In questa serie di approfondimenti esploriamo le persone che, secondo la lista TIME100 AI, stanno orientando direzione e regole dell’intelligenza artificiale. Ogni puntata offre tre chiavi di lettura: chi sono (e cosa hanno fatto davvero), perché contano ora (non ieri), che impatto avranno su mercato, policy e sicurezza.Dopo Yoshua Bengio, Paula Ingabire, Liang Wenfeng, Dario Amodei ed Henna Virkkunen tocca a Dávid Jancsó, montatore ungherese che ha portato l’AI dentro il cuore del cinema di Hollywood.
Chi è il montatore
Jancsó è da oltre dieci anni un editor rispettato nell’industria cinematografica europea e internazionale. Nel 2024 ha firmato il montaggio del suo progetto più importante, The Brutalist, film che ha raccolto dieci nomination agli Oscar, compresa quella per il miglior montaggio. Figlio del celebre regista Miklós Jancsó, ha collaborato a lungo con Kornél Mundruczó, perfezionando un approccio tecnico e narrativo che unisce sensibilità artistica e sperimentazione. La sua carriera ha però preso una svolta quando ha ammesso di aver usato l’intelligenza artificiale per migliorare il risultato finale.
Perché conta ora
Durante la post-produzione di The Brutalist, Jancsó ha utilizzato Respeecher, software ucraino di voice AI, per perfezionare la pronuncia ungherese di Adrien Brody e Felicity Jones. Gli attori avevano studiato la lingua per mesi, ma l’AI ha consentito di ritoccare vocali e consonanti in modo che la dizione risultasse impeccabile. In pratica, Jancsó ha “donato” la propria voce al modello per correggere i dettagli del dialetto. “Rende il processo molto più veloce,” ha spiegato a *Red Shark News. “Usiamo l’AI per creare quei minuscoli dettagli che non avevamo tempo o budget per girare.” Una scelta che ha scatenato un dibattito feroce: in un’industria ossessionata dall’autenticità e dalla difesa della creatività umana, alcuni hanno invocato l’esclusione del film dalle nomination.
Impatto su mercato, policy e sicurezza
La risposta dell’Academy è arrivata rapida: l’uso dell’AI “non aiuterà né danneggerà” le possibilità di candidatura. Il criterio resta “il grado in cui un essere umano è al centro della paternità creativa.” Una presa di posizione che non chiude la questione, ma che segna un precedente. Da un lato, il caso Jancsó legittima l’uso dichiarato dell’AI nei processi creativi, aprendo la porta a chi vuole sperimentare senza timore di essere squalificato. Dall’altro, mette a nudo il nervo scoperto dell’industria: fino a che punto il pubblico si fiderà di un’opera quando sa che dietro le performance degli attori o il ritmo del montaggio c’è l’intervento di un algoritmo?
E mentre Hollywood discute, arriva un segnale ancora più radicale: secondo il Wall Street Journal, OpenAI produrrà entro il 2026 un film interamente creato con l’AI, dal titolo Critterz. Budget sotto i 30 milioni di dollari, nove mesi di lavorazione e partnership tra Los Angeles e Londra: numeri che ridisegnano i parametri dell’industria. Se Jancsó ha aperto il varco con la sua trasparenza, OpenAI prova ora a trasformarlo in business, puntando a un modello produttivo che potrebbe cambiare per sempre il cinema.