Italia digitale: mercato più accessibile e sistemi più liberali per sostenere le PMI 

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Innovazione digitale

di Ettore Ciancico

 

Da più parti il limite principale che frena lo sviluppo del settore dell’Information and Communications Technology viene indicato nella pletora (?) di piccole aziende. La valutazione che viene fatta sottolinea come questo porti a una inaffidabilità di prestazioni e a una eccessiva guerra di prezzi. Naturalmente tra i sostenitori di questa tesi troviamo le grandi imprese e le loro associazioni. Ma è così?

Prima di tutto non dimentichiamo che stiamo parlando di un settore composto da tre piattaforme digitali (telefonia mobile, pc/pc+Internet, payTv) che nei dieci anni tra il 1995 e il 2005 ha fatto registrare un andamento molto significativo. Infatti, secondo Niche Consulting, il numero di utilizzatori di una o più piattaforme digitali è cresciuto a un tasso medio composto pari al 29% all’anno per 10 anni. La crescita è stata particolarmente marcata per quanto concerne gli utilizzatori di Internet +72% e di telefonia mobile personale +45%, gli utilizzatori di pc sono cresciuti “solo” dell’11%.

 

Se è noto a tutti che siamo in testa come consumatori di telefonia mobile, come si colloca allora il nostro paese rispetto al resto d’Europa come numero di famiglie con pc in casa?

Nel 2002 avevamo davanti tutti tranne la Francia, nel 2004 siamo davanti a tutti tranne che alla Svezia. Circa il 60% delle famiglie ha un pc in casa, inoltre cresce il numero di quelle che ne hanno due, e oltre l’80% di questi è collegato a Internet. Certo questo dato si può anche leggere dicendo che il 40% non ha ancora il pc e quindi lamentarsi molto e stracciarsi le vesti, ma sarebbe forse una lettura un po’ strumentale.

Ritengo che si possa allora confermare quanto sottolineato sempre da Niche Consulting: L’ingresso di tecnologie digitali nella casa italiana è in atto da circa 10 anni, e in un decennio la convergenza digitale nella casa italiana ha compiuto passi da gigante. Due indicatori, in particolare, lo possono dimostrare. Il primo indicatore è dato dal volume della spesa per tecnologie digitali da parte della famiglia. Tale spesa è cresciuta a un tasso composto annuo del 22% all’anno tra il 1995 ed il 2004, ed è divenuta di conseguenza una importante componente strutturale della spesa complessiva della famiglia italiana; la crescita della spesa è stata elevata per tutte le piattaforme (piattaforma informatica +15%, entertainment digitale +15%), ma particolarmente marcata per la telefonia mobile +37%.”

 

Centra qualcosa questo con le piccole e medie aziende?

Da Federcomin rileviamo che il numero totale delle imprese italiane del comparto ICT è pari a circa 100.000 unità. Le imprese attive senza le situazione di criticità sono 77.300, 32.000 quelle strutturate (con addetti, dipendenti o indipendenti) e organizzate con la finalità di svolgere attività di impresa, 28.700 sono le forme societarie aventi dipendenti.

Guardando dentro questi numeri e soffermandoci maggiormente sulle aziende IT, vediamo che in Italia il numero complessivo di imprese attive ammonta all’incirca 85.000. Le imprese operanti nel comparto software e servizi nel canale IT, insieme rappresentano circa 75.000 unità attive (anno 2003).

 

Dall’analisi della distribuzione delle imprese IT in relazione alla classe dimensionale emerge che il 93,3% delle imprese operanti nel settore è costituito da aziende di piccole e piccolissime dimensioni, con un numero di addetti inferiori ai 10.

Dal confronto con gli altri Paesi per numerosità di imprese IT, siamo secondi soltanto al Regno Unito (152.000 imprese), ma per valore di mercato siamo superiori soltanto alla Spagna.

Per esempio, pur possedendo quasi undicimila imprese IT in più rispetto alla Francia, il valore del mercato, pari a 20 miliardi di euro, è di più della metà inferiore a quello francese, il cui valore si attesta a 48,1 milioni di euro. Se si considera il fatturato medio per impresa, si ha modo di constatare la primaria difficoltà strutturale dell’offerta IT: il fatturato medio delle imprese IT in Italia è pari a 266.667 mila euro, rispetto ad esempio ai 728.786 mila euro delle imprese francesi.

Un quadro che in termini economici è certo difficile.

 

Quale cura per questo paziente malato di nanismo, in crisi di astinenza da fatturato? Di fronte a una torta piccola circondata da bambini affamati, cosa fare?

 

Dice qualcuno: uccidiamo i bambini, togliamone buona parte di mezzo, tra l’altro non conoscono bene il mestiere e si accontentano delle briciole, e ridistribuiamo la torta tra i pochi rimasti.

Prima di arrivare a una conclusione  facciamo lo sforzo di sovrapporre le due letture.

Così come negli anni ’50 la chiusura di importanti fabbriche o la cacciata dai reparti confino di operai specializzati ma politicizzati, fece da volano per la diffusione della maestrìa operaia e al nascere di una diffusa classe piccolo-imprenditoriale, per lo sviluppo di quella industria diffusa del nord che ha dato gambe al boom economico, oggi la piccola e media impresa ICT è un formidabile strumento di penetrazione di cultura digitale nelle famiglie, come i dati sugli investimenti familiari confermano.

 

Unico strumento di formazione di cultura digitale per le giovani generazioni, che supplisce anche a quello che la scuola non fa, che ha unificato nei comportamenti e nei linguggi aree metropolitane e non, nord e sud. E’ grazie a loro se saremo capaci nel medio termine a non generare un digital divide interno e a superare quello con i principali Paesi industriali.

Allora invece di ridurre il numero di imprese e redistribuire tra poche, e grandi, la torta, non sarebbe meglio forse pensare come fare ad allargare la torta e a renderla più accessibile? Più mercato e sistemi più liberali sono la strada. Ma questo è tutt’altro discorso.