L'iniziativa

La ‘Netflix della cultura italiana’. Dubbi e perplessità

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La 'Netflix della cultura italiana', prevalgono dubbi e perplessità, a fronte dell’entusiasmo del Ministro Dario Franceschini per una Cinecittà “Hollywood europea” e per una “piattaforma web europea” per lo spettacolo e le arti. La Rai tace.

La “Netflix italiana della cultura” è stata ufficialmente lanciata nella sera di giovedì 3 dicembre 2020, con un comunicato stampa ufficiale diramato dal promotore, il socio di maggioranza Cassa Depositi e Prestiti (Cdp), mentre – stranamente – nessun segnale è pervenuto da parte del partner di minoranza, Chili Tv (a distanza di tre giorni, nemmeno un cenno della pur importante notizia sul sito web della società, che peraltro non ha nemmeno una sezione “corporate”; soltanto tre giorni fa, vengono pubblicate poche righe sul profilo Linkedin).

Date le ambizioni della intrapresa, è interessante osservare la ricaduta stampa e mediatica: modesta assai, in verità.

L’iniziativa è stata completamente ignorata da alcune primarie testate giornalistiche (quotidiani nazionali) ed una analisi critica di monitoraggio evidenzia una prevalenza di articoli critici sui commenti positivi.

Il Ministro Dario Franceschini crede veramente molto nell’iniziativa, e lo ha ribadito in modo convinto anche in occasione del suo intervento all’evento “Ri-Nascita Italia” che si è tenuto venerdì scorso 4 dicembre a Roma, su iniziativa della Fondazione “Guido Carli” (guidata da Romana Liuzzo, nipote di Carli, con Gianni Letta Presidente Onorario).

Prevalgono perplessità

Un’analisi del monitoraggio stampa, web, e media evidenzia però una prevalente impressione di perplessità: gli unici che hanno manifestato una adesione quasi entusiastica sono gli organizzatori culturali di AudioCoop e del Mei-Meeting delle Etichette Indipendenti, che hanno rivendicato addirittura una loro primato storico nell’idea della piattaforma. Hanno dichiarato, in un comunicato stampa di sabato 5 dicembre, che l’idea “AudioCoop, il coordinamento delle etichette discografiche indipendenti, l’ha proposta ufficialmente per contrastare le piattaforme multinazionali monopoliste globali per primo nei primi giorni di aprile del 2020 con una nota stampa il 10 aprile, e il Ministro per i Beni Culturali Franceschini l’ha fatta propria una settimana dopo con nostro grande piacere”. Sostiene Giordano Sangiorgi (Presidente di AudioCoop e Fondatore del Mei, la più importante kermesse di musica indipendente ed emergente italiana, organizzatore della “Festa della Musica dei Giovani” nella Capitale della Cultura e della “Notte del Liscio” in Emilia Romagna, componente del “Tavolo dello Spettacolo” al Mibact): “siamo soddisfatti che parte la Netflix della Cultura e Musica Italiana, grazie a Chili e al Mibact. Dopo averla lanciata per primi per contrastare i monopolisti mondiali del settore, chiediamo di essere convocati per dare il nostro contributo di conoscenza e competenza”.

La dichiarazione di Giordano Sangiorgi è però sostanzialmente isolata.

Prevalgono invece gli interrogativi…

Tra i primi a manifestare argomentati dubbi, Michele Casula (partner della società specializzata Ego Research), sul blog specializzato “Cineguru”, lunedì 30 novembre, con un’analisi tecnica accurata: “mi preme sottolineare che l’ultima cosa che mi auguro accada alle intenzioni del Ministero è un processo. Ma l’unica via per il disinnesco di una deriva di questo tipo è la condivisione (delle intenzioni). L’ideale sarebbe stato farlo prima del fatto compiuto dell’annuncio sull’individuazione del partner e, comunque, non è troppo tardi (perché, “dopo”, c’è ancora tanto spazio per farsi molto male, compreso il farsi ridere dietro, o incanalare il tutto verso qualcosa di sostenibile e virtuoso; è difficilissimo, ma non impossibile). Magari esiste una spiegazione, ahimè ex post, del perché non sia stata percorsa la via della Rai (o del perché sia stata vagliata e consensualmente esclusa ma, ancora una volta, visti i soggetti coinvolti, questo doveva accadere alla luce del sole). Eh sì, perché, sulla carta, la Rai (nel suo insieme) è molto più vicina al “modello Netflix” di quanto non lo sia Chili oggi”. Alcuni però contestano a RaiPlay un deficit tecnologica, ovvero un qualche problema di “potenza della macchina”: la piattaforma Rai sarebbe andata in tilt presto, allorquando ha lanciato film in anteprima ed eventi online, a causa di un eccesso di connessioni… Ma Rai ha certamente le risorse economiche per le necessarie implementazioni tecnologiche, se indispensabili.

