Ci stiamo bevendo il futuro? Riflessioni sul venture capital nell¿Ict

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Italia



di Elserino Piol

Presidente Pino Partecipazioni

Membro dell¿Advisory Board di Key4biz.it


Alla domanda ¿come vedi il 2005?¿ faccio fatica a rispondere.
Dovrei dire che dopo le vicissitudini degli ultimi 3 anni dovremmo esserci meritati un buon 2005. Anche perch&#233 vi &#232 la convinzione, da parte di molti, che la decade in cui stiamo vivendo vedr&#224 nuove tecnologie, nuove applicazioni, nuovi mercati, per cui si potr&#224 forse superare l¿eccezionale decade 1990 (che ha visto nascere e crescere la telefonia mobile ed Internet).
Di questa nuova ondata di innovazioni, e di nuove opportunit&#224 per creare valore, ne sono molto convinto, ma mi sorge il dubbio che interessi tutti, salvo noi italiani. Mi sembra che in Italia manchi una visione sistemistica di come gestire l¿innovazione e quindi la crescita.Se cos&#236 fosse, il futuro ce lo siamo gi&#224 bevuto.

&#200 come se fossimo tutti congelati in un¿istantanea scattata quattro anni fa: all¿inizio del 2000 quando anche in Italia fin&#236 la fase euforica della bolla.

Certo, fu una distorsione, ma nei mesi immediatamente precedenti successe molto di pi&#249 di quello che &#232 poi avvenuto nei quattro anni successivi. Nacquero nuove imprese, alcune valide e altre no.

Il mercato finanziario bene o male si mise in moto, attraendo investimenti diretti dai risparmiatori su aziende innovative. Mercati decisivi come le telecomunicazioni cominciarono ad aprirsi all¿ingresso di nuovi concorrenti, su formule operative avanzate.

Poi venne il crollo, il riflusso netto e drastico da cui non ci siamo pi&#249 ripresi.
Da allora non c¿&#232 stata pi&#249 una quotazione di una nuova azienda ad alta tecnologia.
Molte delle start-up di fine anni 90 sono scomparse. Nelle telecomunicazioni assistiamo ad un progressivo processo di rimonopolizzazione su pochi grandi dominatori, sia nelle reti che nei servizi.
E tutto il comparto ICT italiano, un tempo il motore della crescita, oggi comincia a perdere i colpi, anche in termini di posti di lavoro. Serve una scossa, una strategia e una capacit&#224 di iniziativa per rimettere in moto il circolo virtuoso, ancora ampiamente possibile.

Quando si parla di ostacoli all¿innovazione e all¿aumento della competitivit&#224 si fa quasi sempre riferimento agli investimenti nella ricerca e sviluppo: ma ricerca e sviluppo sono una condizione necessaria, ma mai sufficiente.

Vedo il proliferare di iniziative tutte mirate a creare le condizioni per rilanciare l¿ICT.
In particolare Key4biz ha organizzato un seminario ¿Rethinking the European ICT agenda¿ che ha ricevuto contributi culturali di notevole valore. Ma fra tutte le iniziative proposte manca ogni riferimento a come finanziare le stesse.
Si crede veramente che basti creare un¿innovazione in un laboratorio, o in un centro di ricerca, per vincere? Dov¿&#232 l¿imprenditore (si dice che la guerra &#232 una cosa troppo seria per lasciarla ai generali, ma &#232 anche il caso di dire che lo stesso vale per le innovazioni, che non vanno lasciate ai ricercatori)?

Chi porta l¿idea innovativa al mercato? &#200 noto che le cause principali dei fallimenti di innovazioni non sono legate all¿innovazione di per s&#233, ma a carenza di marketing.

La finanza tradizionale non ama pi&#249 la tecnologia, specie se molto innovativa. Il mercato della Borsa resiste alle IPO (Initial Public Offering) e fa anche bene se si continua a proporre, come nel passato, di portare in Borsa aziende che non hanno ancora dimostrato la validit&#224 del loro business model.
Ci vuole finanza alternativa e innovativa, e dovrebbe essere ormai noto a tutti che si tratta del venture capital, che ha dimostrato la sua validit&#224 non solo in USA, ma anche nel Regno Unito (vedasi Cambridge), in Israele, in Francia, etc.. Ora il venture capital sta nascendo anche in Cina e in India!

