l'editoriale

Rete unica? Gli attori, gli interessi e gli errori di una storia senza fine

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Morta una rete se ne fa un’altra. Ora ci siamo. È il momento della verità. Proprio per questo, può essere utile fare una veloce ricostruzione dei soggetti in campo e delle rispettive posizioni e prerogative. La mancata realizzazione di un progetto con poche fondamenta può lasciare oggi il passo ad una nuova strategia, tutta da ridisegnare.

Va oggi verso l’epilogo l’intricata vicenda del dibattito sul futuro della rete. Il tema della rete unica, come è noto, si è sviluppato in modo virulente, quanto sommario, ponendo tutte le parti in commedia in un cul-de-sac da cui nessuno sa più come uscire.

Rete unica, oggi forse l’epilogo? Morta una rete se ne fa un’altra

L’epilogo è dato dal CdA di TIM del 4 agosto che avrebbe dovuto rappresentare l’occasione per l’annuncio ufficiale della cosiddetta società della rete. Molti degli attori e la quasi totalità delle forze politiche davano la circostanza come inevitabile appena sino a pochi giorni fa. Poi è bastato che qualche granellino di sabbia si infilasse negli ingranaggi per interrompere il moto inarrestabile di gigantesche ruote dentate che avrebbero dovuto polverizzare ogni resistenza, nonostante i pareri contrari di UE e Parlamento nazionale.

La vicenda si trascina dal lontano 2008, senza che la nostra classe politica sia stata in grado di elaborare uno straccio di piano in difesa degli interessi nazionali del Paese e delle sue imprese.

Ora ci siamo. È il momento della verità. Proprio per questo, può essere utile fare una veloce ricostruzione dei soggetti in campo e delle rispettive posizioni e prerogative. Non perché ci sia qualcosa che vada a compimento in queste ore, ma semmai perché la mancata realizzazione di un progetto con poche fondamenta può lasciare oggi il passo ad una nuova strategia, tutta da ridisegnare, che governo, forze politiche ed autorità regolatorie dovranno assicurare velocemente al Paese, guardando ai suoi interessi ed alle sue esigenze di rilancio economico.

Il ministro dell’economia e delle finanze

Irrituale l’entrata in scena di qualche settimana fa del ministro Roberto Gualtieri.

Convoca il pomeriggio del venerdì 10 luglio scorso l’amministratore delegato di ENEL, Francesco Starace, chiedendogli di predisporre senza esitazione entro la fine di luglio un Memorandum of Understanding con TIM al fine di pervenire a stretto giro ad un accordo sulla società della rete.

Irrituale perché, ad onore del vero, ENEL a che titolo avrebbe fatto un MoU con TIM? L’accordo avrebbe riguardato in via formale Open Fiber, il cui top management semmai doveva essere convocato al posto di Francesco Starace, la cui azienda ha “solo” il 50% di Open Fiber. A meno che la convocazione non fosse focalizzata sulla necessità di vendita della quota di ENEL in Open Fiber ad uno dei soggetti già presenti sul campo.

Ma il ministro Roberto Gualtieri è il principale azionista di ENEL non il suo socio unico.

Non meraviglia quindi il fatto che ENEL, almeno ufficialmente, non abbia dato seguito alla richiesta del ministro Roberto Gualtieri, dovendo evidentemente dar conto del proprio operato a tutti gli azionisti e non solo al suo principale azionista.

Se così fosse, il peso del ministro Roberto Gualtieri ne uscirebbe notevolmente ridimensionato.

Infine, irrituale perché le competenze specifiche del settore delle telecomunicazioni sono in mano al ministro dello Sviluppo Economico, Stefano Patuanelli, che in tutta la vicenda ha mantenuto una condizione silente per settimane. Potremmo dire che l’intera vicenda della rete lo ha visto ai margini.

Ma se il settore è così strategico per l’economia del Paese, perché l’azione del governo è solo in capo al ministro dell’Economia e delle Finanze (pur considerando che gestisce le partecipazioni pubbliche nelle aziende coinvolte nella vicenda) e non al ministro dello Sviluppo Economico che dovrebbe sovrintendere alle politiche industriali del settore?

