I Distretti Produttivi Digitali. L´intervento di Ugo Guelfi

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Italia



Ing. Ugo Guelfi

Consigliere del Ministro
MINISTERO PER L”INNOVAZIONE E LE TECNOLOGIE

Credo che oggi fare impresa sia ancora pi&#249 difficile che in passato.

Molti elementi convergono a determinare scenari competitivi di sempre maggior impegno:

  • l¿intensit&#224 della competizione sui costi che spinge a cercare economie di scala e di scopo;

  • l¿allargamento internazionale dei mercati che pone a diretto confronto prodotti e servizi prima molto lontani;

  • la dinamica del cambiamento che accorcia i cicli dei prodotti, dei processi produttivi e delle tecnologie;

  • il progresso tumultuoso di tecnologie pervasive e trasversali come quelle dell¿informazione e della comunicazione (e soprattutto delle nuove tecnologie di rete, la grande discontinuit&#224 di questi anni) che hanno un grande potere di ¿trasformazione radicale”.

Queste tecnologie si stanno diffondendo ovunque innovando prodotti, processi produttivi, di distribuzione, di marketing, le catene di fornitura, i modelli di impresa e i sistemi di imprese ma anche gli stili di vita e di consumo, le reti negoziali e relazionali.

E tutto ci&#242 non solo per i settori high-tech ma anche per quelli pi&#249 tradizionali, per esempio quelli tipici del ¿made in Italy¿ (tessile, abbigliamento, casa, legno¿).

Da anni si parla del modello di sviluppo industriale italiano e, in particolare, dei distretti industriali, come alternativa alle dinamiche di crescita economica fondate sulla dominanza della grande impresa. Un dibattito che ha superato i confini nazionali alimentando possibili scenari di intervento anche nei paesi emergenti.

Ma il quadro economico definito dal processo di globalizzazione dell¿economia e dell¿unificazione economica e monetaria europea sta rapidamente trasformando le condizioni che hanno consentito lo sviluppo della nostra piccola e media impresa.

In questa prospettiva &#232 difficile immaginare che il mantenimento della competitivit&#224 industriale del nostro Paese passi esclusivamente attraverso un rinnovamento spontaneo dei nostri distretti.

  • La perdita progressiva delle radici territoriali di molte attivit&#224, la globalizzazione che premia le imprese pi&#249 mobili territorialmente alla ricerca di vantaggi di scala o di variet&#224 (minori costi, differenziazione dei mercati);
  • La dinamica demografica e l¿evoluzione del mercato del lavoro;
  • Gli spazi fisici sempre pi&#249 limitati tutto ci&#242 porta a dire che il ciclo possa rallentare.

Il tema &#232 quindi quali siano oggi le vie e i modi per riprodurre questo sviluppo di successo, non solo conservarlo (cos&#236 com¿&#232), come avviare uno sviluppo diverso: derivato, ma diverso.

Credo che i sistemi locali non possano pi&#249 crescere ¿quantitativamente¿: sono condannati a crescere in ¿qualit&#224¿, con un grande sforzo di ¿innovazione¿.

Ma finora, pur con ottime eccezioni, le nuove tecnologie ICT non hanno rappresentato un elemento qualificante della competitivit&#224 a livello di sistemi territoriali, al contrario della grande impresa che attraverso la tecnologia si &#232 profondamente innovata, recuperando flessibilit&#224 organizzativa, ridisegnando i suoi sistemi di fornitura, di distribuzione e assistenza, i suoi processi di progettazione e produzione e creando sistemi di gestione e condivisione della conoscenza.

Mentre le PMI dei distretti hanno fatto del territorio l¿infrastruttura che ha sostenuto ed alimentato i processi di innovazione e di condivisione del sapere tra le imprese, le grandi organizzazioni hanno creato ,attraverso la rete e le tecnologie, infrastrutture virtuali per lo sviluppo dell¿innovazione e la ¿governance¿ del complesso modello a rete che si andava costituendo.

Ma oggi, e in prospettiva, il territorio non costituir&#224 pi&#249 l¿unico (o il principale) ambito in cui si costruisce la competitivit&#224 della piccola impresa.

E la perdita pi&#249 o meno graduale di funzioni manifatturiere pu&#242 non costituire un problema se il territorio &#232 capace di rinnovare le proprie competenze distintive, se cio&#232 diventa ¿testa¿ di una rete transnazionale di imprese.

A fronte di una rete che si allarga oltre i confini territoriali vengono rimesse in gioco tutte le regole che hanno guidato fin qui i processi di produzione, di innovazione e di competizione delle imprese distrettuali.

Ricorrere quindi a soluzioni tecnologiche per fare rete non riguarda pi&#249 solo la gestione pi&#249 efficiente dello scambio di dati e di informazioni ma interessa la dimensione strategica dell¿impresa.

Queste tecnologie possono rappresentare per le PMI una grande riserva di competitivit&#224 da liberare.

Anche il quadro legislativo sta cambiando.

