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Perché Rick Rubin è tra le 100 persone più influenti al mondo sull’AI

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Dal punk al vibe coding: Rick Rubin è il produttore musicale che vuole abbattere le barriere della creatività con l’AI.

In questa serie di approfondimenti esploriamo le persone che, secondo la lista TIME100 AI, stanno orientando direzione e regole dell’intelligenza artificiale. Ogni puntata offre tre chiavi di lettura: chi sono (e cosa hanno fatto davvero), perché contano ora (non ieri), che impatto avranno su mercato, policy e sicurezza.Dopo Yoshua BengioPaula IngabireLiang Wenfeng, Dario Amodei, Henna Virkkunen, Dávid Jancsó e Mark Zuckerberg è il turno di Rick Rubin, storico produttore musicale.

Rick Rubin: la storia

Rick Rubin ha prodotto negli ultimi 40 anni brani pop, rock e hip-hop che hanno segnato la storia dell’industria musicale, inclusi successi iconici per Run-DMC, Johnny Cash, Red Hot Chili Peppers e Jay-Z. Eppure, tocca raramente uno strumento o una console: Rubin è famoso piuttosto per dare agli artisti appunti, suggerimenti e incoraggiamenti capaci di portarli in uno stato di “flusso creativo”.

Non sorprende quindi che la sua nuova fase artistica ruoti attorno al vibe coding: un approccio in cui programmatori dilettanti danno istruzioni in linguaggio naturale a sistemi di AI per generare codice. Il termine, reso popolare dal cofondatore di OpenAI Andrej Karpathy, suggerisce che il futuro della programmazione possa essere AI-assistito, permettendo anche a chi non ha competenze tecniche di costruire piattaforme e prodotti. A marzo, Y Combinator ha segnalato che un quarto delle startup del suo batch invernale aveva già il 95% del codice scritto dall’AI.

A maggio, Rubin ha collaborato con la startup Anthropic su un trattato di vibe coding ispirato al Tao Te Ching, antico testo della filosofia taoista di Lao Tzu. ”In un podcast, Rubin ha paragonato il vibe coding all’ascesa del punk: quando artisti con pochissima formazione musicale hanno fondato band guidati solo da un’etica diversa. “Non ti servivano competenze o abilità particolari, se non la tua idea e la capacità di comunicarla,” ha spiegato.

Il trattato di Rubin è forse volutamente eccentrico, e la sua visione non si è ancora realizzata: il codice AI-assistito resta limitato e soggetto a errori. Uno studio pubblicato a luglio dalla no profit METR ha rilevato che usare l’AI per programmare può addirittura rallentare gli sviluppatori. Eppure, man mano che la filosofia del vibe coding si diffonde, sempre più persone potrebbero convincersi a provarla. Rubin ha ispirato generazioni di musicisti: chi può dire che non riesca a ispirare anche generazioni di programmatori?

Impatto su mercato, policy e sicurezza

Il vibe coding, sebbene ancora agli inizi, potrebbe aprire nuove strade a startup e creativi che non hanno competenze tecniche. Ridurre la barriera d’ingresso significherebbe allargare la platea di chi può lanciare prodotti digitali o piattaforme, con un potenziale impatto sull’industria della musica, del software e della creatività digitale in generale.

La democratizzazione del codice solleva interrogativi su copyright, proprietà intellettuale e paternità delle opere generate con AI. Se chiunque può creare applicazioni e contenuti con semplici istruzioni, diventa urgente stabilire regole su trasparenza, responsabilità e utilizzo dei dati.

Un approccio che rende la programmazione accessibile a tutti apre anche vulnerabilità: codice difettoso, exploit non previsti, deepfake sonori o musicali, plagio stilistico. La filosofia di Rubin può ispirare, ma rischia anche di abbassare troppo le difese, se non accompagnata da controlli e linee guida adeguate.

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