La vicenda annosa della rete è un problema solo finanziario o pone precisi compiti in materia di sviluppo industriale del Paese?

Un quesito per il quale sarebbe forse utile trovare una risposta.

La posizione dei partiti

Tendenziale, quanto generica convergenza di quasi tutte le forze politiche alla realizzazione della rete unica pubblica: i politici che si esprimono sull’argomento si dichiarano favorevoli, ma senza approfondire le modalità di realizzazione, senza indicare come procedere, ovvero prendendo le distanze dal vero nocciolo del problema o lasciando il cerino in mano ad altri. Ma a chi?

Fratelli D’Italia

È il partito a cui si deve la parlamentarizzazione del dibattito politico sulla rete, grazie ad una mozione del parlamentare Alessio Butti, che l’ha presentata nell’autunno 2019 e che è andata in discussione a metà dello scorso mese, con un ampio dibattito che ha richiamato il voto del Parlamento che ha approvato il progetto di una rete unica, pubblica e wholesale-only, quindi non verticalmente integrata, in occasione dell’approvazione del Decreto Fiscale 2019.

La mozione ha avuto come prima firmataria la presidente del partito Giorgia Meloni, su un tema che non ha mai coinvolto i vertici dei partiti. Un cambio dei tempi?

PD

Nessuna uscita del segretario Nicola Zingaretti. A dare la linea o le linee, sono altri.

Emanuele Felice (responsabile economia) sostiene su Il Foglio il 16 luglio 2020 che “…Si tratta di razionalizzare, unendo le due reti con la confluenza di Open Fiber in Tim, che potrebbe diventare una public company con una golden share pubblica del 20-30 per cento. A quel punto si crea una controllata di Tim che gestisce la rete e dà garanzie anche agli altri operatori privati, con accordi di sindacato azionari e crea rete unica più efficiente di quella attuale portando il 5G in tutta Italia”. Emerge quindi la società terza della rete. Ma non si dice chi controlla e cosa. Una presenza di CDP al 20-30% può significare tante cose, compreso il consolidamento del debito di TIM in CDP.

Enza Bruno Bossio (Commissione Trasporti), sostiene a maggio 2020 che: “…Occorre insistere verso l’obiettivo di una rete unica di telefonia fissa a partecipazione pubblica…Il punto vero”, ha rilevato l’esponente del Pd, “è di come mettere insieme partner privati: questo è fondamentale perché molti ritardi nascono da sovrapposizioni in alcuni casi e da mancanze in altri…”.

Ancora una volta tutti d’accordo sulla rete unica, ma nessuno dice come arrivarci.

Infine, Gian Paolo Manzella (sottosegretario MISE con delega a PMI e Banda ultralarga) che si dichiara favorevole alla creazione di un tavolo di discussione intorno al quale siedono non solo i privati e le aziende, ma anche rappresentanti delle istituzioni.

Movimento 5S

Esprimono tante anime. La bomba più chiassosa è quella di Beppe Grillo che a giugno scorso spara a zero contro Open Fiber, parlando di fallimento dell’intervento pubblico.

Il ministro dello Sviluppo Economico Stefano Patuanelli si esprime anch’egli genericamente a favore della rete unica a controllo statale, ma senza specificarne le modalità realizzative.

Da canto suo il ministro dell’Innovazione, Paola Pisano, sottolinea come sia importante “…che la rete unica garantisca “il livello massimo di concorrenza” e di sicurezza nazionale, al di là di chi sia il proprietario della rete…”. 

Difficile immaginare, senza ulteriori specificazioni, come si possa assicurare “il livello massimo di concorrenza” con una rete unica. 

Infine, il 29 luglio 2020 i 5S esprimono generale ostilità all’ingresso di KKR nella trattativa sulla rete unica, perché la presenza degli investitori americani renderebbe, secondo il movimento, più complesso il raggiungimento di un accordo. Invocano l’utilizzo del Golden Power del Governo. 

Lega

Per Alessandro Morelli (all’epoca Presidente Commissione Trasporti), la rete unica è il migliore dei mondi, ma bisogna tenere conto della realtà e quindi puntare a valorizzare il mercato esistente con operatori privati, semi-pubblici, e dare valore alle Regioni. Problematico, per Morelli, che TIM abbia al suo interno una forte componente straniera e faccia accordi con fondi stranieri.

