Privacy, le proposte tedesche sul data protection rischiano di favorire gli OTT

di Alessandra Talarico |

Dopo la deflagrazione del Datagate, la Germania vuole inserire la questione del data protection nei negoziati sull'accordo di libero scambio Ue-Usa. Ma ciò finirebbe per favorire gli OTT, che da sempre stanno pressando per regole ‘all’americana’.

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Gli intellettuali di Germania chiedono che il paese conceda l’asilo politico a Edward Snowden, che dalla Russia, dove risiede, ieri ha fatto arrivare al quotidiano tedesco Der Spiegel il suo ‘Manifesto per la libertà‘. Il medesimo appello arriva, nei confronti del governo svizzero, dalla ex Consigliera federale Micheline Calmy-Rey, secondo cui Snowden “…è un personaggio coraggioso che ha agito secondo la sua coscienza”.

 

Le rivelazioni dell’ex analista della Cia continuano ad alimentare le frizioni tra gli Usa e il resto del mondo, anche se è palese che non è solo il governo americano a mettere in atto il monitoraggio a tappeto delle comunicazioni: come se i servizi segreti di qualsiasi paese non facessero (anche) questo per mestiere. Ci si stupisce, dunque, del clamore e delle paginate di commenti sconcertati a ogni nuova rivelazione di Snowden.

 

E c’è chi teme che da tutto questo clamore le web company americane possano trarre, se possibile, ulteriori vantaggi sia in termini commerciali che regolamentari: secondo un funzionario europeo, infatti, la proposta della Germania di includere nuove regole sul data protection nei negoziati sull’accordo di libero scambio Ue-Usa potrebbe favorire i giganti americani del web – come Google e Facebook – che già fanno incetta di dati personali sfruttandoli a fini commerciali.

Non a caso, i lobbisti americani – che stanno ‘investendo’ tempo e soldi (si parla di 10 mln di euro solo nel 2012) per annacquare le nuove regole Ue sulla protezione dei dati – spingono proprio nella direzione ora indicata anche dalla Germania.

 

“Introdurre il tema della protezione dei dati in questi negoziati gioca proprio a favore dei lobbisti americani…dobbiamo prima avere le nostre regole e poi sederci con gli americani a discutere di privacy”, ha riferito il funzionario Ue, citato dal Financial Times.

 

Il fatto è che dopo oltre un anno e mezzo di trattative sono gli stessi Paesi Ue a non trovare la quadra (le nuove norme sono ancora in fase di discussione tra Parlamento Ue e Stati membri)  e l’Europa manca quindi di regole solide in materia, visto che la direttiva attualmente in vigore è stata emanata nel 1995 ed è pertanto inadatta all’era digitale.

 

Uno stallo che non fa che avvantaggiare i detrattori della proposta, tra cui, appunto, le web company americane, secondo cui le regole messe a punto dalla Commissione sono inattuabili perché non danno certezza su come possono essere usati i dati personali degli utenti: secondo slcuni esperti, infatti, inserire il data protection nei negoziati sul Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP)  potrebbe voler dire riscrivere daccapo le proposte sul tavolo e consentire alle aziende Usa di ottenere vincoli meno severi, più ‘all’americana’ insomma.

 

Se infatti in Europa la privacy è un diritto fondamentale ed è pertanto fermamente regolamentato, negli Usa invece si ritiene un diritto dei consumatori ed è regolamentata in maniera molto più soft: oltreoceano vige, peraltro, un regime di autoregolamentazione in base al quale le aziende possono raccogliere i dati degli utenti a loro piacimento, presumendo che ne facciano un uso corretto. Questo schema inadatto alle esigenze europee, dove si fa molta più attenzione ai dati sensibili dei consumatori, è da sempre pomo della discordia tra Ue e Stati Uniti.

 

Gli Usa e i suoi campioni hi-tech, insomma, non vogliono rassegnarsi a dover sottostare alle norme europee quando trattano dati di cittadini europei e si nascondono dietro la scusa di rendere ‘interoperabili’ i rispettivi sistemi di protezione dei dati per bypassare gli standard europei, anche quelli futuri.