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Trump dà a Microsoft 45 giorni per acquistare TikTok (ma solo per Usa, Canada, Australia e Nuova Zelanda)

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In caso di deal, Microsoft sfida Facebook nel mercato dei social network e gli Usa vincono una battaglia nella tech war con la Cina.

Dalla minaccia del ban a TikTok negli Usa all’ok a Microsoft per continuare la trattativa per acquistare l’app cinese entro il 15 settembre. Donald Trump ha cambiato così approccio sull’affaire TikTok che potrebbe diventare un’affare per la società con sede a Redwood, Washington, pronta a spendere anche 50 miliardi di dollari, questa la stima della valutazione dell’app effettuata da Reuters

La stessa agenzia d’informazione riferisce oggi che Trump ha accettato di consentire a Microsoft di negoziare l’acquisizione del social del momento, l’app cinese popolarissima tra i più giovani che consente di pubblicare brevi video, dopo un colloquio avuto ieri con Satya Nadella, il ceo di Microsoft, e dopo aver ascoltato le pressioni di alcuni dei suoi consiglieri e molti esponenti nel partito repubblicano, secondo i quali la messa al bando di TikTok alienerebbe molti dei suoi giovani utenti prima delle elezioni presidenziali statunitensi di novembre e probabilmente scatenerebbe un’ondata di sfide legali.

“Una vittoria per entrambe le parti”, ha commentato il senatore repubblicano Lindsey Graham in merito alla nuova posizione di Trump, favorevole ora all’acquisto di TikTok da parte di Microsoft. Ma non per tutto il mondo con i suoi 800 milioni di utenti. In Italia per esempio, dove gli utenti sono 3,9 milioni, resta di proprietà cinese.

TikTok a Microsoft non in tutto il mondo

Nella nota ufficiale Microsoft ha spiegato che è intenzionata ad acquistare TikTok solo per i mercati degli Stati Uniti, Canada, Australia e Nuova Zelanda promettendo nessuna modifica sulle funzionalità che gli utenti amano, ma “aggiungendo al contempo protezioni di sicurezza, privacy e sicurezza digitali di livello mondiale”.

Il modello di trasparenza dei dati proposto dalla multinazionale fondata da Bill Gates concretamente prevede:

  • garantire che tutti i dati privati degli utenti americani di TikTok vengano trasferiti dai server in Cina e rimangano negli Stati Uniti. Nella misura in cui tali dati siano attualmente archiviati o sottoposti a backup al di fuori degli Stati Uniti, Microsoft assicurerà che tali dati vengano eliminati dai server al di fuori del Paese dopo il trasferimento.

Dunque si sta disputanto una guerra tecnologica a causa delle preoccupazioni di Trump secondo cui la proprietà cinese di TikTok rappresenti un rischio per la sicurezza nazionale per come sono gestiti i dati degli utenti da parte di ByteDance, la società della popolare applicazione che solo negli Usa conta 100 milioni di utenti.

I troppi dati raccolti da TikTok

Secondo quanto riporta il sito esquire.com, il ricercatore informatico Bangorlol, ha dichiarato come TikTok raccoglie un numero superiore di dati rispetto a quelli catturati dagli altri social network. Per la precisione, questa app monitora tutti i dettagli hardware del nostro telefono (tipo di CPU, ID dell’hardware, utilizzo della memoria, spazio su disco, ecc.), le app che abbiamo installato, il nostro indirizzo IP, il nostro indirizzo MAC, i punti di accesso al WiFi e tutto ciò che ha a che fare con il network utilizzato.

In alcuni casi, la app invia ogni trenta secondi al suo quartier generale, tramite localizzazione GPS, il luogo preciso in cui ci troviamo (questa opzione si attiva non appena aggiungete la vostra posizione a un post). La app rivela inoltre la mail degli utenti, la seconda mail utilizzata per recuperare l’account smarrito e anche il vero nome degli utenti e il loro compleanno.

Una quantità di dati che, secondo Bangorlol, “è nettamente superiore a quella raccolta da app come Facebook, Instagram o Twitter”. Non solo: il comportamento di questa app è celato con attenzione dagli sviluppatori: tutte le richieste di analytics sono criptate e la chiave per decifrarle cambia con ogni aggiornamento dell’applicazione.

Il ceo di ByteDance, che controlla TikTok, scrive lettera ai dipendenti

ByteDance non ha confermato pubblicamente la notizia della trattativa in corso con Microsoft. Ma in una lettera interna inviata allo staff e visionata da Reuters, il fondatore e CEO della società, Zhang Yiming, ha dichiarato che l’azienda ha avviato colloqui con una società tecnologica non identificata. Nella lettera il ceo aggiunge anche che ByteDance non è d’accordo con la posizione assunta dal Comitato per gli investimenti esteri negli Stati Uniti (CFIUS) secondo cui la società deve cedere completamente le operazioni statunitensi di TikTok.

“Non siamo d’accordo con la conclusione di CFIUS”, ha scritto Yiming ma ha aggiunto: “… capiamo la decisione nell’attuale macro-contesto”.

Infatti, le trattative tra le due società si baseranno su una notifica inviata da Microsoft e ByteDance al Comitato per gli investimenti esteri negli Stati Uniti (CFIUS). E Microsoft può invitare altri investitori americani a partecipare in minoranza all’acquisto. Attualmente circa il 70% del capitale esterno che ByteDance ha raccolto proviene dagli Stati Uniti.

In caso di deal, Microsoft sfida Facebook e gli Usa vincono battaglia nella tech war con la Cina

“Queste discussioni sono preliminari e non è possibile garantire che si concluderà con un accordo finale con Microsoft”, ha dichiarato la società Usa. Ma in caso di deal, entro la metà di settembre 2020, si rimodellerebbe il mercato dei social network a livello globale, con Microsoft proprietaria di TikTok negli Stati Uniti (il giro d’affari negli Usa del social è di mezzo miliardo di dollari), Canada, Australia e Nuova Zelanda e di LinkedIn in tutto il mondo (quest’ultimo social è stato pagato cash dalla società nel 2016 per 26 miliardi di dollari). Sarebbe una bella sfida lanciata a Facebook proprietaria anche di Instagram e soprattutto una battaglia vinta dagli Usa in quella guerra con la Cina per la supremazia tecnologica mondiale.

Al tempo stesso, scrive il Financial Times, “un buyout alimenterebbe solo polemiche sul dominio di Big Tech. Rafforzerebbe l’argomentazione secondo cui le mega corporazioni digitali non solo amplificano l’influenza delle nazioni ospitanti, ma possono anche agire come armi dello Stato, pure nelle democrazie”.