Asati/Tronchetti Provera: interrogazione parlamentare del sen. Elio Lannuti (Idv) ai ministri Giulio Tremonti e Paolo Romani

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Italia


Ai Ministri dell’economia e delle finanze e dello Sviluppo Economico.

Premesso che:
come riportato dall’agenzia Ansa delle ore 12,41 in data 7 gennaio 2011, il produttore cinematografico franco-tunisino e Consigliere di amministrazione di Telecom Italia, Tarak Ben Ammar a margine di un Convegno a Parigi, ha sostenuto che “nel rapporto Deloitte”, commissionato dagli attuali dirigenti Telecom per accertare le responsabilità del dottor Tronchetti Provera in merito ad una gestione dissennata dell’azienda, non c’era materia per andare contro i precedenti amministratori;
 

si legge nel dispaccio Ansa: «Il consiglio di amministrazione di Telecom ha deciso di non votare sull’azione di responsabilità contro i precedenti amministratori perché “non c’era materia di contendere. Nel rapporto Deloitte non c’era materia per andare contro i precedenti amministratori. Dunque non c’è stato voto”. Lo ha detto l’uomo d’affari franco-tunisino Tarak Ben Ammar a margine della conferenza “Nuovo mondo, nuovo capitalismo”, commentando la decisione assunta dal cda del gruppo di tlc a metà dicembre. “Ho letto sui giornali di un “papocchio” con Tronchetti – ha proseguito Ben Ammar -, tutte falsità. Adoro la creatività cinematografica della stampa italiana. D’altronde faccio cinema. Ma voi pensate che in un’azienda come Telecom, con tutti i revisori e i giudici che ci guardano, era possibile che fossero tutti complici per aiutare Tronchetti perché è in Mediobanca?”;

a stretto giro, la replica di Asati, diffuso dall’Ansa alle ore 15,39, contesta le affermazioni del produttore franco tunisino, mettendo in dubbio la sua presenza al consiglio d’amministrazione di Telecom Italia: «I consiglieri di amministrazione di Telecom Italia, nel corso della riunione dello scorso 16 dicembre, hanno deciso di non votare l’azione di responsabilità verso i vertici della precedente gestione Pirelli indipendentemente dalla lettura del rapporto Deloitte perché nessuno dei presenti, tranne i vertici esecutivi stessi, ne conoscevano i contenuti in quanto non hanno avuto modo di leggerli nel corso della riunione”. E quanto replica in una nota l’Asati, l’associazione dei piccoli azionisti di Telecom, alle parole del consigliere del gruppo di tlc, Tarak Ben Ammar secondo cui “nel rapporto Deloitte non c’era materia per andare contro i precedenti amministratori” e per questa ragione il cda non ha votato sull’inserimento di un’azione di responsabilità all’ordine del giorno della prossima assemblea. Il presidente dell’Asati, Franco Lombardi, chiede inoltre se pareri legali chiesti da Telecom in relazione al rapporto Deloitte, “sono stati letti integralmente e compresi dal sig. Tarak” che – secondo quanto riportato nel comunicato di precisazioni emesso da Telecom su richiesta della Consob nella tarda serata dello scorso 23 dicembre – risulta aver “lasciato la riunione (a cui era collegato telefonicamente, ndr) a causa di precedenti impegni” proprio “nella fase di esposizione del lavoro svolto dai consulenti”. L’Asati torna infine a chiedere come mai il rapporto non venga “diffuso pubblicamente da parte Telecom” al fine di “assicurare la parità informativa a tutti gli stakeholders”;

considerato che:
nell’estate 2001 attraverso Pirelli e con il sostegno della famiglia Benetton e di due banche, Marco Tronchetti Provera costituisce la società Olimpia, che acquista circa il 27 per cento di Olivetti dalla società Bell di Emilio Gnutti e Roberto Colaninno, diventando così il nuovo azionista di riferimento di Telecom Italia. Marco Tronchetti Provera diviene presidente della società;

la Telecom di Tronchetti decide dismissioni di partecipazioni internazionali, in Sud America, là è protagonista di una crescita nella telefonia mobile brasiliana attraverso TIM Brasil e punta anche sull’Argentina, mentre in Italia, tra il 2004 e il 2005, procede alla fusione tra Telecom Italia e TIM;

in una intervista rilasciata a Federico Rampini su “la Repubblica” del 6 aprile 2007, dal titolo: «La mia verità su Telecom, Tronchetti mi ha eliminato», il professor Guido Rossi, ex presidente di Telecom Italia, paragona la vicenda italiana ad “Un mercato da Chicago degli anni ’20”;

