Il trend

1,5 milioni di lavoratori poveri in Italia. Colpa della tecnologia? No, mancanza di competenze

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Il lavoro non è più uno strumento di emancipazione personale e famigliare. Nell’Italia del Covid-19 si lavora e ci si impoverisce, quasi un milione di persone non sono più occupate, ma le professioni intellettuali invece aumentano la domanda di lavoratori. Competenze digitali richieste in 7 assunzioni su 10.

I lavoratori considerati poveri nel nostro Paese sono più di 1,5 milioni, secondo i dati del Rapporto UGL-Censis presentato in occasione del Primo Maggio. Si tratta non solo di operai mal pagati, ma anche di quadri ed impiegati soggetti a nuove povertà per retribuzione insufficienti.

Negli ultimi dieci anni questo fenomeno è andato aumentando in maniera vertiginosa, con una crescita del +84% (+690 mila nuovi lavoratori poveri). Tra il 2019 ed il 2020 tale cifra è aumentata di 270mila unità (+22%).

Nel tempo la situazione è peggiorata anche per i lavoratori in proprio (+230%), che hanno visto scendere il proprio potere contrattuale.

Il lavoro non sembra più uno strumento sicuro di emancipazione e miglioramento della qualità della vita, per sé stessi e i propri famigliari. Il lavoro sta cambiando, cambiano le condizioni, gli strumenti e le conoscenze necessarie per eseguire un compito, per svolgere una professione.

C’è poi anche chi si impoverisce perché il lavoro lo perde. Secondo l’indagine, tra l’Italia pre Covid-19 e quella in piena pandemia (febbraio 2020 e febbraio 2021) si sono registrati -945mila occupati (-4,1%).

Un duro colpo che accomuna i lavoratori dipendenti, con 590mila occupati in meno (-3,3%) e quelli autonomi, con -355mila occupati (-6,8%). Un dato che taglia il mondo del lavoro trasversalmente alle condizioni sociali ed economiche, con il 65,7% dei lavoratori impaurito o in ansia e, comunque, preoccupato per il proprio futuro.

Dati drammatici che potrebbero anche peggiorare, considerando che ancora è in vigore il divieto di licenziamenti.

Il virus ha cambiato le nostre vite in maniera drastica, ma a ricordarsi bene è già da almeno un paio di anni che si parla di trasformazione del mondo del lavoro, di industria 4.0, di nuove competenze digitali, di necessità di formazione avanzata dei lavoratori.

Questo perché il mondo del lavoro è in transizione tecnologica e nel decennio 2010-2020 in Italia si è registrato un forte aumento delle professioni intellettuali, con 550mila occupati in più (+19%), degli addetti alla vendita e ai servizi personali (+398mila circa, +10,5%) e del personale non qualificato (+180mila, +7,9%).

Allo stesso tempo, colpisce il crollo di dirigenti e imprenditori (-100mila, -14%) e di operai ed esecutivi (-711mila, -12,1%).

Per professioni intellettuali qui ci si riferisce al concetto di contenuto intellettuale, quindi a figure professionali di vario tipo: ingegneri, analisti e progettisti di software, statistici e specialisti in scienze umane e sociali.

Più di un terzo dei lavoratori italiani in quest’ultimo anno ha svolto le proprie attività in modalità remota, in smart working. Una situazione che per la prima volta ha messo un gran numero di lavoratori di fronte alla sfida tecnologica del nostro tempo: per fare, bisogna saper fare, quindi bisogna saper utilizzare la tecnologia e conoscerne i linguaggi, le specificità e i pericoli anche (sicurezza informatica, tutela dei dati personali e sensibili aziendali).

C’è da considerare che l’80% delle professioni subirà pesanti cambiamenti entro i prossimi dieci anni, secondo un recente studio condotto da Gruppo Manpower, EY e Pearson.

Più di un terzo della forza lavoro attuale in Italia (36%) svolgerà professioni che cresceranno molto entro il 2030, mentre tutte le altre (più del 60%) rimarranno stabili o tenderanno a decrescere.

Delle professioni in crescita abbiamo servizi informatici e delle telecomunicazioni, public utilities (acqua, gas, energia, ambiente), servizi dei media e della comunicazione, servizi operativi di supporto alle imprese, servizi culturali e verso le altre persone.

Nell’Unione europea 9 lavori su 10 richiederanno in futuro nuove competenze o un loro aggiornamento e l’Italia è quint’ultima nel vecchio continente per le competenze digitali dei lavoratori, secondo uno studio della Corte dei Conti dell’Unione.

Il 50% dei lavoratori italiani è privo di digital skills, contro il 35% della media europea.

Secondo Unioncamere, per lavorare nelle imprese italiane le competenze digitali sono necessarie per 7 assunzioni su 10, ma per un terzo dei lavoratori tali competenze sono inadeguate o insufficienti.

Cloud, big data analytics, internet delle cose, intelligenza artfifciale, cybersecurity, robotica e automazione, reti e infrastrutture, sono questi i settori che in futuro daranno lavoro a milioni di cittadini europei, ma è chiaro che bisogna acquisire le conoscenze giuste per trovare impiego, investire nella formazione.

Un’ultima considerazione, che rende più chiara la transizione in corso: il 65% dei bambini che oggi va a scuola farà lavori in un futuro prossimo che oggi ancora non esistono, secondo il World Economic Forum.