Il Rapporto Perlmutter su AI e copyright che non piace a Trump
Nel fine settimana appena passato, il Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, non ha perso occasione per far parlare di sé sui giornali, e secondo quanto riportato da diverse fonti stampa, ha provveduto a licenziare (con la classica email e con effetto immediato) il capo dell’Ufficio per il copyright degli Stati Uniti, Shira Perlmutter, responsabile del registro del diritto d’autore e direttrice dell’omonimo ufficio federale.
Secondo il Washington Post e la NBC News, tra le prime testate a riportare la notizia, alla base del licenziamento c’è la pubblicazione del rapporto sul come lo sviluppo dell’intelligenza artificiale (AI) possa entrare in conflitto e compromettere i diritti di proprietà intellettuale, in particolare il copyright.
L’allontanamento di Perlmutter segue quello della bibliotecaria del Congresso degli Stati Uniti, Carla Hayden, che sovrintende all’ufficio del copyright.
Il problema, a quanto si capisce non solo dagli articoli di giornale, ma anche dalle testimonianze dei colleghi delle persone licenziate dall’amministrazione Trump, è legato all’addestramento dell’AI e alla violazione delle leggi che regolano il fair use dei contenuti protetti da diritto d’autore.
Un documento che non si accanisce sull’AI
Dando un’occhiata al Rapporto Perlmutter, dal titolo “Copyright and Artificial Intelligence Part 3: Generative AI Training”, la prima cosa che si nota non è un attacco all’AI nel suo insieme, ma solamente delle indicazioni su come affrontare delle sfide, che non si possono di certo ignorare nel percorso di sviluppo di questa tecnologica.
Il rapporto, terza parte di un lungo studio sull’intelligenza artificiale, è il risultato di una revisione avviata da Perlmutter nel 2023, che ha raccolto le opinioni di migliaia di persone, tra cui sviluppatori di software, attori, artisti e cantanti.
Le preoccupazioni principali si concentrano sul bilanciamento tra innovazione tecnologica e tutela del diritto d’autore, con l’obiettivo di evitare danni economici e culturali a lungo termine, promuovendo al contempo forme di collaborazione e soluzioni di licenza efficaci.
Le diverse fasi dello sviluppo dell’AI generativa implicano l’uso di opere coperte da copyright in modi che violano i diritti esclusivi dei titolari. Questo solleva preoccupazioni legali, specialmente in assenza di autorizzazione.
Sebbene si affermi che il “fair use” (uso corretto) possa offrire una base legale per alcuni usi, si sottolinea che “l’uso commerciale per produrre contenuti espressivi che competono direttamente con quelli originali va oltre i limiti tradizionali del fair use, soprattutto se basato su accessi illegali ai contenuti”.
Ancora, si chiarisce che “anche se stanno emergendo accordi di licenza volontari, questi sono ancora inconsistenti e limitati. L’assenza di meccanismi di licenza efficaci può ostacolare un equilibrio tra innovazione e rispetto dei diritti d’autore”.
Emerge dal rapporto la necessità di trovare “soluzioni pratiche”, ma anche “maggiore cautela nell’intervento governativo” in questo settore: “Si esclude, per ora, un intervento legislativo, data la mancanza di consenso tra gli stakeholder”, tuttavia, è precisato “viene evidenziata l’esigenza di soluzioni pratiche e alternative, come la licenza collettiva estesa, per colmare le lacune del mercato”.
Nessun accanimento contro l’AI, insomma, ma solo la richiesta di maggiore attenzione ad alcuni punti sensibili e la ricerca di regole chiare che consentano uno sviluppo della tecnologia in armonia con i diritti di proprietà intellettuale.
Trump accentra potere e Musk se ne avvantaggia
Eppure l’amministrazione Trump ha voluto colpire gli uffici centrali del copyright. Secondo il Post e altri giornali come The Guardian, c’è sicuramente la volontà del Presidente di togliere di mezzo chiunque si tenti di fermare o anche solo rallentare i suoi programmi di governo.
Non è un mistero, ormai, che Trump voglia rimodellare l’apparato governativo federale degli Stati Uniti e l’operato del DOGE guidato dal fedelissimo Elon Musk, nonostante le critiche e gli evidenti errori, va proprio in questa direzione.
Proprio Musk potrebbe infine aver giocato un ruolo da protagonista in questa storia. L’imprenditore miliardario a servizio di Trump, oltre a Tesla, SpaceX e Neuralink ,ha anche fondato xAI, società che ha sviluppato il chatbot Grok.
Musk ha sempre sostenuto la necessità di ridurre o anche eliminare le leggi sulla proprietà intellettuale, un’inutile zavorra che rallenta a suo dire l’innovazione tecnologica e il lancio sul mercato di nuovi prodotti e servizi.
Solo un mese fa, l’organizzazione di orientamento conservatore e molto vicina a Trump, American Accountability Foundation, aveva chiesto l’allontanamento proprio di Perlmutter e Hayden per “riportare la proprietà intellettuale nell’Agenda America first”, cioè per promuovere o riscrivere “regole più orientate verso gli interessi industriali”, o di alcuni settori molto vicini al Presidente e alla sua amministrazione.
Il deputato Joe Morelle, principale esponente democratico della Commissione per l’amministrazione della Camera, che sovrintende alla Biblioteca del Congresso e all’Ufficio per il copyright degli Stati Uniti, ha dichiarato: “non è una coincidenza che Trump abbia agito meno di un giorno dopo che Perlmutter si è rifiutata di approvare automaticamente i tentativi di Elon Musk di sfruttare opere protette da copyright per addestrare modelli di intelligenza artificiale“.
“Questa azione calpesta ancora una volta l’autorità dell’Articolo 1 del Congresso e getta nel caos un’industria da mille miliardi di dollari“, ha affermato Morelle.