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Odissea SPID. Il Re è nudo ma AGID è ferma. Intervenga il governo

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Il codice fiscale e l'equivoco della tessera sanitaria a cui Agid da un valore improprio. La procedura è falsata, ma se un gestore di identità digitale (IDP) volesse razionalizzare le procedure scorrette imposte da AGID, sarebbe inevitabilmente sanzionato.

La nostra uscita sull’odissea SPID di due giorni fa (La richiesta di SPID come il tuffo nel cerchio di fuoco. Provare per credere) ha generato molte reazioni tra i nostri lettori, tra i gestori di identità digitali (IDP), tra addetti ai lavori e non ultimo all’interno di AGID, che nell’articolo veniva indicata come responsabile delle mancate verifiche che determinano equivoci e dinieghi inappropriati alla richiesta di rilascio dello SPID, così come descritto nel caso dell’articolo.

Abbiamo perciò deciso di approfondire, per capire se sia possibile ricostruire i percorsi di responsabilità e definire con ragionevole certezza quali siano i punti deboli del sistema, che possono inceppare o minare le richieste di SPID, creando nel contempo inefficienza dell’amministrazione, difficoltà ai gestori delle identità digitali e, non ultima, irritazione da parte del cittadino (che impropriamente viene quasi spinto a reclamare un ritorno al cartaceo).

Un approfondimento utile che ha generato qualche novità.

Come ricorderete, uno dei punti critici verte sulle richieste fatte dai gestori di identità digitale nella procedura di riconoscimento del richiedente.

Nell’articolo contestavamo la richiesta inderogabile di Tessera sanitaria al solo scopo di fornire il proprio Codice fiscale del richiedente.

O meglio, ci chiedevamo se fosse plausibile, a fronte dell’esibizione di una Carta d’identità elettronica (CIE), bloccare la richiesta di SPID in assenza di Tessera sanitaria per il Codice fiscale, dal momento che il codice fiscale è compreso nella Carta d’identità elettronica esibita al momento della richiesta.

 “Non è possibile – ci siamo detti – dal momento che la Carta d’identità elettronica ha sul retro il Codice fiscale, la Tessera sanitaria non serve più”.

Ma abbiamo dovuto fare i conti con la ferma resistenza dell’impiegata allo sportello, che ha ripetutamente osservato come quelle fossero le disposizioni dalle quali non poteva in alcun modo discostarsi.

Le procedure interne evidentemente sono sbagliate – ci siamo allora detti – la CIE ha il suo Codice fiscale che fa fede, il gestore dell’identità digitale dovrebbe dare indicazioni diverse agli impiegati di sportello”.

Ma ci sbagliavamo. Aveva invece ragione l’impiegata allo sportello dell’Ufficio Postale del Flaminio. Abbiamo infatti parlato con differenti gestori di identità digitale ed abbiamo raccolto da tutti la medesima risposta:

Queste sono le indicazioni date da AGID, che esercita anche le funzioni di monitoraggio e vigilanza sul settore e se operassimo in modo contrastante con le disposizioni date da AGID saremmo sanzionabili in modo pesante”.

Ma come – ci siamo allora detti – ho una Carta d’identità elettronica, la famosa CIE, che contiene anche il mio codice fiscale, ma per il riconoscimento del codice fiscale devo ancora utilizzare la vecchia Tessera sanitaria?”.

La risposta è si, nella visione di AGID, ma solo per un grossolano errore che si colloca a metà tra la superficialità e la sciatteria amministrativa.

Siamo così andati sul sito di AGID per vedere cosa prevedono le procedure ufficiali per il rilascio di SPID (https://www.spid.gov.it/richiedi-spid).

Secondo AGID (https://www.spid.gov.it/richiedi-spid), se risiedi in Italia, occorre esibire al momento della richiesta quattro cose:

  • Un indirizzo e-mail
  • Il numero di telefono del cellulare che usi normalmente
  • Un documento di identità valido (uno tra: carta di identità, passaporto, patente, permesso di soggiorno)*.
  • La tua Tessera sanitaria con il codice fiscale*

Paradossalmente, come potete vedere sulla pagina del sito di AGID sopra indicato, se risiedi all’estero viene chiesto il solo Codice fiscale senza richiesta della Tessera sanitaria (autodichiarazione del richiedente?).

Ci siamo chiesti allora se questa pagina del sito AGID fosse aggiornata o meno, ma purtroppo è un dato non verificabile, dal momento che la data di pubblicazione delle pagine del sito AGID non è regolare: molte pagine, compreso questa, non hanno data.

Questo vuol dire che, in base a quanto indicato da AGID, la richiesta fatta al richiedente di esibire il Tesserino sanitario perché la CIE non sarebbe idonea a offrire il codice fiscale sia fondata?

Macché, abbiamo scoperto che la ragione è ancora più e grave.

Le disposizioni emanate da AGID ed a cui debbono sottostare tutti i gestori di identità digitale (IDP) sono riportate nel Regolamento recante le modalità attuative per la realizzazione dello SPID (art.4, comma 2,DPCM 24 ottobre 2014), che all’articolo 7 (pag.6 del documento linkato) recita:

L’operatore che effettua l’identificazione accerta l’identità̀ del richiedente tramite la verifica di un documento di riconoscimento integro e in corso di validità̀ rilasciato da un’Amministrazione dello Stato, munito di fotografia e firma autografa dello stesso e controlla la validità̀ del codice fiscale verificando la tessera sanitaria anch’essa in corso di validità̀”.