Precedenti non commendevoli?! Il debole “Very Bello! Viaggia nella bellezza” ed il famigerato portale Italia.it per promuovere il turismo

Critica anche Chiara Zanini, che, sulla piattaforma giornalistica “Gli Stati Generali” di martedì 1° dicembre, scrive “La Netflix della cultura è Chili e si è beccata 10 milioni senza alcun bando”, sostenendo “non c’è stato alcun bando, alcuna trasparenza, come spesso accade in Italia. Non si conoscono i dettagli dell’operazione. Anzi, il Ministro rinnova la sua ossessione digitale, facendo pubblicare nel sito del Mibact un comunicato in cui dice che l’Europa dovrebbe fare lo stesso. Magari in Europa le regole saranno diverse, ma qui è semplicemente andata così. Ci sarà chi accuserà la Rai di non aver salvato la situazione, e chi non dirà nulla sperando di poter lavorare con la nuova piattaforma. Che non verrà ovviamente più chiamata Netflix della cultura, ma magari Very Italia, in omaggio quel Very Bello dalla vita brevissima, con cui Franceschini ci aveva promesso di salvare il turismo italiano. Promises, promises”. Ricordiamo che la piattaforma digitale interattiva “Very Bello! Viaggia nella bellezza” fu lanciata nel gennaio 2015, in occasione dell’Expo di Milano, con un budget modesto, e prevedeva una offerta di oltre 1.300 eventi (che si sarebbero tenuti nell’arco dei 6 mesi dell’Expo), dalla Biennale di Venezia a Umbria Jazz, dai classici del Teatro Greco di Siracusa fino al Festival degli Artisti di Strada di Ferrara… L’iniziativa fu oggetto di molte polemiche (30mila tweet critici in 24 ore, l’esperto Riccardo Luna denunciò “una quantità imbarazzante di errori di programmazione”), e non risulta sia mai stato prodotto un bilancio consuntivo ed una valutazione di impatto. Anche Simone Cosimi intitola un articolo su “Wired” di venerdì 4 in modo altrettanti ironico: “Ministro Franceschini, non è che la Netflix della cultura diventa un altro VeryBello?”, convinto impietosamente che si tratti della “ennesima bizzarra creatura del ministro destinata a un sonoro fiasco”, che suscita la “naturale tenerezza che alcune illuminazioni franceschiniane producono”.

Ed i maligni vanno oltre, associando l’iniziativa di “Very Bello!” alla precedente terribile esperienza del portale del turismo Italia.it voluto inizialmente da un Governo guidato da Silvio Berlusconi, finanziato con ben 45 milioni di euro (l’allora Ministro per l’Innovazione Lucio Stanca lo affidò nel 2004 a Sviluppo Italia), poi rilanciato e poi chiuso nel 2007 (l’allora Ministro Francesco Rutelli presentò addirittura una denuncia alla Corte dei Conti sull’utilizzazione dei fondi) dal Governo di Romano Prodi, poi rifinanziato nel 2009 con altri 10 milioni (ed affidato all’Enit) da un successivo esecutivo di Berlusconi… Storie tipicamente italiane di improvvisazione, di dilettanti allo sbaraglio, che giocano allegramente con i danari pubblici.