Da canto suo, Massimiliano Capitanio insiste su una “…rete nazionale federata per la banda ultralarga…”. 

Forza Italia

Per Federica Zanella (Commissione Trasporti) la rete unica deve configurarsi con piena concorrenza tra gli operatori, efficienza e sicurezza, per migliorare la competitività, i servizi offerti e ridurre i prezzi rivolti all’utenza.

Ma ancora una volta il concetto di rete unica mal si coniuga con l’idea di concorrenza.

TIM

Controllata da Vivendi SA al 23,94%, Cassa Depositi e Prestiti al 9,89%, Paul Elliott Singer al 5%, Investitori Istituzionali stranieri al 43,8%, Investitori Istituzionali italiani al 1,9 %, altri azionisti al 9,82%. 

Governance difficile quella di TIM.

L’azionista di maggioranza, Vivendi, è in minoranza nel CdA.

CDP non è rappresentata e a dirigere le danze in Cda è, formalmente, il fondo Elliott, che ha espresso l’Amministratore delegato Luigi Gubitosi. Come dire che la maggioranza attuale del Cda non rappresenta più nessuno.

Poi ci sono i conti non tornano. E da tempo: flessione costante dei ricavi, crescita costante del debito.

Infine su tutto pesa come un macigno il masso dei 45.000 dipendenti, di cui circa 20.000 sono impegnati nella rete e 25.000 nell’area che possiamo genericamente indicare nei servizi. Troppi sia i primi che i secondi, se si considera che operatori come Vodafone e Wind Tre hanno poco meno di 7.000 dipendenti ciascuno, con un numero di clienti non dissimile, coprendo l’intera area dei servizi e gestendo pezzi anche non irrilevanti di rete; mentre Open Fiber gestisce una rete con 8 milioni di case connesse alla fine del 2019 e con poco più di 1.000 dipendenti complessivi, quindi dedicati anche ad altre funzioni differenti dalla rete.

Inoltre, chiunque voglia investire in TIM sa che per avere un ruolo attivo deve acquisire una quota superiore a quella detenuta da Vivendi (23,94%), sapendo che in caso di superamento del 25% si ha l’obbligo di consolidamento del debito di TIM (poco meno di 30 miliardi di euro) nei conti del proprio gruppo.

Se CDP vorrà crescere in TIM, cosi come l’azienda è oggi configurata, dovrà tener conto di questo e prevedibilmente non potrà farlo in dimensioni superiori alle quote di Vivendi.

Il grande indebitamento e l’elevato numero di dipendenti sono i due macigni che bloccano da oltre 12 anni il dibattito sulla rete in Italia.

Politica, banche, autorità regolatorie, analisti, sanno bene che sarà impossibile trovare alcuna soluzione se non si risolveranno ambedue i problemi.

Vivendi

È uno dei più grandi gruppi multimediali europei, mercato in cui opera Universal Music Group, Canal+ e Havas. É azionista di TIM al 23,94% e di Mediaset con il 28,8%. Dal 2014 ha come principale azionista Vincent Bolloré.

È presente in TIM da 5 anni. Dichiara poco, fa poco, ha una presenza quasi impercettibile, ma una straordinaria capacità di deterrenza. Mantiene un comportamento mimetizzato, un insetto stecco immobile, convinto che vince chi è capace di durare un secondo di più dell’avversario. E Vivendi sembra averne tanti di avversari in questa partita.

Fibercop

È la Newco presentata da TIM nel Piano strategico 2020-2022 a marzo scorso (alla fine di un lungo processo di ricognizione di disponibilità anche internazionali nel corso del 2019), con l’intento di gestire la sua rete secondaria ovvero la rete che va dai Cabinet alle abitazioni/uffici dei clienti, un tratto in genere di alcune centinaia di metri. Obiettivi dichiarati: uso di varie soluzioni di connettività in chiave di trasparenza tecnologica, con FWA nelle aree grigie e nere e con l’obiettivo di coprire il 55% degli edifici in Italia (13,5 milioni) entro il 2026. Fastweb sarebbe pronta a entrare in FiberCop, scambiando la partecipazione in FlashFiber per il 4,4% di FiberCop.

