Costi di ricarica: intervento dell’Authority o Ddl. Si profila una ‘soluzione all’italiana’?

di Alessandra Talarico |

Bersani: ‘Se non interverrà l’Authority proporremo al Parlamento una norma che superi questo sistema’.

Italia


Telefonia mobile

Non una ritorsione nei confronti degli operatori, ma una garanzia per i cittadini, soprattutto quelli che consumano di meno ma sono costretti a pagare di più.

All’indomani delle dichiarazioni rese a Ballarò, il ministro dello Sviluppo economico, Pierluigi Bersani, chiarisce ulteriormente il perché dell’annunciato taglio ai costi di ricarica: “una pratica che va eliminata perchè è anticoncorrenziale e crea extraprofitti poco trasparenti”.

 

Il ministro ha spiegato che il governo aspetterà l’intervento dell’Authority per le tlc la quale, tuttavia, ha dichiarato di voler “tagliare” lo scalino “per le ricariche di taglio minore” e non di “abolire” del tutto una tassa illegittima, mentre il presidente dell’Antitrust, Giuseppe Catricalà, spera addirittura che la ‘moral suasion’ possa bastare per convincere gli operatori a eliminarla su base volontaria.

 

Una soluzione, come al solito, all’italiana? Speriamo proprio di no, perché anche se siamo uno dei popoli più appassionati per i telefonini, siamo anche gli unici al mondo a pagare i costi di ricarica. Il ministro sembra voler convincere sé stesso prima di tutti, sottolineando che l’Authority ha avviato a novembre un’indagine conoscitiva di cui dovrebbe rendere conto a breve e se non potrà intervenire per correggere il meccanismo, allora “proporremo al Parlamento una norma, all’interno del prossimo pacchetto sulle liberalizzazioni, che superi questo sistema”.

 

Nel caso poco auspicabile in cui non ci fosse alcun intervento dell’Agcom – per saperlo comunque bisognerà aspettare almeno la metà di febbraio – il governo procederà dunque con un disegno di legge, dal momento che – ha concluso il ministro, “riteniamo che un provvedimento di questo tipo debba passare l’esame del Parlamento”.

 

Una soluzione a questo punto necessaria, ma che farebbe sicuramente allungare di parecchio i tempi di intervento, “finendo per mettere incertezza in una procedura che le Autorita’ di Garanzia hanno avviato da tempo e che possono concludere con un loro provvedimento nel giro di poche settimane”, ha commentato il responsabile riforme della Margherita, Riccardo Villari.

 

E mentre i Verdi sottolineano che appena poche settimane fa il governo si era opposto a un emendamento alla finanziaria che prevedeva proprio l’abolizione dei costi di ricarica, le associazioni dei consumatori portano avanti l’illusoria battaglia per un intervento che sia retroattivo e preveda il rimborso ai consumatori delle somme indebitamente pagate in questi anni, pari a oltre 5 miliardi di euro.

 

Il vaso di Pandora dei costi di ricarica era stato scoperchiato sul finire dello scorso anno da una indagine conoscitiva condotta dall’Agcom e dall’Antitrust e durata ben 5 mesi a dispetto dei programmati due, dopo che le quasi 800 mila firme raccolte da Andrea D’Ambra e inviate alla Commissione europea erano passate pressoché sotto silenzio.

 

Se vogliamo, l’indagine ha un po’ scoperto l’acqua calda, riconoscendo che il contributo – da 1 ai 5 euro – che sborsiamo anche quando facciamo una ricarica anche di piccolo taglio non solo è rimasto inalterato nel tempo, ma nulla ha a che fare con i costi sostenuti dagli operatori per la gestione dei servizi di ricarica, rappresentando “una componente di prezzo inserita dalle imprese nell’ambito delle loro strategie di pricing”.

 

Le Autorità italiane sono giunte alla conclusione che la revisione, anche totale, degli elevati contributi di ricarica sarebbe un elemento utile per “garantire tutte le fasce di clientela, specie quelle economicamente più deboli”, oltre che per rendere le offerte più trasparenti e meglio comparabili, facilitando un consumo consapevole del traffico telefonico, con tariffe non più viziate da questo anomalo balzello tutto italiano, la cui rilevanza è tanto più significativa se si considera che la quasi totalità degli italiani (90%, contro una media europea del 50%) utilizza i servizi ricaricabili, mentre l’alternativa dell’abbonamento viene utilizzata quasi esclusivamente dalle aziende.

 

Il peggio tocca soprattutto a chi effettua ricariche di piccolo taglio, dal momento che il ‘contributo’ fa lievitare il prezzo al minuto di una telefonata di una percentuale costante: l’acquisto di ricariche di piccolo taglio comporta perciò un incremento del prezzo complessivo anche sensibilmente superiore rispetto a quello applicato per i tagli più grandi.

 

In base ai risultati dell’indagine conoscitiva dunque un intervento di “rimodulazione” sul contributo di ricarica dei cellulari restituirebbe alla concorrenza tutte le componenti di prezzo della telefonia mobile e potrebbe servire per ottenere in prospettiva rilevanti riduzioni delle tariffe.

Il business dei costi di ricarica lo scorso anno ha fruttato a TIM, Wind, Vodafone e H3G, ricavi al lordo dei costi per circa 1,7 miliardi di euro, corrispondenti ad oltre il 15% degli introiti complessivi delle SIM prepagate.

 

E mentre i consumatori continuano a pagare, rimbomba il silenzio assoluto dei gestori telefonici, quelli che, pur operando anche all’estero, impongono questa assurda tassa solo agli utenti italiani.

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