Scrive Paolo Sinopoli sulle colonne della qualificata testata specializzata “Box Office” (edita da e-duesse) in un articolo di mercoledì 2 dicembre, intitolato “Lo strano caso della piattaforma della cultura”: “restano tante le perplessità. Ci si chiede, ad esempio, come mai sia stata scelta una società privata come Chili per questa operazione e non una pubblica come Rai (che può già contare sull’infrastruttura tecnologica e sul know-how di RaiPlay) o come Cinecittà, forte di uno sconfinato archivio audiovisivo interamente digitalizzato e con cui Cdp sta avviando un piano di espansione”.

Interessante assai l’osservazione su questo anomalo duplice ruolo di Cassa Depositi e Prestiti: da un lato, forma una joint-venture con Chili, d’altro le viene affidato dal Mibact un ruolo di “stratega” dell’evoluzione degli “studios” di Via Tuscolana…

Ricordiamo infatti che il 19 novembre, il Ministro Dario Franceschini, in una lunga intervista a “il Sole 24 Ore” a firma di Andrea Biondi, sosteneva “l’ipotesi su cui stiamo lavorando è che il gruppo Cdp entri in Cinecittà. Questo consentirà di conferire a Cinecittà un’area grande come quella attualmente occupata dagli studios. Un’area di proprietà di Cdp, che confina con Cinecittà e che consentirebbe di raddoppiarne gli spazi e allo stesso tempo di far entrare un partner industriale, ovvero Cdp o le sue società”. Le ambizioni del Ministro sono grandi: “stiamo costruendo le condizioni per un salto di qualità assoluto: una grande operazione industriale per l’Italia e per Roma. Non è fuori luogo parlare di Hollywood europea”. Il Ministro spiegava che nella legge di Bilancio è previsto che Istituto Luce Cinecittà (Ilc), a cui dal 2017 fanno capo gli “studios” della Capitale, con il nuovo anno si trasformi da “srl” in “spa”: evoluzione quest’ultima che dovrebbe stimolare il coinvolgimento di altri soggetti pubblici, oltre al Mibact ed al Mef… Si tratta comunque di una “ipotesi” che si troverebbe già “a uno stadio avanzato, anche perché la norma è stata scritta esattamente in questa prospettiva”.

Mercoledì 2, il Presidente del Teatro di Roma Emanuele Bevilacqua ha sostenuto, in un’intervista ad Askanews che “parlare di Netflix della cultura è molto affascinante ma bisogna capire quale è il modello di business, perché duplicare una funzione che l’istituzione pubblica già può fare potenzialmente attraverso Rai Play mi sembra francamente un’iniziativa che rischia di finire male. Esiste questa piattaforma che, dal punto di vista tecnologico, non ha nulla da invidiare alle altre, solo che è priva di contenuti, duplica quelli delle reti, e quindi non fa un buon servizio al pubblico. Noi la abbiamo già la Netflix della cultura, basta lavorarci”.

Nessuna reazione dalle associazioni del settore: Anica, Agis, Confindustria…

Da osservare che non c’è stata alcuna presa di posizione delle associazioni del settore (Anica, Apa, Confindustria Cultura, Confindustria Radio Tv… e nessun commento nemmeno dalle associazioni degli autori o dalla Società Italiana Autori Editori – Siae), ma forse ciò è dovuto alla perdurante assenza di informazioni dettagliata sull’iniziativa.  

Non è stato poi rivelato infatti altro, negli ultimi giorni (dopo il comunicato Cdp di giovedì sera), rispetto a quello che abbiamo proposto nei due dossier pubblicati su queste colonne la settimana scorsa, cui si rimanda: vedi “Key4biz” di martedì 1° dicembre 2020 (“La Netflix italiana della cultura. Realtà o fiction?”) e di venerdì 4 dicembre 2020 (“Ufficiale la Netflix della cultura. Rai e Cinecittà fuori dal gioco?”…

L’Ansa, però, in un lungo dispaccio di sabato 5 (trasmesso in serata) firmato da Elena Stancanelli (ripreso domenica da alcuni quotidiani minori come “La Gazzetta del Sud”), ha rivelato una notizia che non era emersa: la nuova piattaforma sarà divisa in “canali” dedicati alle varie arti, come – ad esempio – l’opera, il teatro, la musica anche pop non solo classica, l’arte ospitando i principali musei, ed aperta anche a singole esperienze…