Su FiberCop il fondo americano KKR (che ha tra i suoi advisor Diego Piacentini ex di Amazon ed ex Commissario straordinario per il digitale sotto l’era Renzi, assieme ad un ex CFO di TIM) ha presentato una offerta vincolante di € 1,8 miliardi per il 38% della rete secondaria (su una valutazione complessiva di 7,5 miliardi, debiti compresi).

Nella confusione delle voci di questa settimana, una delle ipotesi paventate è stata quella dell’ingresso di CDP in FiberCop. Una soluzione scarsamente giustificabile. Che senso avrebbe passare da un dualismo pubblico/privato e rete-pubblica/rete-privata tra Open Fiber e TIM ad una altrettanto palese dualità tra pubblico/privato e rete-secondaria/rete-primaria tra TIM e FiberCop.

Recentemente è emerso che la rete secondaria di TIM oggetto delle eventuali competenze di FiberCop è costituita nella quasi totalità di connessioni in rame.

Se così fosse, non sarebbe di alcun interesse da parte di CDP avere partecipazioni in FiberCop e resta da vedere perché mai KKR sarebbe così interessata a quel troncone della rete.

Va da sé, che se l’operazione FiberCop sulla rete secondaria dovesse andare in porto coinvolgendo TIM, KKR e Fastweb dovrà essere notificata al governo secondo quanto previsto dalla normativa sulla Golden Power

Mediaset e Media For Europe (MfE)

È il convitato di pietra dell’intera vicenda della rete italiana. Mediaset è controllata, come è noto, dal gruppo Fininvest.

Nel settembre 2019, Mediaset e Mediaset España sono confluite nella nuova società Media For Europe N.V. olandese, di cui fa parte anche la tedesca ProSiebensat (nella quale sono anche presenti Vivendi e il fondo americano KKR). Grazie al sistema dei voti multipli il controllo di MfE è interamente in mano a Mediaset, con il 47,88% dei diritti di voto, il 10,42% a Vivendi e il 20,81% a Simon Fiduciaria, il trust a cui Vivendi ha affidato le sue quote dopo la richiesta dell’AGCOM. Vivendi, socio di minoranza in Mediaset si era opposto alla fusione e ha presentato diversi ricorsi in tribunali italiani, spagnoli e olandesi. Attualmente, dopo l’udienza di appello della corte di Amsterdam il 24 luglio 2020, e quella del tribunale di Madrid del 30 luglio 2020, MfE è sospesa fino alla sentenza prevista per il 1° settembre 2020.

A giudizio degli analisti più attenti, le vicende giudiziarie tra Vivendi e Mediaset sono parte integrante dell’intera partita sul futuro della rete.

Open Fiber

Società della fibra di proprietà di ENEL (50%) e CDP Equity (50%)

Nasce nel dicembre 2015, su spinta di Renzi, per realizzare l’installazione, la fornitura e l’esercizio di reti di comunicazione elettronica ad alta velocità in fibra ottica con tecnologia FTTH (Fiber-To-The-Home) su tutto il territorio nazionale.

Il dibattito sul futuro della rete ruota intorno al ruolo di Open Fiber.

Incerto il valore della società. Valutata attorno ai 7 miliardi di euro, secondo Bloomberg, agli 8 miliardi di euro da Mediobanca; tutte valutazioni superiori rispetto ai valori precedentemente fatti circolare e assestati in un range tra i 3 e 6 miliardi di euro, in data precedente al recente aumento di capitale.

Nelle aree nelle quali opera, Open Fiber ha realizzato oltre 8 milioni di case passate sino al 2019.

Serve decine di clienti a condizioni non discriminatorie a partire da Vodafone e Wind Tre e, per ultime, Sky Italia e Iliad.

CDP

Controllata al 84% dal MEF e con una partecipazione del 16,9% da parte delle Fondazioni bancarie. CDP controlla al 100% CDP Equity che detiene il 50% di Open Fiber e detiene la partecipazione azionaria del 9,89% di TIM.

