dell’Ocse sul futuro della web economy, si è impegnata a convertire le infrastrutture internet delle istituzioni pubbliche all’IPv6 entro il 2010 e a installare infrastrutture IPv6 in tutte le nuove reti di comunicazione.

 

Per colmare questo gap sul fronte delle nuove tecnologie internet, la Commissione ha chiesto in un recente documento l’impegno almeno dei primi 100 principali operatori europei di siti internet – enti radiotelevisivi o servizi di notizie online – per garantire l’accessibilità in IPV6 entro la fine del 2008.

 

L’obiettivo è quello di ottenere nel più breve tempo possibile l’aggiornamento al nuovo protocollo di tutte le pagine web europee, e potenzialmente globali, consentendo il passaggio al cosiddetto ‘internet delle cose’, in cui anche gli oggetti della nostra vita quotidiana saranno connessi in rete, aprendo la strada a innumerevoli servizi di cui oggi riusciamo vagamente a comprendere la portata. Pensiamo alle etichette RFID, agli abiti intelligenti, a nuove forme di gestione dell’energia basate su internet.

 

L’IPv6 – standardizzato già da 10 anni – come ha spiegato il Commissario Viviane Reding, offre infatti un numero di indirizzi nel cyberspazio “superiore al numero di granelli di sabbia su tutte le spiagge del mondo”.  Anche di fronte all’aumento esponenziale della domanda di indirizzi IP, dunque, il nuovo protocollo consentirà di lanciare applicazioni internet innovative e di non ostacolare la crescita del web che, restando così le cose, verrebbe invece seriamente compromessa.