Ci sarà un meccanismo di “compensazione”, con lo spacchettamento degli abbonamenti che si potranno fare ai canali, ma anche con un meccanismo di vendita online dei singoli eventi.  L’intenzione sarebbe quella di proporre pacchetti di “compensazione”, che diano spazio ai “big” ma sostengano anche realtà meno forti dal punto di vista commerciale, come sarebbe ovviamente giusto in una piattaforma dall’anima pubblica. L’idea infatti è quella della promozione ma anche del sostegno, per lanciare la cultura italiana nel mondo ed aiutare la crescita dei progetti: quindi non solo la Scala, le fondazioni, gli Uffizi o Pompei (per citare realtà già potenti dal punto di vista della promozione internazionale). Si andrà dalle produzioni audiovisive, ai “live”, ai “podcast”, e, oltre alla parte a pagamento, ci sarà anche un’offerta gratuita. Si punta ovviamente anche ad accordi con altre piattaforme internazionali.

Barachini (Presidente Vigilanza Rai): “incomprensibile la non presenza della Rai”

Scrive Stancanelli: “un’operazione complessa che già solleva le prime voci di scontento”, riportando la presa di posizione del Presidente della Commissione di Vigilanza Rai, il senatore di Forza Italia Alberto Barachini, che venerdì ha inviato una lettera di critica al titolare del Mibact Dario Franceschini, lamentando il non adeguato coinvolgimento della Rai.

Scrive Barachini: “la mancata presenza del Servizio pubblico radio televisivo e multimediale, se confermata, suscita serie riserve; se, da una parte, è certamente condivisibile e degna di sostegno la finalità che, tramite tale piattaforma digitale, si incentivi la ripresa delle attività culturali – settore tra i più penalizzati dalla situazione di emergenza sanitaria che il nostro Paese sta vivendo – dall’altra, risulta quanto meno incomprensibile che tale progetto non contempli la presenza della Rai, che resta uno dei principali veicoli di trasmissione culturale dell’Italia”. Continua, nella sua epistola: “un più efficace impiego delle piattaforme digitali, in una logica di integrazione e di impulso delle numerose voci che animano il mondo della cultura, è stato spesso oggetto di attenzione e di approfondimento in diverse interlocuzioni con i vertici del Servizio pubblico che hanno mostrato interesse verso questa esigenza, ormai ineludibile, sottolineando, in varie occasioni, il ruolo strategico, ad esempio, della piattaforma RaiPlay, del portale Rai Cultura o di canali come Rai Storia e Rai 5”.

Mollicone (FdI): “RaiPlay Plus antagonista di Netflix”

Qualche minuto prima della diramazione alle agenzie della lettera di Barachini, venerdì pomeriggio, un suo collega in Vigilanza, il deputato Federico Mollicone (Responsabile Cultura di Fratelli d’Italia), denunciava “una chiara violazione da parte del ministro Franceschini dell’indirizzo dato dalla Commissione di Vigilanza Rai sulla creazione di una piattaforma di contenuti che potesse competere con gli ‘over the top’, che, in una nostra risoluzione, veniva indicato come ‘RaiPlayPlus’”. Il 28 giugno 2020 Mollicone aveva dichiarato: “stiamo lavorando affinché RaiPlay Plus diventi l’antagonista di Netflix, per nazionalizzare ancora di più il nostro prodotto”. Il 7 maggio 2020 Federico Mollicone insieme alla sua collega senatrice Garnero Santanchè presentava una “proposta di risoluzione per la trasformazione di Rai Scuola in unico canale didattico Rai”, che impegnava la Rai “al rafforzamento del ruolo di RaiPlay, favorendo un coordinamento con l’archivio Rai e risorse online, anche esterne, così da costituire una vera e propria «Raiflix» (…);  alla produzione di contenuti televisivi e multimediali dedicati alla cultura, al teatro, alla danza, allo spettacolo dal vivo, allo spettacolo viaggiante, alla musica, ai concerti, supportando la realizzazione di spettacoli ed eventi da poter rendere disponibili sulla piattaforma RaiPlay”.

