Privacy: si riaccende il dibattito sul Patriot Act in vista della revisione della legge

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Una legislazione attentamente redatta e considerata, che mira a sconfiggere le lobby etniche, così il Presidente Usa Gorge W. Bush definiva il Patriot Act, approvato in fretta furia dopo gli attentati dell’11 settembre per coordinare le attività di indagine contro il terrorismo.

 

In realtà, la legge che tra le altre cose autorizza il governo ad arrestare i sospetti anche in assenza di reato, a fermarli a tempo indefinito, a perquisirne le case senza mandato, a ispezionare i loro conti in banca, le loro biblioteche, la loro posta elettronica, ha però attirato molte critiche e non solo dei difensori delle libertà civili che ne hanno da subito sottolineato l’eccessiva invasività.

300 città e quattro stati ne hanno infatti chiesto l’abrogazione e organizzazioni come la National Lawyers Guild (Associazione nazionale degli avvocati) hanno presentato numerose denunce contro le azioni incostituzionali del governo.

 

Il dibattito sul controverso USA Patriot Act (acronimo per “Uniting and Strengthening America by Providing Appropriate Tools Required to Intercept and Obstruct Terrorism) si è riacceso negli ultimi giorni dal momento che parti della legge, approvata con maggioranza schiacciante (98-1) e sostenuta tra gli altri anche da John Kerry, John Edwards e Hillary Clinton, scadranno il prossimo 31 dicembre e Camera e Senato sono chiamati a rivedere almeno 16 porzioni relative anche alla sorveglianza della rete.

 

Le implicazioni sulla privacy sono in effetti considerevoli: in base al Patriot Act, ad esempio, i provider Internet o le compagnie telefoniche sono obbligate a  consegnare i dati personali degli utenti (inclusi numeri di telefono ed indirizzi email dei corrispondenti) anche in mancanza di mandati giudiziari, qualora l’FBI lo richieda. E ciò senza dover informare neppure il diretto interessato a fatto avvenuto.

Le forze dell’ordine, inoltre, sono autorizzate a installare i cosiddetti pen register e di dispositivi ¿trap and trace¿ (liste delle telefonate effettuate da un dato numero telefonico e dispositivi che tracciano le chiamate in entrata).

Anche prima dell’entrata in vigore del Patriot Act, l’FBI poteva servirsi delle ‘National Security Letters‘ (NSL) per ottenere, senza l’autorizzazione di un magistrato, informazioni sensibili dagli internet providers e da altri, ma poteva usarle solo nei confronti dei sospettati di terrorismo o di spionaggio, non per chiunque.

Ma non è solo questo il punto. Russ Feingold, l’unico senatore a opporsi alla legge si preoccupava in particolare degli effetti che essa avrebbe avuto sulle libertà civili degli immigranti ¿non quelli irlandesi o africani, ma gli arabi, i musulmani, gli asiatici¿

 

A questo proposito, il presidente dell’American Immigration Lawyers Association ha dichiarato: “…gli straordinari poteri di detenzione, basati su una definizione molto ampia di terrorismo, rappresentano una forte preoccupazione su cui terremo l’occhio aperto¿.

 

Le forze politiche Usa devono dunque cercare di rimediare alle polemiche, causate oltre che dalla incostituzionalità di alcune parti della legge, dalla eccessiva fretta con cui si è condotto il dibattito in aula e dallo scarso coinvolgimento del pubblico sulla peculiarità delle norme in discussione.

 

Lungo 342 pagine (tanto che per alcuni nessuno avrebbe avuto il tempo di leggerlo tutto), l’atto modifica 15 Statuti e permette all’FBI di ottenere i documenti senza richiedere un mandato del giudice. L’FBI non e’ nemmeno tenuta a specificare alle persone a cui si rivolge la procedura di ricorso in opposizione alle proprie richieste.

 

Dalle udienze già effettuate per discutere della revisione della legge, sono emersi particolari illuminanti: ad esempio che la polizia avrebbe invocato il Patriot Act 108 volte in 22 mesi per giustificare l’intrusione in computer privati e aziendali senza averlo notificato al proprietario.

Mai utilizzato, invece, l’articolo 215 ¿ uno di quelli sotto revisione ¿ almeno nella sua estensione che consente di poter seguire i movimenti del sospettato ­ fino al punto di controllare i libri presi in prestito in biblioteca. 

 

La polemica mette in risalto come ancora una volta Usa e Unione Europea siano distanti nel risolvere questioni basilari per la libertà e la dignità di una persona.

¿Gli Usa tendono a legittimare, in forza di un interesse supremo (di sicurezza globale e di lotta al terrorismo), una compressione sempre più forte dei diritti fondamentali di libertà individuale e di riservatezza; mentre l’Unione Europea ha da tempo posto tra i diritti fondamentali dell’individuo la tutela della riservatezza e il corretto trattamento dei dati personali: basta guardare gli artt- 7 e 8 della Carta dei Diritti dell’Unione Europea  (del 18 dicembre 2000  -G.U.C.E. 200/C ¿ 364/2001) per rendersene conto¿! ci ha spiegato Andrea Lisi, avvocato esperto di diritto delle nuove tecnologie e privacy informatica, titolare del sito http://www.scint.it/.

¿Le inevitabili tensioni tra questi due modi diversi di valutare la persona e i diritti fondamentali (lo “Stato-Chioccia” al centro per gli Usa; l’individuo al centro per l’Unione Europea) – aggiunge Lisi – si sono fatte sentire tante, troppe volte (si ricordino, in tal senso, le tensioni commerciali tra Usa e Ue  per il trasferimento dei dati personali da una parte all’altra dell’Oceano e, quindi, il compromesso del “Safe Harbour”; oppure l’inquietante Grande Orecchio Globale, Echelon; o ancora le tensioni per i dati richiesti dagli Usa nei voli transatlantici)¿ .

 

l’ equilibrio tra scuole di pensiero così diverse che si confrontano ogni giorno e trovano soluzioni tra loro opposte nella sostanza appare davvero difficile da trovare.

 

¿Considerata la globalità e anazionalità delle comunicazioni digitali, se un Paese come gli Usa viola costantemente  la privacy degli individui in nome di interessi ritenuti più alti, si farà sempre più emergente la sensazione spiacevole di essere continuamente spiati (si parla infatti di “sindrome da pesce rosso”) e si comprenderanno sempre di più e meglio le illuminanti parole di Rodotà sulla trasparenza dell’individuo nella Società dell’Informazione (“assediati da controllori elettronici, spiati da occhi nascosti, videosorvegliati da telecamere invisibili. Rischiano di somigliare a uomini di vetro i cittadini dell’information society: una società che l’informatica e la telematica stanno rendendo completamente trasparente”).

 

“Probabilmente – conclude Lisi  – tenuti nella dovuta considerazione gli interessi (anche economici) in gioco e la forza “contrattuale” degli Usa, gli interessi di noi cittadini saranno sempre di più messi in discussione nell’evoluzione di una società che tende sempre di più ad un continuo controllo (anche attraverso tecnologie nuove e pericolose come i RFID). Sino ad oggi in difesa della nostra privacy c’erano in Italia e in Europa Authority di grande prestigio che hanno garantito imparzialità di giudizio e ferme prese di posizione, purtroppo alcuni nomi contenuti nelle recenti nomine effettuate in Italia non fanno ben sperare, in verità…e, infine, non fanno ben sperare progetti inquietanti come la “misteriosa Super Amanda” realizzata da Telecom in Calabria (una sorta di Echelon all’italiana)¿.


Alessandra Talarico

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