Il digitale terrestre? Una rivoluzione inevitabile (Seconda parte)

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Italia



di Antonio Sassano

Professore Ordinario di Ricerca Operativa

UNIVERSITA” “La Sapienza”

Cosa fare per evitare questo scenario negativo per il nostro paese?

La prima ipotesi &#232 quella di ¿lasciar fare al mercato¿.

Questa &#232 la scelta attualmente in atto.

Ma, come era prevedibile, il mercato ha consentito ai soli operatori principali di realizzare 5 nuovi ¿multiplex¿ digitali, che si sono sovrapposti al ¿caos¿ analogico producendo esattamente lo scenario di mancato sviluppo che abbiamo appena descritto.

La RAI ha realizzato due ¿multiplex¿ con un numero limitato di impianti e frequenze (meno di 200 in totale). La copertura di popolazione di entrambi i ¿multiplex¿ &#232 inferiore al 50% e non consente di classificarli come ¿nazionali¿;
I ¿multiplex¿ di Mediaset, La7 e D-Free (che ha utilizzato le frequenze di una rete Tele+) hanno invece una copertura di popolazione di poco superiore al 50% e possono essere definiti ¿ad estensione nazionale¿ in accordo con la Legge Gasparri.

Come si vede, il mercato ha compiuto il minimo sforzo richiesto dalla Legge Gasparri per realizzare ¿multiplex¿ sui grandi bacini d¿utenza. Tutte le nuove reti sono state realizzate anche utilizzando frequenze ¿ridondanti¿. Inoltre, i nuovi programmi in lingua italiana presenti sui 3 ¿multiplex¿ digitali ad estensione nazionale sono soltanto 5 che sommati ai 9 programmi analogici danno un totale di 14 programmi nazionali tra analogici e digitali. Come previsto, si &#232 realizzato un limitatissimo aumento dell¿offerta, sia quantitativo che qualitativo.


Una diversa soluzione che viene spesso proposta per raggiungere una migliore e pi&#249 pluralista configurazione del mercato a regime &#232 quella della cessione di reti da parte degli operatori dominanti (RAI e Mediaset). La famosa ¿migrazione sul satellite di Rete4¿.

Vediamo, allora, perch&#233 anche questa &#232 una soluzione di difficile realizzabilit&#224 e di dubbia utilit&#224.

Le reti di distribuzione e diffusione di RAI e Mediaset sono largamente interoperanti e si giovano degli effetti positivi delle economie di scala generate dalla gestione integrata. Una loro separazione porrebbe difficili problemi tecnici, causerebbe la perdita dell¿effetto sinergico e comporterebbe un¿ingiustificabile distruzione di valore.

Analoghi problemi verrebbero posti dalla separazione delle strutture di produzione. Ed inoltre, la perdita di sinergie tra le strutture di produzione renderebbe pi&#249 difficile la competizione internazionale sulla produzione di contenuti.


La rete ex-Rai o ex-Mediaset &#232 una rete verticalmente integrata, che utilizza 1500-2000 frequenze ed &#232 orientata al servizio universale. Avrebbe dunque una struttura ¿atipica¿ ed in contraddizione con il Piano Digitale. E dunque, se la cessione avvenisse prima dell¿attuazione del Piano, ci si troverebbe nella scomoda situazione di dover richiedere una razionalizzazione delle reti e una restituzione delle ¿ridondanze¿ ad un compratore che ha appena speso milioni di euro per acquistarle.

Infine, la cessione di reti ad operatori diversi aggraverebbe le difficolt&#224 di gestione unitaria e coordinata dello spettro e farebbe perdere gli effetti positivi della concentrazione delle frequenze e della ¿ridondanza¿ (perch&#232, come mi appresto provocatoriamente a dire: concentrazione delle frequenze e ¿ridondanze¿ possono avere effetti positivi).

Quale soluzione dunque?

Ecco la provocazione: credo che la soluzione del problema della transizione consista nel prendere atto della complessa situazione ¿di fatto¿ e nel trasformare il problema della concentrazione delle risorse e dell¿uso inefficiente dello spettro in un¿opportunit&#224.

Vediamo come.