Dario Franceschini non ha replicato, e venerdì sera ha proposto un esempio del potenziale – anche economico – della piattaforma che verrà: il Teatro San Carlo di Napoli, attraverso un’offerta della “Cavalleria Rusticana” di Pietro Mascagni in “streaming” su Facebook al costo minimo di 1,09 euro ha raggiunto quasi 40mila utenti paganti (per la precisione ad oggi risultato 38.130). “Un successo enorme con decine di migliaia di persone collegate in tutto il mondo, che ci spinge ad andare avanti sul progetto della piattaforma digitale della cultura” – ha commentato il Ministro – “la piattaforma digitale è un progetto a cui stiamo lavorando per poter offrire la cultura italiana a tutti e in tutti i paesi del mondo”. E, qui – ancora una volta – la prospettiva entra in conflitto con quel canale internazionale che Rai ha messo in cantiere, nell’economia del “contratto di servizio” con lo Stato, ma di cui trapela poco o nulla. L’evento è disponibile su Facebook, partner dell’iniziativa, a partire dalle 20 di venerdì sera e per tre giorni; a partire dal 7 dicembre l’opera sarà “on demand” sul sito web del Teatro San Carlo per 7 giorni, e poi passerà sulla piattaforma della Deutsche Grammophon.

Verrebbe da commentare che una rondine non è necessariamente sintomatica di una primavera, e sarebbe interessante se e come Cpd e Chili Tv hanno stimato quanti eventi come quello evocato da Franceschini potrebbero suscitare grande “appeal”. Che Cdp fosse all’opera per studiare gli scenari possibili lo anticipò un dispaccio Radiocor Plus del 14 maggio, commentando l’innesto della proposta nella bozza del Dl “Rilancio”.

Un evento-spettacolo Rai per una inedita “Prima” della Scala: lunedì 7, ma perché alle ore 17 e non in 4K?!

Peraltro, va segnalato che lunedì 7 dicembre è Rai a trasmettere una grande serata (denominata “A riveder le stelle”), per una anomala “Prima” del Teatro alla Scala: si va in scena a porte chiuse – ovviamente – ed in diretta nazionale su Rai 1, in un galà di stelle. Saltata infatti la tradizionale serata di inaugurazione, per motivi tecnici e logistici prima ancora che per precauzione, l’evento inaugurativo prende una nuova forma, e si prospetta più unico che raro. Non un’opera – come tradizione storica – ma un concerto, anzi un vero e proprio “evento”, in cui si esibiranno molti nomi noti, ovvero un cast stellare (oltre 25 tra i maggiori cantanti del mondo). Coro nei palchetti dei diversi ordini e il maestro Riccardo Chailly che dirige guardando il Palco Reale. Sul palco, invece, di scena i grandi interpreti solisti e i ballerini, tra cui l’étoile Roberto Bolle. Musica e danza dunque i cardini; a fare da connettore, invece, la narrazione con le lettere di Giuseppe Verdi e gli scritti di Victor Hugo, recitati da attori nazionali, per la regia di Davide Livermore… Dieci telecamere in scena, 50 microfoni. Ahinoi, l’evento è programmato per le ore 16:45 e durerà 3 ore, presentato da Milly Carlucci e Bruno Vespa (sigh!): perché diavolo non in prima serata?! E perché non in 4K??? Bella iniziativa, ma si richiederebbe a Rai maggiore coraggio di scardinare le logiche tradizionali dei palinsesti: un’iniziativa di questo tipo merita il “prime time”.