si legge: “Adesso posso dirlo: mi sento sollevato, mi sono tolto un peso. Da metà settembre fino a martedì scorso ho passato sei mesi d’inferno. Alla mia età è giunta l’ora di rinunciare alle illusioni: il sogno di salvare la Telecom, come quello di risanare il calcio italiano. Erano le illusioni di un vecchio signore che ancora pensa di fare il riformista. È tempo che mi passino dalla testa”. Il giorno dopo l’ultimo scontro con Marco Tronchetti Provera, Guido Rossi pronuncia giudizi severi e lapidari ma con il tono sereno, di chi davvero è convinto di aver chiuso una pagina. Può parlare in libertà, può dare la sua versione, può fare un bilancio di questi sei mesi (poco più) che lo hanno visto tornare alla testa del gruppo che lui stesso aveva guidato nella privatizzazione. Il giurista, ex presidente della Consob, promotore della legislazione antitrust in Italia, da questa vicenda trae la conferma di una diagnosi spietata sui mali profondi del capitalismo italiano, sulla sua incapacità di cambiare. Tronchetti; il vizio antico delle scatole cinesi; le banche; la politica; nessuno si salva: e se questo è lo stato del paese allora ben vengano gli stranieri, è la sua lezione finale. Professor Rossi, cominciamo dall’inizio, cioè da settembre. Visto com’è andata a finire, non era una missione impossibile la sua? E perché Tronchetti venne a cercare proprio lei, se stava scritto che i vostri disegni sarebbero risultati incompatibili? “Perché è venuto a cercarmi? Perché era troppo nei guai, perché era alle strette sia con l’Antitrust che con l’Authority delle Comunicazioni, perché la sua situazione sembrava irrecuperabile, perché aveva bisogno di credibilità. Io mi sono fatto carico di questa responsabilità nell’interesse dell’azienda, l’ultima grande impresa tecnologica italiana, un gruppo al quale mi sentivo legato dalla storia della sua privatizzazione. Ma quando ho cercato di fare pulizia nel conflitto d’interessi fra Tronchetti e la Telecom, per il bene dell’azienda, del mercato e del paese, siamo entrati in rotta di collisione. Sono diventato pericoloso per lui, andavo eliminato. Naturalmente anche negli scontri c’è modo e modo di comportarsi. Che mancanza di stile, avvertirmi solo la sera prima che Olimpia non mi avrebbe ricandidato per il rinnovo del consiglio d’amministrazione…”»;

più oltre si legge nella stessa intervista: «Il 16 aprile è convocata l’assemblea della Telecom. Lei fino a quell’assemblea è ancora il presidente. Che farà? “Non credo proprio che mi presenterò. Che cosa farei, in mezzo a una lista di amministratori designati per obbedire a chi di suo ha investito lo 0,6% del capitale, e pretende di controllare la società? Qui vengono a galla problemi strutturali del nostro capitalismo, che ho denunciato da decenni. Si paga il prezzo delle riforme mai fatte, delle opportunità sprecate anche quando il centro-sinistra era al governo. Di recente è diventato di moda scoprire il sistema dualistico di governance d’impresa, il modello tedesco: lo scopriamo noi proprio quando la Germania per modernizzarsi prende le distanze da una formula vecchia di settant’anni. Ci si trastulla con questi inutili diversivi, nessuno invece osa toccare le anomalie patologiche del nostro sistema: le scatole cinesi, i patti di sindacato. Questa vicenda Telecom passa tutta sopra la testa del mercato, ecco l’unica certezza: i piccoli azionisti sono resi impotenti, e saranno beffati come sempre. E un paese che soffre di una così grave mancanza di regole naturalmente è il terreno ideale per chi vuole approfittarne, per chi pensa a portar via più soldi che può. Invece del fare, c’è l’arraffare. Questa sembra la Chicago degli anni Venti, sembra il capitalismo selvaggio dei Baroni Ladri nell’America del primo Novecento. Ma almeno in America un secolo non è passato invano. Là semmai con la Sarbanes-Oxley oggi hanno addirittura il problema opposto, quello di un sistema iper-regolato”»;