Dopo la bolla, il venture capital sta rinascendo vigorosamente, salvo che in Italia, ove &#232 ancora pi&#249 necessario, per la mancanza di grandi imprese ad indirizzo tecnologico.
Paesi come Germania o Giappone possono gestire l¿innovazione anche con poco venture capital, data l¿esistenza di grandi aziende tecnologiche che fanno da ombrello a nuove iniziative.

In Italia il vero ostacolo all¿innovazione &#232 di natura finanziaria e, in particolare, alla carenza di strumenti come il venture capital, che finanziano la materializzazione della ricerca in impresa portando innovazioni di prodotti o di servizi al mercato, facendo uscire allo scoperto gli imprenditori. La diffidenza che si &#232 creata nell¿alta tecnologia da parte della finanza, e l¿assenza di venture capital, hanno intimidito gli aspiranti imprenditori, non dando il necessario coraggio di fare impresa.

Se a questo si associano i vincoli derivanti da alcune situazioni regolamentari e legislative (es. legge sul fallimento, liberalizzazioni ¿zoppe¿, etc.) si comprende la difficolt&#224 del sistema Italia a gestire l¿innovazione.
In Italia vi sono abbastanza imprenditori per iniziative di alta tecnologia, ma manca uno scenario operativo che favorisca l¿innovazione, anche se ad alto rischio.
Nuove tecnologie sono dietro l¿angolo, nuovi treni per l¿innovazione sono pronti a partire: e bisogna salire sugli stessi.

L¿AIFI (associazione Italiana per il private equity e venture capital) mette in evidenza l¿allarmante calo degli investimenti di venture capital in Italia:

  • 2000, &#128 1506 mln;
  • 2001, &#128 1036 mln;
  • 2002, &#128 870 mln;
  • 2003, &#128 642 mln.

E certamente non saranno in crescita nel 2004.
Pure allarmante &#232 la percentuale degli investimenti in early stage, destinati appunto alla creazione di nuove imprese. Si &#232 passati dal 53% del 2000 (considerando nel totale anche il private equity, oltre che il venture capital) al 19% nel 2003.
Ma parlare di venture capital sulle start-up ad alta tecnologia &#232 diventato quasi una bestemmia. Chi al tempo della bolla, con superficialit&#224, si aspettava ritorni moltiplicati per dieci in pochi mesi rimase a bocca asciutta. E ora non ne vogliono sentire parlare.

Eppure &#232 questa la strada maestra per trasformare gli investimenti in ricerca e sviluppo del Paese in realt&#224 produttive. Altrimenti il rischio &#232 che tutto resti chiuso dentro alcune accademie. &#200 necessario lo sblocco industriale. E questo non pu&#242 che passare per le nuove imprese, per il capitale di rischio paziente e professionale che promuove e rende concretamente produttiva l¿innovazione. Abbiamo proposto una formula: che il pubblico si allei con il privato per creare un ¿fondo di fondi¿, attivo nell¿investire sui venture capitalist, in modo da promuovere un settore per l¿innovazione autonomo e plurale, capace di gestire in piena autonomia gli investimenti, e di rendere conto all¿investitore pubblico solo sugli obiettivi raggiunti.

&#200 un progetto necessario. Un venture capital efficiente ha una funzione chiave in una strategia di rilancio delle ricerca. Funziona da pianificatore occulto, indirizza nei fatti gli investimenti e gli sforzi di R&S verso idee e soluzioni concrete, e non solo accademiche. L¿Europa e l¿Italia hanno gi&#224 speso abbastanza in ricerca precompetitiva poi approdata nel nulla, o andata a beneficio di altri. Il venture capital vero, pu&#242 essere invece sul serio il catalizzatore per il rilancio.
Il governo francese ha compreso l¿importanza degli investimenti di venture capital. Il Ministro della finanza Sarkozy ha concordato con le societ&#224 di assicurazione francesi di incrementare i loro investimenti in private equity sino a 20 miliardi di euro entro il 2007.
Si tratta di aumentare gli investimenti, che ora sono sull¿1% dell ¿holding¿ ad un livello paragonabile a quello dei fondi pensione USA (dal 4% al 7%) o del Regno Unito (dal 4% al 5%).