Dalai (Cepell Mibact): “un provincialismo culturale completamente privo della capacità manageriale”

Rispetto all’annuncio di Cdp, alcuni commentatori sono stati spietati, come quel che ha scritto venerdì 4 Alessandro Dalai (Presidente del Comitato Scientifico del Centro per il Libro e la Lettura – Cepell, organismo del Mibact), sul colto magazine-blog “Mam-E.it” (che sta per “Estetica metropolitana, dalla A alla Zip”), che si interessa di moda, spettacolo, arte, cultura, design, lifestyle ed intrattenimento: “la Netflix della cultura italiana c’è già e si chiama Rai che peraltro funziona male ed è troppo politicizzata e al momento non è in grado di vendere. Dunque, invece di far funzionare meglio la Rai che ne avrebbe un gran bisogno, dato il livello di calo di ascolti e di pubblicità, ed una direzione non proprio sfavillante no. Il geniale ed estroso Franceschini, sotto l’egida dell’immancabile Cdp, arruola un player minore del mercato ovvero una società in difficoltà economiche qual Chili, che un unico vantaggio cioè di essere una piattaforma di vendita e basta”. Secondo questa interpretazione critica, “venti milioni di euro di soldi pubblici finiranno per rafforzare una azienda minore in difficoltà; che non eccelle nella creazione del prodotto, fattore invece centrale”. Il giudizio è pesante: “alla base di tutto ciò, c’è che un provincialismo culturale completamente privo della capacità manageriale, della comprensione e creazione del prodotto, che invece è alla base del successo di Netflix, di Prime e di Disney. Il Prodotto è il successo del progetto, la piattaforma una commodity. Ma se tu metti alla testa del progetto uomini che il prodotto non lo producono, ma sono commerciali che comprano film e serie di terzi, allora non hai capito il modello di progetto”. E Dalai richiama in ballo Rai: “inoltre chi sa fare il prodotto, ce l’hai in un’altra azienda pubblica, che devi ristrutturare, perché amministrativamente inefficiente, ma che il prodotto lo sa fare”. E conclude: “ambizioni di potere di gnomi della cultura, ma potenti, progetto industriale sbagliato fanno preveder l’ennesimo carrozzone corredato da nani e ballerine e tanto sottogoverno con famiglie e amici”.

L’interpretazione di Dalai è condivisibile per molti aspetti. Il “king maker”, nell’industria culturale, è e resta il prodotto ovvero il contenuto, e la scelta di Chili Tv sembra rischiosa, anzi azzardata.

Lettera43 e BloggoRai indagano: nel 2017 Rai appalta a Chili un servizio di “recommendation”

Peraltro, scavando nel web, si scopre che sono esistiti già rapporti commerciali tra Rai e Chili: come ben segnalato dall’attento osservatore anonimo (ma si tratta di un ex dirigente Rai, qualificato quanto appassionato) “BloggoRai”, in un post di domenica 6 dicembre intitolato “Una piccola storia ignobile”, a metà 2017 Chili Tv si vide assegnare proprio da Rai un appalto, di importo modesto (691mila euro, contratto firmato dal Direttore Acquisti della Rai, l’avvocato Felice Ventura), per un servizio di “recommendation” (il sistema che suggerisce contenuti a seconda delle preferenze dell’utente sulle piattaforme digitali) sulla piattaforma RaiPlay. La segnalazione di “BloggoRai” viene ripresa domenica 6 da Patrizio Rossano sulla testata “Firstonline”, diretta da Franco Locatelli.

Così scriveva Luca Rinaldi su “Lettera43” il 31 luglio 2017 (in un articolo intitolato “Parisi vince l’appalto e rientra in Rai grazie alla sua Chili Tv”), precisando che “Chili, che fornisce video on demand, è stata scelta perché, si legge tra le carte della gara, è l’unica ‘a soddisfare positivamente tutti i driver della piattaforma avendo a disposizione la tecnologia e il know-how, anche in ambito editoriale e di marketing, sui sistemi di recommendation’. Tanto che per la Rai la società fondata da Parisi è la sola sul mercato a poter fornire il servizio”.

Si ricordi che comunque Stefano Parisi Viale Mazzini la conosce sicuramente anche dal “di dentro”, essendo stato membro del Collegio dei Revisori Rai dal 1994 al 1997.

È veramente un po’ paradossale che il Mibact ovvero Cdp decida di fondare una “start-up” con una società che ha fornito consulenza a Rai, per RaiPlay, piuttosto che trattare direttamente con Rai ovvero RaiPlay.