nel settembre 2006, Marco Tronchetti Provera aveva lasciato la presidenza di Telecom Italia a seguito di una polemica con la Presidenza del Consiglio dei ministri legata all’implementazione delle nuove strategie del gruppo di telecomunicazioni. Il 28 aprile 2007, la Pirelli di Tronchetti Provera raggiunge un accordo con un pool di primarie banche italiane e l’operatore spagnolo Telefonica per la cessione della partecipazione in Olimpia, che si formalizzerà nell’ottobre dello stesso anno. Tronchetti incassa dalla cessione di Olimpia circa 3,3 miliardi di euro, con i quali avvia un piano di rifocalizzazione di Pirelli nei propri core business. Dopo la decisione del consiglio di amministrazione, il presidente del Consiglio dei ministri Prodi lascia trapelare la sua insoddisfazione dicendo di “Non saperne nulla”. Il 15 settembre 2006, dopo l’annuncio dello scorporo di TIM, Marco Tronchetti Provera in polemica con Prodi, si dimette dalla guida della società; la Presidenza torna, dopo 9 anni, a Guido Rossi, che deve lasciare la FIGC;

la prima mossa di Guido Rossi alla guida di Telecom è la creazione, il 18 ottobre 2006, di un “Patto di controllo” dell’azienda tra Olimpia, Mediobanca e Generali che controlla in tutto il 21,5 per cento della società: Olimpia (ora controllata all’80 per cento da Pirelli e al 20 per cento da Edizione Holding) porta in dote il proprio 18 per cento, Generali il 2,01 per cento, Mediobanca l’1,54 per cento; il 15 febbraio 2007 (comunicazione Consob del 23 febbraio 2007) le Assicurazioni Generali passano dal 2,01 per cento al 4,06 per cento di azioni Telecom Italia. Il Patto di controllo Olimpia + Generali + Mediobanca arriva al 23,6 per cento;

il patto prevede vincoli sulle quote conferite, la possibilità per i contraenti di aumentare la loro quote e anche quella di vendere in prelazione ai soci. Esiste inoltre la possibilità di entrare nel patto per altri soci che abbiano più dello 0,5 per cento del gruppo: si è parlato dell’ingresso di Intesa Sanpaolo, Capitalia e Unicredit, mentre il secondo azionista Hopa (3,72 per cento) ne è rimasto fuori. Il patto è un passo decisivo per il rafforzamento dell’azionariato della società telefonica, che con l’ingresso di nuovi partner potrebbe avvicinarsi alla soglia del 30 per cento oltre la quale è obbligatorio lanciare un’offerta totalitaria. Presidente del nuovo patto è, dopo la sua uscita da Telecom, Tronchetti Provera;

egli è coinvolto nello scandalo dello spionaggio a danno di esponenti pubblici e privati e di giornalisti in un dossieraggio illegale che vede inchieste giudiziarie da parte delle Procure della Repubblica di Milano e Roma;

a quanto risulta all’interrogante e come è riportato da organi di informazione (richiamati anche nel sito di Wikipedia), Emanuele Cipriani, investigatore privato, nelle dichiarazioni spontanee alla ventesima udienza preliminare in data 9 aprile 2010, al processo che si celebra a Milano, afferma: «Non mi si venga a dire che nessuno sapeva nulla; anzi che ho rubato e Marco Tronchetti Provera, primo beneficiario diretto e indiretto, mi si presenti come vittima: questo è inaccettabile! (…) Non ho problemi ad ammettere, come ho sempre fatto, che talune di queste attività contenevano segmenti di accertamento svolti con mezzi illeciti, ma tutte erano sviluppate su richiesta delle società Pirelli e Telecom per relative operazioni di business, come per relazioni di interesse personale di Tronchetti o di persone a lui strettamente “legate” (…) Né Telecom né Pirelli hanno mai formalizzato alcuna denuncia di appropriazione indebita nei miei confronti»;

tale inchiesta, parte di un capitolo più vasto, che vede numerosi interrogativi sollevati anche dai giornalisti d’inchiesta quali Giuseppe D’Avanzo e Carlo Bonini, con i precedenti scandali Nigergate e Laziogate e con il caso Abu Omar e Massimo Mucchetti del “Corriere della Sera”, per essere autori, tra le altre, di inchieste giornalistiche su Brasil Telecom, TIM Brazil e la privatizzazione di Telecom Italia, hanno visto al centro dello scandalo Marco Tronchetti Provera;

tra gli arrestati, Marco Mancini (arrestato anche in relazione al sequestro di Abu Omar), ex numero 2 del SISMI, Giuliano Tavaroli, ex direttore della security del gruppo Telecom Italia, ed Emanuele Cipriani, investigatore che da anni ha aperto una fiorente società di investigazioni a Firenze, la Polis d’Istinto (i cui uffici sono in un appartamento della nuora di Licio Gelli, del cui marito Cipriani è amico), oltre ad alcuni membri del Tiger team, il gruppo di hacker gestiti da Tavaroli;