E allora tutto in regola? No, e vi spieghiamo perché.

Le informazioni che AGID dà sul proprio sito ai richiedenti lo SPID derivano dal Regolamento sopra riportato. Il Regolamento sopra riportato (che non indica alcuna data di pubblicazione, evidentemente ad AGID le date pesano) è stato sancito da una Determinazione a firma dell’allora direttore generale di AGID Antonio Samaritani, la n°189/2016 del 22 luglio 2016.

Peccato che appena un mese prima, nel giugno 2016, evidentemente all’insaputa di AGID e del suo direttore Antonio Samaritani, lo Stato Italiano avesse iniziato l’emissione delle prime Carte d’identità elettroniche (CIE) con il Codice fiscale integrato nel documento, come conseguenza del Decreto 23 dicembre 2015 (Modalità tecniche di emissione della Carta d’identità elettronica) e del Decreto 25 maggio 2016 (Determinazione del corrispettivo a carico del richiedente la carta d’identità elettronica).

E così abbiamo deciso di interpellare direttamente, sia pure informalmente, AGID.

Abbiamo avuto la fortuna di parlare con un alto dirigente di AGID, in posizione più che apicale.

Abbiamo fatto tutte le osservazioni del caso ed abbiamo posto il problema di fondo: “Perché AGID impone ai gestori di identità digitale (IDP) di chiedere la Tessera sanitaria ai fini della registrazione del Codice fiscale anche ai richiedenti con in mano la CIE che di per sé comprende già il codice fiscale?”

La risposta è stata disarmante.

Non saprei rispondere su due piedi, dovrei andare a memoria – ci ha detto – ma mi sembra di ricordare che la Tessera sanitaria serva per via del codice numerico presente sul retro, che contiene altre informazioni importanti che servono per i controlli incrociati. Ad ogni modo se ci manda una mail con le richieste di chiarimento, le risponderemo”.

Cosa che faremo, nel senso che invieremo questo articolo e quello che lo ha preceduto e ci aspettiamo una risposta nel merito.

Ma ci siamo presi la briga di andare a verificare cosa rappresenti quel codice posto nell’ultima stringa del retro della Tessera sanitaria a cui faceva riferimento il dirigente di AGID.

Nulla di quello che ci è stato informalmente da lui indicato.

Si tratta di un codice in 20 cifre numeriche, di cui alcune comuni a tutte le tessere, che serve a indicare in particolare:

  • 80 per assistenza sanitaria,
  • 380 per l’Italia,
  • 120 il codice della Regione Lazio preceduto per tutti da 2 zeri,
  • una composizione di 9 numeri come identificativo regionale,
  • infine un’ultima cifra indicata come “Check digit”.

Fa un totale di 20 cifre che altro non sono altro se non il numero di identificazione della Tessera sanitaria, come indicato dal Portale Tessera sanitaria curato da Sogei.

Il risultato finale di questa peregrinazione nei meandri delle inefficienze di AGID sullo SPID è che le disposizioni di AGID sono errate. Inequivocabilmente errate. Ma sono in vigore e continuano a generare:

a) equivoci sulla validità dei documenti,

b) inefficienze e disagi che ricadono sui cittadini,

c) costi ingiustificati per le aziende a causa degli intasamenti agli sportelli.

Sono disposizioni che assegnano ruoli contra-legem a documenti emessi da amministrazioni pubbliche (togliendo arbitrariamente ruolo alla CIE, assegnando ruoli che non ha alla Tessera sanitaria).

Impongono ai gestori di identità digitale (IDP) un protocollo di procedure errato, che questi ultimi non possono modificare, pena sanzioni pecuniarie di non poco conto.

In pratica tutti sanno che, nei casi di richiesta dello SPID, la disposizione di AGID che prevede inderogabilmente il ricorso alla Tessera sanitaria in presenza di CIE del richiedente sono sbagliate, ma nessuno può intervenire, scontando superficialità e non curanza di AGID medesima, che non sembra essere toccata dall’argomento.

Se un gestore di identità digitale (IDP) intendesse razionalizzare e fare pulizia delle procedure scorrette imposte da AGID, sarebbe inevitabilmente sanzionato con multa di svariate decine di migliaia di euro (come, sembra, già accaduto).

Per questa ragione tutto rimane fermo, nonostante la consapevolezza sulle procedure inadeguate, anzi errate.

Viene da chiedersi cosa faccia Palazzo Chigi, nella sua graduale trasformazione in software house, riempiendo gli organici di ottimi informatici che non hanno alcuna esperienza di Pubbliche Amministrazioni o che peggio vogliono applicare i modelli operativi delle imprese private alla PA e perché non effettua i controlli di rito e lasciando tutto in mano ai tecnici di AGID.

Infine, viene da chiedersi come mai non intervenga il ministro della semplificazione della Pa Fabiana Dadone, a cui invieremo copia di questi due articoli in forma ufficiale, con la inevitabile veste di esposto-denuncia, rispetto alla quale la Pubblica Amministrazione ha l’obbligo di intervenire.

E ora vediamo che succederà…

Per approfondire

Leggi la prima parte: “La richiesta di SPID come il tuffo nel cerchio di fuoco. Provare per credere