Rete unica Dossier

Rete unica in Italia. Per i francesi è due volte dannosa

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Il progetto di rete unica in Italia visto come un rischio sul quotidiano francese La Tribune: "La mancanza di concorrenza non può che penalizzare consumatori e contribuenti. Agcom e Commissione Europea veglino attentamente".

“Dallo scorso anno, il settore delle telecomunicazioni italiano ha visto grandi manovre fatte di fusioni, acquisizioni, nazionalizzazioni e grandi spese. Non sono sicuro che i consumatori e i contribuenti italiani ne traggano vantaggio”. Lo scrive oggi sul quotidiano francese La Tribune (Réseau de fibre optique unique en Italie: double peine pour les consommateurs et contribuables) Patrick Coquart, analista di politiche pubbliche che collabora in particolare con l’Institut économique Molinari (IEM) e l’Istituto di ricerca economica e fiscale (IREF) in un lungo editoriale sul progetto rete unica.

Creare una rete unica in fibra

Creare una rete unica in fibra, scrive Coquart, è l’obiettivo di Telecom Italia (Tim), allo scopo dichiarato “di servire al meglio il consumatore italiano che, fino ad ora, non ha beneficiato di una copertura ottimale del territorio”. Il telelavoro che si è diffuso grazie al lockdown è stato l’elemento rivelatore, prosegue l’analisi. 

“Per offrire un servizio all’altezza delle aspettative dei clienti, Tim ha quindi avuto l’idea di fondere la sua rete in fibra ottica (FiberCop, detenuta con Fastweb, uno dei suoi concorrenti) con quella di Enel (Open Fiber). Un’operazione del genere, secondo Telecom Italia, consentirebbe di implementare la fibra in modo più rapido e a un costo inferiore”, scrive Coquart.

“Il governo italiano sostiene questo progetto e vuole anche andare oltre, ascoltando con attenzione le proposte di Beppe Gillo, fondatore del Movimento 5 stelle (M5S), che vuole porre la Cassa Depositi e Prestiti (CDP) italiana al centro del sistema facendola crescere nel capitale di Tim. Attualmente CDP possiede circa il 10% di Tim. Potrebbe, se Beppe Grillo ottenesse soddisfazione, arrivare a detenere quasi il 25% per competere così con Vivendi, il maggiore azionista di Tim. Inoltre, CDP possiede il 50% di OpenFiber, si legge. 

“L’Agcom (Autorità di vigilanza e regolamentazione per le telecomunicazioni in Italia) e la Commissione Europea, nella persona di Margrethe Vestager, commissario alla concorrenza, non vedono (tutto ciò ndr) di buon occhio”, prosegue l’analisi di Coquart su La Tribune.

Telecom Italia è forse alle strette? 

“Telecom Italia è forse alle strette? È chiaro che Tim, desiderando mettere in comune la rete in fibra ottica, sta cercando di risparmiare denaro. L’implementazione di una rete unica utilizzata da più operatori dovrebbe costare meno della duplicazione di reti indipendenti”, prosegue il ragionamento.

“Ma non è piuttosto la conseguenza delle somme astronomiche spese dagli operatori di telecomunicazioni italiani nelle aste 5G? Telecom Italia ha speso 2,4 miliardi di euro all’asta per ottenere il diritto di utilizzare le frequenze” che permettono la realizzazione delle reti 5G. “È il doppio dell’importo che Tim si era originariamente stabilito. È anche il doppio di quanto Orange ha speso per ottenere le sue frequenze 5G in Francia. A questi miliardi se ne aggiungeranno altri, ancora di più, necessari per implementare la rete. È comprensibile, quindi, che l’operatore italiano voglia risparmiare”, prosegue Coquard. 

Gli Italiani penalizzati due volte?

“Ma tutto ciò sulle spalle del consumatore?”, si domanda Coquard, secondo cui gli Italiani sono doppiamente penalizzati. “Non vediamo, infatti, come i consumatori transalpini potranno evitare di pagare il conto. Gli importi spesi da Telecom Italia per ottenere frequenze 5G, quindi per implementare la rete, si troveranno, almeno in parte, nei pacchetti 5G che verranno commercializzati. Tim non si distingue dai suoi concorrenti e dalle controparti che tutti, più o meno, cedono la loro infrastruttura a fondi di investimento che poi gliela concedono in affitto. C’è quindi il rischio di vedere prima o poi aumentare gli affitti delle antenne”, si legge. “È inoltre prevedibile il rischio che i fondi alla fine vendano la loro partecipazione e che si verifichi una concentrazione. Anche in questo caso, il consumatore pagherebbe il prezzo”. 

“Sul versante della fibra ottica, nostro argomento iniziale, la mancanza di concorrenza non può che penalizzare il consumatore”, prosegue l’analisi

Libero mercato a rischio?

È ovvio, prosegue l’analisi, che “un attore monopolista in un mercato ha il potere di limitare i prodotti e servizi e di aumentare i prezzi come desidera. Ma tutto ciò non è troppo grave se non ci sono barriere legali all’ingresso in questo mercato”. Perché allora i concorrenti, avvertiti dall’aumento dei prezzi, approfitteranno del guadagno inaspettato. “Ciò comporterà l’abbassamento di questi stessi prezzi. È qui che il piano di rinazionalizzazione larvata di Tim diventa diabolico. Se lo Stato italiano, tramite CDP, dovesse diventare l’azionista predominante dell’operatore, potrebbe essere tentato di ostacolare il libero mercato a favore di Telecom Italia”, prosegue.

“I contribuenti italiani sarebbero inoltre penalizzati dalla cattiva gestione che caratterizza, il più delle volte, le imprese pubbliche, si tratti o meno di un monopolio. Se Tim finisse completamente nelle mani dello Stato, gli italiani sarebbero dunque penalizzati due volte. In quanto consumatori, subendo un aumento dei prezzi a fronte di un peggioramento dei servizi. In quanto contribuenti, finanziando in perdita un’attività mal gestita. Per questo la realizzazione di una rete in fibra ottica unica in Italia, con CDP al timone, non è banale. Perciò, speriamo che Agcom e la Commissione Europea veglino attentamente per proteggere gli Italiani dal loro governo”, chiude.