Rai, Mediaset e le principali emittenti nazionali gestiscono attualmente la met&#224 degli impianti in esercizio. I migliori impianti, nei siti migliori e sulle frequenze migliori. L¿uso dello spettro da parte delle reti del duopolio &#232 inefficiente e una larga percentuale degli impianti &#232 ridondante. Infine, e questo &#232 un punto spesso trascurato, le antenne dei cittadini italiani sono prevalentemente ¿puntate¿ nella direzione di questi impianti. Di conseguenza, appare tecnicamente e socialmente consigliabile che la transizione utilizzi in modo preferenziale queste frequenze, razionalizzando le reti analogiche ed utilizzando le frequenze ¿ridondanti¿ per l¿avvio del digitale. La gestione e la disponibilit&#224 delle frequenze dovr&#224 essere per&#242 lasciata alle attuali strutture tecniche.

Ma una gestione della transizione lasciata agli operatori verticalmente integrati conduce, come abbiamo visto, ad uno scenario di sostanziale conservazione del quadro analogico. Inoltre, a causa dell¿altissima interferenza, il processo di trasformazione deve inevitabilmente coinvolgere anche le frequenze delle altre emittenti nazionali e locali. Abbiamo dunque bisogno di una gestione il pi&#249 possibile unitaria e ¿cooperativa¿ dello spettro ma, al tempo stesso, non controllata dagli operatori dominanti.

Quindi, la soluzione del problema della transizione coincide con una delle raccomandazioni chiave della recente indagine conoscitiva dell¿Autorit&#224 Antitrust e consiste nella separazione verticale dei ¿broadcaster¿ analogici. Ovvero la separazione tra il ruolo di ¿operatore di rete¿ e quello di ¿fornitore di contenuti¿. Questa soluzione consentirebbe di conservare i vantaggi della concentrazione delle frequenze e della presenza di ¿ridondanze¿ togliendo agli operatori dominanti la possibilit&#224 di utilizzare il controllo dello spettro per rallentare lo sviluppo del mercato.

Come suggerito dall¿Antitrust, la separazione dovrebbe riguardare ¿in primis¿ i gestori del 50% delle frequenze in esercizio, ovvero RAI-WAY ed Elettronica Industriale.. Le strutture di produzione di RAI e Mediaset continuerebbero invece a funzionare in modo integrato e sinergico, potenziando la competitivit&#224 sul mercato internazionale. I nuovi Operatori di Rete potrebbero invece utilizzare le reti integrate e l¿ampio parco frequenze per razionalizzare e valorizzare lo spettro, aumentando le possibilit&#224 di accesso e liberando frequenze da destinare al ¿datacasting¿ verso utenti mobili. Sia le strutture di produzione che le reti di trasmissione vedrebbero aumentare il loro valore.
Anche le circa 700 emittenti locali e regionali dovrebbero necessariamente avere un ruolo nella transizione. E¿ impensabile, infatti, una gestione ¿cooperativa¿ dello spettro senza la collaborazione e l¿entusiasmo delle reti locali. La separazione verticale faciliterebbe la collaborazione tra emittenti locali ed operatori di rete e la struttura del Piano Digitale (a singola frequenza regionale) incoraggerebbe sinergie regionali. Sinergie che potrebbero assumere forma consortile tra emittenti ed operatori di rete con un conferimento di frequenze da un lato e di tecnologia e competenze dall¿altro. Le Regioni potrebbero avere un ruolo importante nella promozione della concentrazione e nella pianificazione dei siti.

Le Emittenti Locali otterrebbero, in questo modo, il vantaggio di valorizzare le proprie frequenze, di trasformare in digitale i propri programmi, di ampliare i bacini di servizio a livello regionale e di incrementare le entrate pubblicitarie. Inoltre, la partecipazione ai consorzi aprirebbe loro il ¿business¿ del ¿datacasting¿ regionale.

Concludo osservando che il futuro scenario digitale suggerisce un nuovo e doppio ruolo per il Servizio Pubblico: Un Servizio Pubblico di Trasporto gestito dagli Operatori di rete Nazionali e Regionali e orientato alla massimizzazione dei canali di accesso disponibili e un Servizio Pubblico di promozione della qualit&#224 orientato alla produzione di contenuti di alto livello qualitativo e finanziato dal canone. In questo quadro ritengo che il ruolo di RAI-WAY con le sue competenze, le sue risorse tecniche, la sua articolazione regionale e la possibilit&#224 di gestire in modo unitario il proprio parco frequenze potr&#224 e dovr&#224 essere decisivo durante il processo di transizione.


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