l’inchiesta, partita nel 2002 dal caso dell’ex manager della Coca-Cola, pedinato e dossierato per conto dei vertici della stessa filiale italiana della Coca-Cola che avevano commissionato a fine 2000 attività per oltre 130 milioni di lire alla Polis d’Istinto, ha in seguito portato anche alla nascita dello scandalo Laziogate. Cipriani avrebbe costruito illecitamente, per conto di Tavaroli (all’epoca a capo della security di Telecom), numerosi dossier su varie personalità politiche, economiche e dello spettacolo, oltre a giornalisti e calciatori: non solo dossier con regolare mandato, ma arricchiti di informazioni raccolte con metodi illegali (detti “pratiche grigie”, dal colore della copertina), ma addirittura dossier per i quali era stato dato incarico a Cipriani per le “vie brevi”, non risultante pertanto da nessun mandato scritto (le “pratiche celesti”, custodite nel cosiddetto archivio “Z”: un sistema di archiviazione elettronico creato dall’informatico Mirko Meacci che si basava su tre hard disk esterni, che per precauzione venivano custoditi nella sala consolare e richiusi in cassaforte ogni fine settimana – essendo Emanuele Cipriani anche console onorario di un Paese africano – sala comunicante attraverso una porta interna con la Polis d’Istinto). E sono proprio le “pratiche celesti” che successivamente non venivano contabilizzate, anche se effettivamente si trattava di indagini commissionate dai clienti e svolte dalla rete investigativa di Cipriani, composta da investigatori privati (a volte però privi di licenza investigativa) e da pubblici ufficiali corrotti. Anche Mancini avrebbe fornito periodicamente a Cipriani numerose informazioni riservate (su conti correnti, informazioni penali, dati anagrafici, eccetera) dietro pagamento di forti somme di denaro;

presso Mirko Meacci gli investigatori trovano dei DVD contenenti i backup degli hard disk con tutto l’archivio “Z”, ossia le “pratiche celesti”. L’accesso è criptato e solo la confessione di Cipriani, dopo un lungo periodo di detenzione cautelare, permette di stampare quei dossier, che vengono immediatamente secretati;

in una pen drive trovata a Tavaroli gli inquirenti trovano “bozze delle decisioni dell’Antitrust, comunicazioni di funzionari, atti di legali difensori nella causa di Telecom davanti all’Antitrust”. Il gip Giuseppe Gennari sottolinea “l’eccezionale gravità del comportamento della Security di Telecom, la quale era in grado di mettere nelle mani dell’azienda (perché è ovvio che le notizie prelevate non fossero appunto di utilizzo da parte della Security) elementi di conoscenza potenzialmente in grado di interferire, gravemente e illecitamente, nell’operato di un soggetto istituzionale che dovrebbe essere massima espressione di autonomia come il Garante per il Mercato e la Concorrenza”;

figura emblematica, ma anche figura chiave per gli inquirenti, è Marco Bernardini, già collaboratore esterno a contratto del S.I.S.De. e successivamente investigatore privato in una società che annovera tra i suoi clienti la Pirelli e la Telecom Italia. Bernardini, che in passato ha avuto occasione di utilizzare elementi delle Forze dell’ordine per la raccolta di informazioni commissionate, viene interrogato numerose volte dal pubblico ministero, dottor Fabio Napoleone, al quale rilascia una lunga deposizione, nella quale chiarisce la sua posizione nella vicenda. A seguito dei detti interrogatori, il pubblico ministero rinuncia all’esecuzione di misure cautelari nei suoi confronti. Marco Bernardini dal momento del primo interrogatorio non si è mai spostato dall’Italia;

il 24 luglio 2010 emerge la notizia che Marco Tronchetti Provera è indagato a Milano nell’inchiesta sul dossieraggio illegale praticato dalla security di Telecom quando era guidata da Giuliano Tavaroli: i reati contestati sono associazione per delinquere finalizzata all’accesso abusivo a sistema informatico e alla corruzione di pubblici ufficiali. Sotto accusa anche l’ex vice presidente Telecom Carlo Buora e Gustavo Bracco, ex capo del personale di Telecom e capo ad interim della security della società dopo il licenziamento di Tavaroli;