L’inspiegabile silenzio totale della Rai

È veramente curioso che nessuno in Rai (a parte il consigliere eletto dai dipendenti Riccardo Laganà, come abbiamo già segnalato) manifesti commenti di sorta, silenzio totale: soltanto l’agenzia stampa Adnkronos, con formula ambigua, scrive, giovedì 3 dicembre: “Viale Mazzini ha scelto di non partecipare (alla “procedura competitiva aperta” avviata da Cdp), secondo quanto apprende l’Adnkronos, perché non solo dispone già di una piattaforma on demand, RaiPlay, che veicola prodotti culturali gratuitamente oltre a valorizzare i propri programmi, ma anche perché non può produrre contenuti a pagamento”. Continua l’agenzia – da fonte anonima del settimo piano di Viale Mazzini, si immagina – “in sostanza per il suo status di tv pubblica, non avrebbe potuto vendere biglietti per un concerto o uno spettacolo teatrale: una condizione questa prevista per la ‘Netflix della cultura’ (…). Nella valutazione di Rai di non presentare una manifestazione di interesse e quindi di non prendere parte alla gara pubblica che poi ha avuto luogo, ha pesato la propria ‘ragione sociale’: fare altrimenti avrebbe richiesto una serie di passaggi al fine di fare una proposta a pagamento, con tempi non compatibili con la partecipazione alla piattaforma”. Quali fossero questi “tempi”, non è dato sapere, e con quale criterio Adn definisca la procedura una “gara pubblica”, poi, è mistero giornalistico.

Che Rai non possa produrre contenuti a pagamento è tesi inconsistente, perché – volendo, con regole chiare e di separazione tra attività istituzionale ed attività commerciale – Viale Mazzini può: per esempio, Rai, attraverso la controllata Rai Cinema, interviene ormai nella produzione di gran parte dei film cinematografici destinati a distribuzione “theatrical”, e, anzi, ha anche un’altra società controllata, la 01 Distribution, che opera commercialmente come distributore specificamente cinematografico. E mica si entra gratis al cinema, pagando il canone Rai, e nemmeno si acquistano gratis in libreria i volumi della Eri Rai… Una “RaiPlay Premium” non andrebbe peraltro a sostituirsi alla RaiPlay gratuita, ma semmai la affiancherebbe.

Peraltro, già nel 2014 erano stati sviluppati contatti tra Chili e Rai: il sempre ben informato collega Aldo Fontanarosa pubblicava il 20 marzo 2014 su “la Repubblica” un articolo a piena pagina intitolato “Rai taglia 15 direzioni manageriali. Un portale pay con Poste e Chili Tv”. La proposta rientrava nell’ennesimo “piano” di riorganizzazione aziendale, quella volta firmato da McKinsey&Company, che prevedeva la costituzione di una novella società “ad hoc”, per le attività “pay”, che si sarebbe dovuta chiamare Rai Commerciale (sic), accorpando al proprio interno l’allora Rai Trade, Rai Way, 01 Distribuzione, RaiNet…

Il silenzio della Rai sulla “Netflix della cultura italiana” è veramente incredibile.

Eppure si ricordi che lo stesso Presidente Marcello Foa un paio di anni fa aveva prospettato “una Rai in stile Netflix”, coniando addirittura un possibile “naming”: Raiflix.

Confusione a gogò, interrogazioni parlamentari, deficit cognitivi, nozze coi fichi secchi?

Grande confusione, enorme confusione…

Una qualche chiarezza verrà forse dalle risposte del Ministro Dario Franceschini alle due interrogazioni parlamentari proposte rispettivamente da Lega (formalizzata lunedì 30 novembre, con il numero 4-07662, prima firmataria la deputata Cristina Patelli) e da Movimento 5 Stelle (annunciata giovedì 3 su “Fanpage” dalla Capo Gruppo M5S in Commissione Cultura la senatrice Bianca Laura Granato, che scriveva su Fb che l’atto di sindacato ispettivo era stato presentato mercoledì 2, ma che non risulta ancora agli atti).