L’acquisto delle quote di TIM è avvenuto in tre fasi. 

Nell’aprile 2018 viene acquisito il 4,2% a circa € 0,85 per azione; tra il 15 ed il 28 febbraio 2019, CDP sale al 7,1%, acquistando ad un prezzo medio di € 0,53 per azione. L’8 marzo 2019 passa dal 7,1% all’ 8,7% acquistando a € 0,55 per azione. Infine, il 15 marzo 2019 acquista altre quote per arrivare all’attuale 9,89% comprando al prezzo di € 0.53 per azione.

Ad inizio luglio scorso è coinvolta da voci che la danno lanciata all’acquisto di quote di FiberCop, per bilanciare l’eventuale presenza di KKR.

Secondo questa ipotesi FiberCop dovrebbe essere la famosa società della rete. Ma è una bolla che si sgonfia velocemente: FiberCop rappresenta un progetto di gestione della rete secondaria di TIM, che non eliminerebbe, anzi riproporrebbe, l’attuale dualità pubblico/privato. 

Operazione che punta a favorire lo scorporo della rete secondaria di TIM, per la creazione della rete unica a controllo governativo. 

Enel

Partecipata dal MEF al 23,6%, assieme da investitori istituzionali per il 58% e da azionisti al 18,4%)

Lo scorso 10 luglio 2020, Francesco Starace viene convocato dal Ministro dell’Economia e delle Finanze, Roberto Gualtieri, che (stando alle indiscrezioni di stampa) chiede a ENEL di trovare un accordo attraverso un MoU con TIM in funzione di una società della rete.

Ma ad oggi di tale accordo non vi è traccia.

L’AD di ENEL non fa mistero di essere contrario alla cessione della propria quota in Open Fiber, se ciò portasse semplicemente a favorire TIM.  Intanto sulla stampa (e solo sulla stampa) si fa strada l’ipotesi di una due diligence per la vendita della quota.

L’impressione è che Starace non sia disponibile a prendere ordini da nessuno, neanche dal suo principale azionista, se non dall’insieme degli azionisti dell’azienda da egli guidata, facendo intendere di voler dar luogo solo ad azioni che creino valore per l’azienda.

I sindacati Cgil Cisl e Uil

Si trovano a dover affrontare l’enigma del grande esubero di personale di TIM. Un problema serio. Un esercito di dipendenti cresciuto nel corso dei decenni anche per rispondere alle sollecitazioni della politica. Una eredità dei tempi in cui le telecomunicazioni erano al centro del sistema economico e nel cuore dei partiti.

Oggi non è più così e i sindacati hanno giocato un ruolo non all’altezza. Sono rimasti per lungo tempo, tranne qualche sporadica e ininfluente uscita, ai margini del dibattito.

Tranne che per una uscita in zona Cesarini, in una Cda tarda serata di fine luglio (la sera del 30 luglio, addirittura alle 21,00), a ridosso del Cda di TIM, reclamando una soluzione da follower.

I sindacati auspicano: “…una unica infrastruttura di rete…con un soggetto attuatore che evidentemente non può prescindere dalla presenza di una grande azienda nazionale, e della sua rete, quale è TIMCDP, oggi azionista sia di Open Fiber che di TIM, deve accrescere subito la sua presenza in TIM traguardando nel tempo la creazione di una società pubblica, stabilizzata nella stessa CDP…”.

Insomma la proposta per nulla velata dei sindacati è: una rete unica con TIM alla guida e come azionista di maggioranza, ovvero una società terza della rete sotto il controllo di TIM con CDP come principale azionista di TIM

È singolare che tale proposta sia identica alla posizione del top management di TIM.

Una volta i sindacati davano valutazioni ed indicazioni complessive sul futuro del settore. Si preoccupavano di entrare sulle politiche industriali per condizionarle e negoziarle. Qui abbiamo i vertici dei tre sindacati, al più alto livello, che reclamano l’investimento pubblico per pagare i debiti di una azienda privata (e straniera) con l’obiettivo di non avere la rivolta di decine di migliaia di lavoratori di TIM. Peccato che da questo punto di vista il sindacato non si preoccupi per nulla dei lavoratori delle altre aziende del comparto (Vodafone, Wind Tre, Sky, ecc) le cui posizioni verrebbero indebolite da una situazione di quadro come quella proposta da Cgil Cisl Uil.

