Digitale terrestre: Manca (Isimm), ‘Switch-off troppo vicino per continuare a perdersi in discorsi incompleti. Serve uno sforzo congiunto’

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Enrico Manca

Riportiamo di seguito l’intervento di Enrico Manca, presidente Isimm, al convegno “Organizzare il mercato: il digitale terrestre nel sistema Italia” (Roma, 23 giugno 2008).

 

Sono ormai molti anni che il digitale terrestre è entrato nell’agenda politica del Paese. E questo convegno ci richiama al fatto che bisognerà affrontare tutti gli argomenti connessi alla transizione al nuovo sistema televisivo ancora per qualche anno, auspicabilmente non oltre il 2012.

Vorrei condividere queste considerazioni sgomberando il campo da tutti quegli scetticismi che purtroppo su questa materia continuano a persistere.

Non mi riferisco ai fondati rilievi di natura tecnica, pragmatica o procedurale che alle volte provengono da istituzioni, operatori economici e associazioni di consumatori. Questi rilievi appartengono tutti al necessario dibattito che può e deve portare a una migrazione con i minori attriti possibili. Mi riferisco piuttosto a quelle opinioni, spesso mascherate da posizioni “più avanzate”, che demoliscono la Tv digitale terrestre, in nome di sistemi alternativi, a torto ritenuti più efficienti. Piattaforme come il satellite o la IPTV sarebbero secondo costoro più adeguate.

 

Credo che posizioni di questo tipo non tengano conto della complessità legata allo switch-off in rapido avvicinamento. E non tengono conto neanche di un sano e onesto principio di realtà. Sono appunto le visioni di qualche visionario che non considera il semplice fatto che, mentre solo il 20% delle famiglie italiane è dotata di connessione ad internet, oltre il 97% possiede una televisione che, tolti i clienti delle piattaforme di Pay TV, ricevono il segnale televisivo per via terrestre.

 

D’altra parte non si capisce perché Paesi come la Germania, l’Inghilterra e la Francia, con una penetrazione di piattaforme alternative ben superiore alla nostra, abbiano imboccato la via del digitale terrestre, in una transizione che – è evidente a tutti – è di portata mondiale. Per quanto riguarda l’Europa, la data del 2012 – anche in seguito alla conferenza ITU di Ginevra 2006 – è ormai il punto di riferimento stabile per la gran parte dei paesi. Dopo quella data, sarebbe molto difficile riuscire a proteggere dalle interferenze internazionali i canali analogici ancora attivi.

 

È pertanto auspicabile, se non necessario, uno sforzo congiunto di tutti gli attori del sistema industriale, delle istituzioni – locali e nazionali – e delle associazioni dei consumatori, per gestire insieme questo delicatissimo passaggio.

 

Secondo una recente ricerca commissionata da DGTVi, in Italia sarebbero in circolazione oltre 8 milioni di decoder digitali terrestri, di cui un quarto integrato nei televisori di nuovo tipo. Se a questi aggiungiamo i 4,5 milioni dichiarati da Sky ed i due-trecentomila abbonati a servizi di IPTV, sfioriamo la cifra di 13 milioni di apparecchi televisivi digitali in circolazione.

Ciò significa che, considerando anche le famiglie in possesso di più di un apparecchio, restano almeno altre 9/10 milioni di famiglie italiane, circa il 40%, che hanno accesso alla sola Tv analogica terrestre. Ora, se la diffusione di apparecchi digitali terrestri proseguisse regolarmente ai ritmi assunti nell’ultimo anno (circa 3 milioni di unità), l’obiettivo potrebbe considerarsi a portata di mano. Ma sappiamo dalle esperienze internazionali che, man mano che cresce la platea di famiglie digitali, i ritmi di crescita tendono a rallentare. Per fare un esempio: nel Regno Unito la percentuale di famiglie “digitali” sfiora oggi il 90%, eppure il 10% rimanente rappresenta l’ostacolo più grande a uno switch-off totale, anche perché è composto dalle famiglie meno propense all’innovazione (quelle più anziane, quelle con un reddito minore, quelle meno scolarizzate).