come si legge su un articolo del “Corriere della Sera” dello stesso giorno 24 luglio: «E la messa sotto inchiesta» di Marco Tronchetti Provera e Carlo Buora «non avviene ora, ma è rimasta “blindata” da almeno 6 mesi. A cavallo, peraltro, degli uffici giudiziari di Roma e Milano. Gli ex presidente e vicepresidente di Telecom, infatti, non sono indagati ora come conseguenza del supplemento di indagini sollecitato di fatto alla Procura milanese dal giudice Mariolina Panasiti con la trasmissione il 28 maggio ai pm di alcuni atti dell’udienza preliminare, e in particolare degli interrogatori dei testi ammessi dal gup su richiesta delle difese degli imputati (come lo 007 privato Cipriani) o delle parti civili (come il giornalista Mucchetti) più attive nel sostenere la consapevolezza dei vertici aziendali rispetto agli illeciti commessi dalla loro «Security» e sinora sanzionati con sedici patteggiamenti (tra cui quelli di Tavaroli e delle persone giuridiche Telecom e Pirelli per corruzione in base alla legge 231) e dodici rinvii a giudizio al 22 settembre»,

si chiede di sapere:
se l’operato di Tronchetti Provera nella gestione della Telecom Italia non sia stata improntata a perseguire gli esclusivi interessi privati a favore di Pirelli, danneggiando in tal modo in maniera irrimediabile diritti ed interessi di Telecom Italia e dei suoi azionisti, notevolmente danneggiati da una gestione singolare di una società saccheggiata e depredata, che ha visto deprezzare il valore del titolo sceso fino ad un euro ad azione;

se l’intervista di Guido Rossi rilasciata a “la Repubblica” dove si conferma una diagnosi spietata sui mali profondi del capitalismo italiano e sulla sua incapacità di cambiare non avrebbe dovuto destare l’allarme su un Tronchetti Provera, ad opinione dell’interrogante dominus incontrastato dell’affarismo più spericolato perseguito anche con il dossieraggio illegale;

se le dichiarazioni di Emanuele Cipriani in merito a Marco Tronchetti Provera non rappresentino la “prova provata” del vero mandante delle schedature illecite, dato che né Telecom né Pirelli avrebbero mai formalizzato alcuna denuncia di appropriazione indebita nei confronti dello stesso Cipriani;

se risponda al vero che i Consiglieri di amministrazione durante la riunione di Telecom Italia del 16 dicembre 2010 abbiano preso una decisione di non proporre, allo stato, l’azione di responsabilità verso i vertici esecutivi del periodo 2001-2007, indipendentemente dalla lettura del rapporto Deloitte perché nessuno dei presenti, tranne i vertici esecutivi stessi, ne conoscevano i contenuti in quanto non avevano avuto modo di leggerli nel corso della riunione;

per quali ragioni il rapporto di Deloitte, che non conterrebbe alcuna censura nei confronti degli ex vertici, non sia stato diffuso pubblicamente ed integralmente da parte di Telecom;

per quale motivo i pareri legali di accompagnamento, che come il rapporto Deloitte non sono ancora stati resi pubblicamente disponibili, benché pagati con i soldi di tutti gli azionisti, siano stati letti integralmente e compresi dal signor Tarak Ben Ammar, che sembra rispondere agli interessi dei soci forti di Telecom Italia, Mediobanca e Generali, a danno degli azionisti minori che richiedono un’azione di responsabilità per acclarare la disastrosa gestione Tronchetti, Buora e Ruggiero;

se Tarak Ben Ammar, nel momento in cui dichiara che non c’era materia per andare contro i precedenti amministratori, decisione che sembrerebbe sia stata presa senza leggere il rapporto Deloitte, come peraltro dovrebbe rilevarsi dal verbale del consiglio d’amministrazione diffuso su richiesta della Consob, abbia avuto modo di visionare lo stesso rapporto ed in altra sede, violando in tal modo la parità informativa con gli altri consiglieri di amministrazione (esclusi i vertici esecutivi), che il rapporto stesso lo avevano commissionato nel marzo 2010;

quali misure urgenti il Governo intenda attivare per evitare che la scandalosa gestione di Telecom Italia, depauperata da Marco Tronchetti Provera, Carlo Buora, Renato Ruggiero, possa andare in prescrizione senza che vengano accertate le colpe, che potrebbero emergere da una solida azione di responsabilità, a giudizio dell’interrogante oggi negata da una ragnatela di connivenze e di protezioni erette da parte di banchieri ed assicuratori, azionisti della stessa Telecom Italia, in un gigantesco conflitto di interessi, vero e proprio groviglio che trama nell’ombra per garantire l’impunità dello stesso Tronchetti e dei suoi sodali.

 

Senatore Elio Lannuti

Italia dei Valori