Una uscita priva di personalità, quella dei sindacati, che non aiuta a risolvere il problema di fondo e che assottiglia la lista delle parti in commedia che contano.

I fondi

  • KKR

Fondo USA creato nel 1976 come global investment firm.

A metà febbraio 2020 presenta un’offerta non vincolante per acquistare il 40% della rete secondaria (last-mile) di TIM. L’offerta è di 1,8 miliardi di euro, il valore complessivo della rete secondaria stimato da TIM è di 7,5 miliardi di euro (debiti compresi). Operazione interessante per completare il progetto di rete unica a guida TIM. A fine luglio 2020 arriva conferma dell’offerta vincolante: 1,8 miliardi di euro per il 38% della rete secondaria di TIM.

Solo a giugno scorso, KKR aveva manifestato, secondo alcune indiscrezioni di stampa, interesse anche su Open Fiber, per l’acquisto di un 20-25% della società della fibra.

  • WREN HOUSE

Entrata in scena di un fondo presente, tra gli altri, nel London City Airport, nell’Associated British Ports ed in varie società energetiche.

Benché tra i propri obiettivi di investimento dichiari anche il settore delle telecomunicazioni, non ha attualmente né ha avuto in passato quote di società di telecomunicazione. 

Ad inizio luglio, secondo la Reuters, manifesta interesse ad acquistare la quota di ENEL in OpenFiber, non è noto l’importo dell’offerta e né ENEL né Wren House hanno commentato la notizia.

  • MACQUAIRE

Fondo australiano con interessi in infrastrutture, finanza, energie, agricoltura

Tra i suoi advisor figurerebbero Tommaso Pompei (fino al 2017 in OpenFiber) e Fulvio Conti, ex presidente di TIM.

Il 10 giugno Macquarie presenta un’offerta non vincolante per acquistare l’intera quota di ENEL in OpenFiber o una parte di essa. Secondo le informazioni di stampa, non confermate dal gruppo, la somma messa a disposizione per l’operazione è di quasi 8 miliardi € incluso il debito (9,10 miliardi $).  

AGCOM

L’Autorità è entrata molte volte sul tema e in particolare è stata investita nel 2018 della richiesta di separazione della rete fissa di accesso presentata da TIM. L’ipotesi avanzata da TIM consisteva in una società ad hoc a controllo TIM al 100%, dotata di personale per fornire servizi all’ingrosso in maniera indipendente. Per rete di accesso si intende il collegamento dall’abitazione/ufficio sino al cabinet di pertinenza. Non è altro che la rete secondaria da affidare eventualmente a FiberCop e su cui è centrata l’offerta vincolante del fondo americano KKR.

A novembre 2019 il presidente AGCOM Angelo Cardani ha dichiarato in audizione alla Commissione Trasporti alla Camera che la rete unica si può realizzare solo scorporando la fibra da TIM, quindi con una procedura che escluda ogni forma di novello monopolio. 

AGCM (Antitrust)

Lo scorso 8 luglio 2020 sollecita al governo (da pag 82 del Bollettino) un impegno a portare a termine il progetto banda ultralarga, perché le infrastrutture fisse e mobili costituiscono un elemento fondamentale per lo sviluppo nazionale. L’Antitrust sottolinea la necessità di sostenere una domanda con connessioni a velocità non inferiore a 100MB/s.

Si legge nel documento citato che: “…l’Autorità intende svolgere ulteriori considerazioni volte, in un contesto di incentivazione delle reti ultra-broadband ad alta capacità su rete fissa, a mantenere un level playing field tra operatori di comunicazione elettronica a beneficio di una concorrenza sugli investimenti e sui servizi erogati ai consumatori finali. Lo stimolo della concorrenza tra operatori, infatti, potrebbe favorire gli investimenti in una pluralità di reti di telecomunicazione, così permettendo lo sviluppo tecnologico del Paese, e potrebbe al contempo consentire che i consumatori conseguano i giusti benefici in termini di prezzi…”.