Gli inglesi si sono dati altri quattro anni per convertire questo “zoccolo duro” costituito dal 10% della popolazione televisiva; noi, nello stesso tempo dobbiamo convertire il 40% della popolazione televisiva. Sarà pertanto necessario uno sforzo molto maggiore di quello – pur considerevole – profuso dal sistema britannico. Un compito arduo, la cui difficoltà mi permetto di sottolineare ancora una volta.

 

In questo contesto, esaurita la spinta del finanziamento al consumo dei decoder digitali terrestri, è necessario guidare l’adozione del nuovo sistema in altro modo, cioè rendendo la piattaforma digitale terrestre attrattiva per la qualità dei contenuti trasmessi. E qui il ruolo del servizio pubblico è fondamentale. Per questo saluto con favore – ma non nascondo un po’ di delusione per il ritardo con cui ciò avviene – il nuovo piano editoriale della Rai, che fa del digitale terrestre il perno dello sviluppo della nuova offerta televisiva in chiaro e generalista.

L’avvio di una serie di canali digitali, che combinano le logiche generaliste di una programmazione per tutti con l’esigenza di focalizzare i contenuti trasmessi su specifici segmenti del pubblico televisivo (RaiGulp per i giovani, lo sport e le nuove offerte ancora da lanciare), va nella giusta direzione.  Così come credo vada nella giusta direzione l’offerta sperimentale in alta definizione che, con una diffusione in chiaro, ripropone la Rai come azienda all’avanguardia tecnologica, apripista di nuovi settori di sviluppo della Tv, in grado di proporre contenuti di qualità superiore a quelli tradizionali, eppure in chiaro e per tutti.

 

La giornata di oggi ci permetterà di approfondire meglio le questioni appena accennate, facendo dialogare i punti di vista del mondo politico-istituzionale con quelli degli attori industriali e della ricerca. Vorrei aggiungere due sollecitazioni al dibattito che seguirà.

La prima riguarda il linguaggio della nuova Tv digitale. Credo, infatti che sia doveroso non limitarsi a proporre contenuti aggiuntivi a quelli trasmessi in analogico ma spingere anche sulla sperimentazione di programmi innovativi, fondati sulla partecipazione del pubblico attraverso l’interattività. E non mi riferisco a forme di interattività complessa, che – in questo caso, giustamente – sono meglio valorizzate da altri sistemi di comunicazione, come Internet e l’IPTV. Mi riferisco a un’interattività “povera” che però, proprio per questo può essere inclusiva, contribuendo a stimolare un nuovo uso del mezzo da parte di quelle fasce di popolazione per il momento escluse dai benefici del digitale su altri mezzi. Insomma, pur essendo la Tv digitale terrestre solo uno dei mezzi a nostra disposizione per contribuire a superare il digital divide tra le diverse generazioni, le diverse estrazioni sociali e culturali, rimane di gran lunga lo strumento più diffuso che abbiamo.

La seconda sollecitazione consiste in un invito a raggiungere la maggiore condivisione possibile di standard, tecnologie e soluzioni attraverso il sistema industriale. Occorre armonizzare le caratteristiche degli apparati di ricezione, sia di quelli in definizione standard, sia di quelli in alta definizione. Occorre armonizzare l’uso delle tecnologie broadcast per mobile, come il DVB-H o il DAB video (DMB-T), evitando l’inutile duplicazione di frequenze, soluzioni e apparati.

 

Il 2012 è molto vicino. Troppo vicino per continuare a perdersi in discorsi particolaristici e incompleti. È necessario allora uno sforzo congiunto e coordinato del sistema industriale, delle Autorità di regolazione, del Governo, e delle forze politiche tutte per ottenere questo traguardo storico. Mi auguro che questo momento di riflessione possa dare un contributo importante a tale percorso.

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