La politica industriale del nostro Paese ha scoperto i distretti all¿inizio degli anni ¿90 e l¿approccio che ha avuto il legislatore &#232 stato finalizzato principalmente ad una ¿perimetrazione¿ territoriale.

La prima legge del ¿91, pur avendo avuto il merito di identificare il distretto come categoria di politica industriale, non ha saputo incidere con efficacia sulla competitivit&#224 dei sistemi locali.

Certo il distretto &#232 per sua natura un ¿soggetto¿ difficile per la politica industriale:

  • il distretto infatti non &#232 il risultato di un disegno consapevole di politica industriale, ma l¿esito in gran parte spontaneo di processi locali di integrazione economica e sociale da parte di pi&#249 attori che perseguono proprie strategie di sviluppo;
  • il distretto industriale non &#232 definibile con confini univoci sul territorio e certo non coincidenti con quelli amministrativi e inoltre si modificano nel tempo;
  • il distretto &#232 un sistema di specializzazioni produttive in continua evoluzione.

Se la politica guarda al distretto come era, rischia di non vederne lo sviluppo competitivo futuro compromettendone il successo.

La trasformazione del quadro legislativo nella direzione del federalismo ha dato alle Regioni la possibilit&#224 di legiferare in materia di politica industriale. Molte Regioni hanno gi&#224 definito un quadro di intervento anche attraverso l¿approvazione di leggi sui distretti industriali.

Le tendenze legislative che mi paiono emergere sono principalmente due:

  • la prima recupera l¿impianto concettuale delle legge del ¿91 e punta, da un lato, alla individuazione dei soli distretti industriali classici, ovvero specializzati in attivit&#224 industriali storiche e, dall¿altro, alla definizione di politiche regionali dedicate.
  • la seconda tendenza rompe con l¿assunto retrospettivo dell¿approccio precedente per valorizzare sistemi locali sulla base di progetti di politica industriale promossi da gruppi di imprese e di istituzioni.

In questo secondo caso i distretti non sono un dato ereditato dalla storia economica locale, ma piuttosto un progetto di sviluppo fondato sulla valorizzazione del territorio, delle sue realt&#224 economiche, delle sue istituzioni e delle sue competenze.

La Commissione Europea nella recente Comunicazione sulla ¿Politica dell¿Innovazione¿ afferma che sebbene la R&S sia un fattore essenziale per la crescita a lungo termine, essa non &#232 di per s&#233 sufficiente, ma vanno promosse altre forme di innovazione quali:

  • innovazione organizzativa e di processo
  • innovazione dei modelli commerciali e distributivi
  • innovazione di mercato, di valore
  • tutte innovazioni in gran parte abilitate dalle nuove tecnologie di rete.

L¿analisi del sistema degli incentivi nazionali a favore dell¿innovazione mostra che abbiamo finora prediletto misure di sostegno finanziario alla ricerca applicata e allo sviluppo precompetitivo (ad eccezione della legge sull¿e-commerce). Senza tra l¿altro affrontare il momento cruciale del trasferimento del prodotto della ricerca all¿impresa.

Ritengo perci&#242 importante ed urgente (e lo stiamo facendo) muoverci su alcune direttrici prioritarie:

  • La prima: uno strumento organico mirato a favorire e a sostenere nel tempo investimenti in innovazione nella accezione pi&#249 ampia e completa del termine. Uno strumento accessibile con facilit&#224 alla PMI e per il quale sia specificamente individuata la tipologia degli investimenti in innovazione e promuova aggregazioni di distretto o di filiera. Vi sono interventi organici a cui riferirsi molto interessanti: la Spagna con la Legge quadro del 2001, probabilmente la best practice europea, la legislazione dei Paesi Bassi o il Piano per l¿innovazione della Francia.
  • Un secondo asse indirizza la finanza innovativa. L¿impiego di strumenti di mercato in partnership con il sistema privato che avvicini il mondo dell¿impresa della ricerca e favorisca il cos&#236 detto ¿mecenatismo¿ alla ricerca, cio&#232 le erogazioni liberali a favore di enti di ricerca.
  • Il ricorso a strumenti concertativi tipici della programmazione negoziata per far convergere le varie politiche e le amministrazioni di vario livello, garantendo il coordinamento e l¿addizionalit&#224 delle risorse di amministrazioni centrali e territoriali (Patti per l¿innovazione).

A tutto questo per&#242 deve anche corrispondere nel territorio capacit&#224 di aggregazione di soggetti pubblici e privati e di ¿governance¿, che possa fornire una visione progettuale e sappia realizzare il non facile equilibrio tra ¿condivisione informativa¿ e ¿protezione informativa¿, tra vantaggi collettivi e vantaggi individuali, tra collaborazione e concorrenza.

In conclusione &#232 necessario un quadro pluriennale e articolato di sostegno all¿innovazione in cui prorpiotutti facciano la loro parte con obiettivi condivisi: istituzioni centrali e locali;scuola, universit&#224, ricerca; mondo dell¿impresa, della finanza, del lavoro.

* (Convegno Federcomin-Assindustria, Bologna 9-4-2003)