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Musei italiani e digital experience, i numeri che mancano

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Solo il 10% delle strutture museali dispone di un catalogo scientifico digitale del proprio patrimonio e meno del 45% usa tecnologie interattive e strumenti digitali.

Digital Customer Experience (DCX) è una rubrica settimanale dedicata alla Digital Experience a cura di Dario Melpignano, Ceo di Neosperience. Per consultare gli articoli precedenti, clicca qui. Per la versione inglese vai al blog.

Oggi la cultura non è più un’entità impalpabile.

La sua spina dorsale, ciò che le permette di rimanere in piedi, sono i numeri: i visitatori, i guadagni, ma anche codici e dati. Il digitale, infatti, ha ormai assunto un ruolo discriminante all’interno del panorama culturale italiano, o è, almeno, diventato un elemento essenziale per comprendere ciò che funziona da ciò che va cambiato.

Il Rapporto Istat “L’Italia dei musei”, aggiornato al 2018, tira le file del panorama museale del nostro paese. In Italia ci sono 4.908 musei, aree archeologiche, monumenti e ecomusei aperti al pubblico. Dal 2006 al 2018 il pubblico del patrimonio culturale italiano è aumentato di quasi un terzo (32,2%).

L’unica nota dolente, guardando i dati raccolti, è la difficoltà per gli attori italiani di entrare nell’era della digitalizzazione. Infatti, solo il 10% delle strutture dispone di un catalogo scientifico digitale del proprio patrimonio e meno del 45% usa tecnologie interattive e strumenti digitali. Oltre a ciò, le ultime informazioni evidenziano che solo la metà degli istituti ha un sito web dedicato (51,1%) e che solo il 53,4% ha un account sui social.

Eppure, come afferma Neal Stimler, Project Manager dell’iniziativa digital #MetOpenAccess del Metropolitan Museum of Art di New York, intervistato da Artribune: “La trasformazione digitale è fondamentale per perseguire la mission di un museo, per raggiungere una buona efficienza operativa e la salute finanziaria”.

Oggi il futuro del settore comporta il mixaggio della cultura offerta tramite la tecnologia digitale, per superare i confini esperienziali grazie a differenti creatori di contenuti e, ovviamente, a contenuti diversi.

Centrale è poi la necessità di investire nell’educazione digitale, sia attraverso la sua offerta al pubblico all’interno degli spazi museali, sia con la creazione di programmi formativi per gli stessi responsabili culturali, in modo che in futuro sia possibile interagire con il museo attraverso tecnologie oggi utilizzate dalla maggior parte dei fruitori, come Realtà Aumentata e Virtuale, Video Mapping, Gaming e Intelligenze Artificiali Conversazionali.

Da questo punto di vista, illuminante è stata la lettura del libro di Nicolette Mandarano, Musei e media digitali, che sinteticamente riesce a tirare le file di una situazione indubbiamente complessa.

Il museo, sembra dirci l’autrice, è essenzialmente narrazione di contenuti.

Il problema, oggi, è che codici e linguaggi comunicativi si sono trasformati grazie al digitale; il museo, anche a causa della sua stessa natura di istituzione (solo apparentemente) immutabile, non è però riuscito ad adattarsi alla novità.

Esistono oggi due tipi di pubblico; quelli che si relazionano con il prodotto culturale per quello che è, ovvero un “oggetto”, e quelli che invece lo vivono essenzialmente come “esperienza”.

Tradizionalmente il museo si rivolge ai primi, tagliando fuori il pubblico, principalmente giovane, che invece preferisce essere attore attivo all’interno dell’offerta; questo è il pubblico digitale, che oggi in Italia non ha molte possibilità di esprimersi.

L’obiettivo futuro, secondo l’autrice, è quello di rendere i musei luoghi realmente inclusivi, dove analogico e digitale vivono e comunicano in concerto, fornendo un’agevole, e a tutto tondo, comprensione delle opere..

Non va però ignorato che “essere digitali” non basta; il successo di un’operazione digitale non è dovuta alla sua natura tecnologica, ma a come viene pensata e organizzata. Se il prodotto manca di organicità, e conseguentemente di rilevanza, non c’è alcuna innovazione che tenga.

Per esempio, uno dei problemi maggiori del digitale è la sua naturale obsolescenza. Il mercato culturale italiano è lastricato di iniziative digitali che, dopo essere state lanciate, magari anche con un certo successo, hanno finito per diventare inutili e inutilizzabili per la mancanza di aggiornamenti.

Il digitale, secondo l’autrice, non è la panacea di ogni male, ma uno strumento che, come ogni strumento, deve essere utilizzato in maniera corretta, ricordandosi sempre che l’obiettivo è rendere le istituzioni museali davvero inclusive e accessibili a tutti.

Questo concetto ci ha guidato nella stesura del progetto per il Concorso Internazionale di Idee per la Rigenerazione della Villa Reale di Monza. La nostra idea finale, RealDreams, è riuscita infine a convincere pubblico e giudici, risultando vincitrice.

Il progetto si è focalizzato sulla creazione di un percorso di visita in Realtà Aumentata, sulla fondazione di una Triennale Artistica Digitale (FAAR) e sull’istituzione di progetti di sostegno pubblici. L’obiettivo? Dare una visione organica ai problemi e alle possibili soluzioni per la Villa Reale di Monza; un successo di cui noi di Neosperience andiamo molto fieri.

Photo by Aaina Sharma on Unsplash