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Smart working e cybersecurity, quali minacce?

di Sara Colnago, Business Competence |

Questa emergenza ha infatti amplificato a livello mondiale l’accesso dall’esterno ai dati proprietari, spingendo i lavoratori ad utilizzare reti domestiche per continuare l’attività lavorativa e moltiplicando di conseguenza il rischio di una loro possibile violazione.

Un weekend è bastato a generare panico e a far chiudere temporaneamente scuole e attività commerciali. Il coronavirus ha creato condizioni di isolamento, limitando gli spostamenti casa-lavoro e frammentando i diversi team aziendali.

Smart working a causa dell’emergenza

Costretta così una buona parte del nord Italia lontana dal proprio posto di lavoro, alcuni lavoratori si sono visti obbligati a sospendere le normali attività lavorative; ma in moltissimi altri casi, invece, si è creato il presupposto per testare una nuova metodologia lavorativa: lo smart working.

Sebbene già molte aziende permettano ai propri dipendenti delle giornate di lavoro da remoto, l’ultima settimana di febbraio 2020 ha visto espandersi a macchia d’olio il fenomeno del lavoro agile, permettendo a tanti di continuare con le proprie mansioni senza dover necessariamente recarsi in ufficio.

Fino a questo momento, infatti, l’Italia si attestava tra i meno propensi in Europa a sfruttare questa modalità lavorativa: meno del 5% dei lavoratori lavoravano in maniera stabile od occasionale da casa. Ma una situazione del genere non può certo essere transitoria, per questo le aziende dovrebbero prendere seriamente in considerazione l’idea di organizzarsi permettendo a maggior personale di lavorare da casa.

Gli strumenti digitali necessari per ottimizzare questo processo sono sicuramente connessi alle necessità che ogni attività lavorativa implica.
Ma, in linea generale, adottare dei mezzi utili all’organizzazione generale favorirà il flusso lavorativo e permetterà a tutti i dipendenti di svolgere senza ostacoli i propri compiti.

Gli strumenti per favorire lo smartworking

Innanzitutto occorre lavorare sul miglioramento della performance della rete informatica e organizzativa su cui si basa l’azienda. Mediante un IT assessment è possibile analizzare e scannerizzare la struttura digitale alle fondamenta di tutto il flusso lavorativo, individuando le problematiche connesse sia all’ambiente hardware quanto software, ottimizzando le risorse, eliminando eventuali elementi inutili e favorendo il corretto funzionamento del sistema IT.

Un secondo tool altamente sfruttabile sono le piattaforme condivise: esse sono ottimi mezzi attraverso le quali scambiarsi con facilità e sicurezza i documenti e i file.

Questo tipo di ambiente potrebbe essere anche concretizzato decidendo di creare app ibride per mobile, di modo da facilitare ulteriormente la connessione tra i lavoratori e stimolare la comunicazione.

Per questo, anche l’adozione di veri e propri social network pensati ad hoc potrebbe essere un’alternativa valida, creando uno spazio comune anche online dove potersi ritrovare e riunire in maniera più immediata, pratica e gestibile anche a distanza.

In questi casi, nel momento di progettazione e sviluppo del progetto è necessario tener sempre presente chi saranno gli utilizzatori finali dello strumento: conoscere i bisogni e le necessità dei lavoratori favorirà la realizzazione di un tool davvero di supporto, intuitivi e facili da utilizzare.

Smart working e cybersecurity: quali minacce?

Un occhio di riguardo dovrebbe poi essere riservato alla sicurezza: il coronavirus ha infatti messo alla prova non solo la sicurezza in termini di salute umana, ma anche la sicurezza e lo stato di salute dei dati aziendali.

Le minacce sono tanto interne quanto esterne all’azienda, e riguardano la sicurezza sia dei dispositivi che delle reti e dei dati che vengono coinvolti.

Questa emergenza ha infatti amplificato a livello mondiale l’accesso dall’esterno ai dati proprietari, spingendo i lavoratori ad utilizzare reti domestiche per continuare l’attività lavorativa e moltiplicando di conseguenza il rischio di una loro possibile violazione. È il fenomeno del cosiddetto BYOD (Bring Your Own Device), ossia dell’utilizzo dei dispositivi personali per scopi aziendali.

La struttura connessa tanto allo smart working quanto a quella più generale dell’azienda in rete, implica che si acceda dall’esterno al sistema e alla rete aziendale, coinvolgendo dispositivi propri dei lavoratori non necessariamente sicuri (e fuori dal controllo dell’azienda).

Gli attaccanti sfruttano diverse strade per ottenere quell’accesso non autorizzato ai dispositivi mobili, ma tanto funzionale a danneggiare il sistema: applicazioni infette, reti Wi-Fi pubbliche con bassi livelli di sicurezza, piuttosto che attacchi di phishing e messaggi dannosi.

Quali rischi?

Il rischio è davvero dietro l’angolo, anche in quelle circostanze a cui spesso di da poco pesa: un sito dannoso o che appare come legittimo ma che è in realtà compromesso da un codice malevolo.

Anche le dinamiche di collegamento smartphone-computer, sia per motivi di ricarica sia per trasferimento di contenuti, può essere determinante nel passaggio di minacce dannose per la sicurezza dei dati archiviati o per i quali si ha accesso.

Tutto ciò genera rischi di cyber attacchi da parte di terze parti con possibili obiettivi di sottrarre dati e richiedere un riscatto per rilasciarli. Questo fenomeno costa oggi alle aziende in media 42 milioni di dollari.

Il fenomeno dello smart working è una pratica che sarà sempre più richiesta e praticata negli anni a venire, perciò questo è il momento più opportuno per le aziende di convertire questa crisi in un’opportunità al fine di essere preparati a un futuro sempre più digital e interconnesso. Per evitare problemi costosi (soprattutto in ottica di security), è opportuno investire in metodologie di rinnovamento che leghino la formazione alla protezione.