l'editoriale

Rete Unica, guerra tra TIM e Open Fiber. Ma i matrimoni si fanno in chiesa non nei tribunali

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TIM e Open Fiber in tribunale, un altro tassello in questa storia che sembra senza fine, con una confusione di ruoli e l’oblio del forte rapporto tra tecnologie e regolamentazioni. La politica, da mesi assente su un processo così delicato e rilevante per l’economia e la crescita del Paese, dovrebbe convincersi che un tema così strategico non può essere ogni volta azzerato, facendo finta di ripartire daccapo.

Guerra aperta tra TIM e Open Fiber. Quest’ultima cita in tribunale a Milano TIM chiedendo danni per 1,5 miliardi di euro, mentre Tim risponde che sta per sferrare analoga azione con richiesta di danni per un importo anche superiore.

È l’ennesima prova della strategia della deterrenza tra i due principali contendenti della partita della rete unica. Una strategia all’opera ormai da un lustro, avvitata su sé stessa, all’interno della quale i capi delle due aziende (Franco Bassanini ed Elisabetta Ripa da un lato e Luigi Gubitosi e Salvatore Rossi dall’altro) sono apparentemente lasciati da soli ed esposti, fuori dalle mura del castello della politica, costretti a fronteggiarsi al galoppo con la lancia sotto l’ascella.

Ma come, non si era detto che la rete è un problema nazionale, un tassello fondamentale per la sicurezza, un punto inamovibile per la difesa della sovranità nazionale del Paese.

E invece no.

Ciò che prevale è l’assordante silenzio della politica italiana.

Un inspiegabile silenzio dei decisori, che dovrebbero invece orientare le scelte del sistema-Paese. Un paradosso, se si considera il coinvolgimento che eufemisticamente potremmo definire non irrilevante della parte pubblica impegnata nella tenzone, con Cassa Depositi e Prestiti (CDP) presente al 50% in Open Fiber e con circa il 10% in TIM. Mentre l’altra metà di Open Fiber è in mano ad ENEL, ovvero sotto il controllo del Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF), che controlla a sua volta anche l’83% di Cassa Depositi e Prestiti.

CDP decise di entrare in TIM quando l’AD era Claudio Costamagna (ora advisor del fondo Macquarie che ha fatto un’offerta per la quota ENEL di Open Fiber). Da allora la partecipazione di CDP è stata raddoppiata. Ai tempi di Costamagna Fabrizio Palermo era CFO di Cassa Depositi e Prestiti ed ora è alla sua guida. Sarebbe davvero utile sapere da CDP quale fu la strategia ispiratrice dell’iniziale coinvolgimento di Cassa Depositi e Prestiti in TIM e quali le ragioni del raddoppio della sua presenza nella compagine dell’operatore telefonico.  Oggi quella strategia registra una minusvalenza “non irrilevante” ai danni del risparmio diffuso italiano. Una cosa che può accadere, certo, ma valutazioni del genere si fanno alla luce delle aspettative dichiarate (che ignoriamo, al di là delle uscite formali) e dei risultati registrati (che sono invece sotto gli occhi di tutti).

Poi c’è da considerare il controllo politico sul settore, esercitato dal Ministero dello Sviluppo Economico, che addirittura non ha ancora assegnato (a 9 mesi dalla nascita del governo) le deleghe alle telecomunicazioni ad uno dei suoi Sottosegretari. Si, è vero, c’è stata alcune settimane fa l’uscita del ministro dello Sviluppo Economico Stefano Patuanelli a favore della “rete unica”, ma il ministro non ha detto su come arrivare a questo obiettivo agognato della “rete unica”.

Anche il premier Giuseppe Conte è intervenuto nei giorni scorsi, prendendo a pretesto l’uscita estemporanea di Beppe Grillo.

Questi aveva definito “fallimentare” l’intervento di Open Fiber, auspicando la sua acquisizione da parte di TIM, indicando anche un ruolo determinante di Cassa Depositi e Prestiti come principale investitore. Una condizione, quella indicata da Grillo, che sovrappone i due concetti di rete “Unica” e “Pubblica”, ma che esclude la missione del “Wholesale-only”, essendo TIM un operatore verticalmente integrato, che secondo tale architettura avrebbe il doppio ruolo da un lato di fornitore all’ingrosso di banda per gli altri operatori e dall’altro di venditore al dettaglio direttamente al consumatore, ma questa volta in concorrenza con i competitor a cui fornisce la vendita di banda all’ingrosso. Una condizione che, si sa, la Commissione Europea non lascerebbe passare.

Incredibilmente, la irrituale esternazione di Grillo (che parla da privato cittadino, nella migliore delle ipotesi), è stata rilanciata dal premier Giuseppe Conte, che ha auspicato la nascita di una rete unica nazionale che permetta al Paese di colmare il divario infrastrutturale. Ma, anche in questo caso, silenzio assoluto sulle modalità con cui arrivare a questo obiettivo. Perché questa uscita così generica, eppure così rilevante, da parte del premier Conte?

E poi c’è TIM.

Con continui assestamenti di governance, con l’avvicendarsi di fondi esteri, con una presenza apparentemente senza missione di CDP nell’azionariato, con un volume di personale di gran lunga esorbitante, con un titolo in Borsa costantemente in sofferenza ed alla ricerca della novità settimanale che ne possa contenere via via il cedimento. Tempo fa vi erano le “soglie psicologiche” del titolo a € 0,70, poi calate a 0,60, quindi a 0,50, infine a 0,40. Ora siamo alcuni centesimi sotto 0,40, ma alcune banche d’affari internazionali stanno dipingendo scenari che possono portare il titolo anche al di sotto della soglia di 0,30 da qui a pochi mesi.

Dal quadro tracciato emerge uno stato di sofferenza decisionale molto grave sul futuro dell’intero sistema.

La politica, da mesi assente su un processo così delicato e rilevante per l’economia e la crescita del Paese, dovrebbe convincersi che un tema così strategico non può essere ogni volta azzerato, facendo finta di ripartire daccapo.

Vi è un pronunciamento del Parlamento italiano del dicembre 2018, quindi in questa stessa legislatura e con la stessa composizione parlamentare, che ha approvato l’indirizzo vincolante per una soluzione del progetto rete di telecomunicazioni, che risponda a tre criteri: la rete dovrà essere unica, pubblica e Wholesale-only.

Ed è da lì che occorre ripartire.

Resta da vedere come si potrà arrivare a questo risultato, con quali soluzioni politiche, architetturali, tecnologiche, finanziarie, sindacali. Ed è per questo che la politica deve uscire allo scoperto, con idee e soluzioni.

Ma di questo ci occuperemo a breve.