Il contributo di denaro pubblico va inoltre ben disciplinato. Si sono levate voci (Wim Borgdorff sul Financial Times del 16 febbraio u.s.) che temono si agisca con logiche che potrebbero creare una ¿unfair competition¿ rispetto agli investimenti di venture capital privati.

La deformazione potr&#224 essere conseguenza di logiche politiche, della minor attenzione al ritorno nel capitale investito o alla necessit&#224 di investire in determinate geografiche. Le raccomandazioni sono di abbinare sempre gli investimenti pubblici a quelli privati e di lasciare al privato le scelte strategiche di investimento. Ma ci&#242 necessita anche che ogni venture capital privato sia ¿certificato¿.

Personalmente sono favorevole all¿abolizione di contributi a fondo perduto per aiutare attivit&#224 di ricerca e sviluppo, sostituendoli con investimenti in equity o quasi equity. Ogni investimento deve essere potenzialmente in grado di dare un ritorno, anche allo Stato, salvo che l¿iniziativa non abbia successo. In altri termini si accetta il rischio di impresa, ma si elimina il denaro facile, su cui non si &#232 tenuti a dare giustificazioni.

La Finlombarda, in occasione di un seminario: ¿Finanza e Innovazione¿, ha diffuso un questionario tra i partecipanti sulla crescita delle techno start-up in Italia. Tra i fattori pi&#249 problematici, che limitano la crescita, vengono citati nell¿ordine (i primi cinque):

  • capacit&#224 del settore bancario e del credito di sostenere finanziariamente nuove iniziative imprenditoriali ad alta tecnologia;
  • continuit&#224 di programmazione nella politica della ricerca;

  • accelerazioni fiscali alle start-up;

  • ruolo della politica industriale per la ricerca e per l¿innovazione del Paese;

  • scarsa presenza di operatori specializzati nel venture capital.

Mentre non risultano fattori problematici, nell¿ordine:

  • qualit&#224 e capacit&#224 innovative dei ricercatori;

  • presenza di infrastrutture logistiche di supporto alle start-up (es. incubatori);

  • possibilit&#224 di reperire personale qualificato e specializzato;

  • presenza di infrastrutture di supporto alle start-up (es. liaison office);

  • capacit&#224 di generazione di adeguati livelli di ¿deal flow¿.

Gli imprenditori sono obbligati a fare scommesse sul futuro, valutando le opportunit&#224 legate a nuove tecnologie e servizi, in relazione ai futuri scenari competitivi.
&#200 necessario che il governo, e l¿Autorit&#224 per le Telecomunicazioni, facciano lo stesso sforzo previsionale e indichino come vedono il futuro e come intendono regolarlo.

Ad esempio, oggi si potrebbero avviare iniziative imprenditoriali legate alle nuove tecnologie del prossimo futuro, come Wi-Max.

Ma, poich&#233 alcuni incumbent avranno interesse a ritardare l¿ingresso nel mercato di queste innovazioni dirompenti, si pu&#242 sapere, ora per allora, quale sar&#224 la posizione delle Autorit&#224.

Non &#232 forse il caso di aumentare la competitivit&#224 del sistema Italia, anticipare nuove tecnologie e non porre limiti regolamentari? Oppure &#232 meglio proteggere gli incumbent e aspettare di vedere cosa fanno gli altri Paesi e partire dopo.

Ci&#242 che poi sorprende &#232 la mancanza di visione sistemistica: ad esempio nel campo delle telecomunicazioni si fanno interventi validi e le Autorit&#224 stanno facendo un buon lavoro, ma vi sono ancora importanti aree su cui agire.

Un esempio per tutti: si parla della diminuzione di mercato della telefonia fissa a causa della concorrenza della telefonia mobile: il mercato e la tecnologia sono vincenti e dettano le regole del gioco. Ma che si giunga a incentivare la telefonia mobile a danno della telefonia fissa mi sembra un¿idiozia: infatti una telefonata da un telefono fisso ad un telefono mobile costa molto di pi&#249 che una telefonata tra telefoni mobili. E se si legge la fattura di un cliente di telefonia fissa si constata immediatamente che il costo delle telefonate fisso-mobile &#232 la voce pi&#249 importante.