Va condiviso il commento critico di Marco Molendini, sul quotidiano “Il Dubbio” di mercoledì 2 dicembre, in un intervento intitolato “Perché il governo dimentica RaiPlay?”, per quanto riguarda il “naming”: “il progetto Netflix della cultura, lanciato dal ministro Franceschini, con l`entrata di Chili, andrebbe comunque ribattezzato, visto che il nuovo socio si basa su un sistema che è l’esatto contrario di Netflix, dove con un abbonamento si può scegliere fra migliaia di contenuti, su Chili invece non ci sono costi fissi di sottoscrizione, ma si paga il noleggio a prezzi che variano a seconda dell’appeal e della freschezza del prodotto o vengono coperti da inserzioni pubblicitarie”.

Va però anche ricordato che due mesi fa, peraltro, Chili, pur mantenendo il proprio “core-business” nel modello “Tvod” (ovvero “Transactional video on demand”), ha lanciato anche un suo servizio di tipo “Avod” (ovvero “Advertising-based video on demand”), con una selezione di film e documentari (circa 500 titoli) visibili gratuitamente, grazie all’inserimento di pubblicità…

Conclusivamente: dalle dichiarazioni del Ministro Dario Francheschini emerge una indubbia vocazione alla grandiosità d’ambizioni, una emulazione della grandeur tipicamente francese: prospetta che Cinecittà, con l’ipotetico ingresso di Cassa Depositi e Prestiti, possa divenire la “Hollywood europea”; auspica che la “Netflix italiana della cultura”, promossa da Cassa Depositi e Prestiti, possa divenire addirittura la base di una piattaforma europea per l’offerta e la promozione di spettacolo ed arte…

Tutto il potere a Cassa Depositi e Prestiti?!

Tutto il potere al sempre più potente colosso Cdp (che qualcuno al Governo vede come una “Iri 2.0”)?!

Il 24 settembre scorso, il Ministro ed i vertici di Cdp hanno presentato il Fondo Nazionale Turismo.

Che si nutra forse eccessiva fiducia nei confronti del gruppo guidato da Fabrizio Palermo (Amministratore Delegato) e Giovanni Gorno Tempini (Presidente), che non ci sembra possa peraltro vantare know-how specifico e specialistico nell’economia delle industrie culturali e creative?!

Una elaborazione redatta da Andrea Montanino (“Chief Economist” di Cdp da fine 2019, e Presidente del Fondo Italiano di Investimento – Fip, già Direttore del Centro Studi di Confindustria), Alberto Carriero, Cristina Dell’Aquila e Laura Recagno nel giugno 2020 in materia di rapporto tra “cultura” e Covid, a cura del “Cdp Think Tank” (laboratorio di economisti), dimostra una discreta capacità scenaristica, ma al tempo stesso una limitata capacità critica (inclusa la non adeguata validazione delle fonti). Si tratta delle stesse criticità riscontrate nel “1° Rapporto Cinema e Audiovisivo: l’Impatto per l’Occupazione e la Crescita in Italia”, presentato da Confindustria ed Anica l’11 aprile 2019 (con intervento del Presidente Giuseppe Conte), curato giustappunto dallo stesso Andrea Montanino: presupposti fragili per l’avvio della tanto decantata “start-up” Cdp con Chili.

Ancora una volta, la riprova del deficit cognitivo del sistema culturale italiano, e dei conseguenti errori, sia sul fronte economico-impreditoriale, sia sul fronte del “policy making”.

Idee visionarie – senza dubbio – ed ideologicamente condivisibili, ma temiamo discretamente sganciate dal senso di realtà e dal mercato esistente.

A naso, si teme il rischio della sindrome – tipicamente italiana – delle nozze coi fichi secchi, ma, non appena verranno disvelate analisi di scenario e business-plan saremo ben lieti di azzerare le nostre perplessità. Nelle more, esse permangono, anzi si consolidano, alla luce degli elementi che stanno emergendo e dei pareri di molti operatori.

Clicca qui, per leggere la sintesi dello studio “Cultura Covid-19: Alcuni fatti stilizzati”, elaborato dal Think Tank di Cassa Depositi e Prestiti (Cdp), in data 13 giugno 2020.