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Quando Google non ce la fa a primeggiare ‘mangia’ le società tech. 2,6 miliardi per acquisire Looker

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Big G annuncia l’acquisizione di Looker, azienda specializzata in Big Data analytics e nei software di business intelligence, per fronteggiare nel cloud computing Amazon e Microsoft. Così va a completarsi la quarta più grande acquisizione di Google, su circa 250 da quando è nata. Big G, come Facebook, quando non riesce a fronteggiare un rivale lo compra.

Google sarà ancora di più Big G. Ha annunciato l’acquisizione, entro l’anno, di Looker, azienda specializzata in Big Data analytics e nei software di business intelligence, per fronteggiare nel cloud computing Amazon e Microsoft.

2,6 miliardi di dollari, con questa cifra Alphabet-Google ‘mangerà’ Looker e cercherà una riscossa nei confronti dei competitor nel mercato del cloud per offrire soluzioni alle aziende per la trasformazione digitale. Big G metterà così a segno la quarta più grande acquisizione della sua storia: la più recente è quella di Alooma, società specializzata in data integration. Le più celebri sono:

  • YouTube per 1,65 miliardi nel 2006.
  • DoubleClick nel 2007 per 3,24 miliardi, all’epoca era leader di mercato nei servizi per la pubblicità online e disponeva, come Google, di grandi database di clienti e utenti. Poi si è fatta mangiare, come nel videogioco Pac-man.
  • Nest del 2014 per 3,2 miliardi, società produttrice del termostato intelligente, fondata dal principale designer dell’iPod.

La modalità “Pac-man”

La modalità “Pac-man” è utilizzata da tutti i giganti tecnologici: Microsoft con LinkedIn e Facebook con Instagram e WhatsApp. La società di Mark Zuckerberg nel 2012 ha comprato Instagram spendendo un solo 1 miliardo (pensate oggi il valore del social network!) e nel 2014 si è impossessata di WhatsApp sborsando 14 miliardi di euro.  

Come evitare le concentrazioni

Oggi la notizia di Big G-Looker. Google, attualmente, offre oltre 100 servizi a utenti e aziende (eccoli). Un’offesa chiamarlo ancora ‘motore di ricerca’ e Alphabet non è stata scoraggiata nel procedere all’acquisizione dal rischio di inchieste antitrust sulla posizione dominante conquistata dai colossi hi-tech negli ultimi anni, perché soprattutto negli Usa, scrivono Stefano Mannoni e Guido Stazi nel libro “Is competition a clock away”, “il vero compito cui l’antitrust è venuto meno è proprio il porre argine alle concentrazioni”.

 “Occorre”, continuano gli autori, “riaffermare il valore del pluralismo nella teoria e pratica antitrust se non si vuole scivolare verso la malattia del mondo contemporaneo, dove all’esercizio dei poteri abusivi non c’è più rimedio. E garantire il pluralismo nel sistema economico significa tornare all’origine dell’antitrust”. Altrimenti i Big Tech continuano, indisturbati, a giocare a Pac-man.