Un¿altra innovazione &#232 la convergenza tra fisso e mobile, attraverso telefoni che hanno il doppio ruolo fisso-mobile.

Lo sta sperimentando il Regno Unito e si diffonder&#224 presto in altri paesi.

E in Italia?

Certamente no, perch&#233 bisogna rispettare l¿oligopolio della telefonia mobile, i cui operatori continuano a macinare profitti da capogiro, che l¿oligopolio consente. Si dichiara che gli operatori mobili virtuali non potranno operare in Italia ancora per molti anni, mentre stanno prosperando altrove.

Perch&#233? Non si possono cambiare le regole esistenti?

Siamo ovviamente molto lontani dal considerare la concorrenza un valore da far crescere e da difendere.

Michele Appendino e Diana Saraceni hanno scritto un interessante articolo sulla rivista The independent review: ¿Il venture capital non piace all¿Europa e ancora meno all¿Italia¿.

Poich&#233 considero Appendino, di Net Partners, uno dei pochi validi professionisti di venture capital in Italia, l¿articolo mi ha molto colpito per il pessimismo che esprime, anche se purtroppo basato sull¿esperienza che sia io che lui stiamo facendo.

Dopo aver illustrato i successi del venture capital USA e descritto le difficolt&#224 italiane ed europee, conclude che il venture capital in Italia va indirizzato in aree meno tecnologiche, affermando che: ¿¿ il venture capital pu&#242 aiutare ad accelerare lo sviluppo. &#200¿ necessario tuttavia far leva sui punti di forza, come ad esempio il design, l¿alimentare, il turismo e sui settori con potenziale di sviluppo, appunto i servizi innovativi. Se invece si continua a sognare di creare una Silicon Valley in Italia, verranno sprecate risorse e si perderanno ancora una volta opportunit&#224 di sviluppo¿.

A parte il discorso di creare una Silicon Valley, non duplicabile in nessuna parte del mondo compresi gli USA, Appendino ha ragione!

Puntiamo sul turismo, sperando a tal fine di migliorare il sistema dei trasporti! E allora cosa servono tutte quelle affermazioni sulla importanza della R&S, sui centri di ricerca, sull¿innovazione.

Non sar&#224 che una scuola alberghiera diventi pi&#249 importante di un centro di ricerca nelle nano-tecnologie!

Ovviamente bisogna cambiare lo scenario e non accettare la conclusione di Appendino.

Il discorso purtroppo &#232 molto serio. L¿Italia &#232 ancora considerata un Paese industrializzato, anche se non ha pi&#249 grandi industrie. Se vogliamo rimanere un Paese industrializzato, dobbiamo accettare la sfida dell¿innovazione e delle nuove tecnologie, facendo ci&#242 che &#232 necessario: dalla formazione, alla ricerca, alla creazione di nuove imprese, utilizzando gli strumenti finanziari adeguati allo scopo.

Per concludere, i problemi sono molti, e ne ho citati solo alcuni, ma vi &#232 il vantaggio che sono chiaramente individuabili e per ognuno di questi esistono soluzioni collaudate e che hanno dimostrato la loro efficacia. Salvo che, come sostengono alcuni, l¿Italia debba limitarsi ad essere una nazione di ¿bassa tecnologia¿, attraente solo per il turismo (tesi Appendino) e in questo caso i veri investimenti da considerare sono quelli come il ponte di Messina, poich&#233 se non miglioriamo la qualit&#224 delle nostre infrastrutture (vedasi trasporti) non siamo in grado di competere nemmeno nel turismo. Vi &#232 da domandarsi come il ponte di Messina aumenti la competitivit&#224 del sistema Italia, che invece ha bisogno di imprese innovative capaci di competere nei mercati mondiali. Quindi la domanda se stiamo bevendoci il futuro mi sembra legittima.

&#169 2004 Key4biz.it

Il contributo di Elserino Piol è pubblicato anche su Beltel.
Si ringrazia per questo Gianni di Quattro.