L'approfondimento

Immuni, tutte le problematiche tecniche e statistiche dell’app

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Messe da parte problematiche tecniche, vi sono di base i presupposti statistici, in rapporto alla popolazione italiana, perché un'app di questo genere possa avere la benché minima riuscita?

E’ ormai stata ufficializzata, dal Commissario straordinario Domenico Arcuri, con una ordinanza al momento vuota di contenuti tecnici [qui il testo], la scelta governativa di adottare un sistema di contact tracing con l’utilizzo di una applicazione fruibile attraverso gli stores per la telefonia cellulare.

La ratio è quella di acquisire e sostenere “la produzione di ogni genere di bene strumentale utile a contenere e contrastare l’emergenza stessa, o comunque necessario in relazione alle misure adottate per contrastarla, nonché programmando e organizzando ogni attività connessa, individuando e indirizzando il reperimento delle risorse umane e strumentali necessarie, individuando i fabbisogni”.

In detto contesto è ritenuto che la tracciatura dei contatti sia “una delle azioni di sanità pubblica utilizzate per la prevenzione e contenimento della diffusione di molte malattie infettive” e rappresenti “un elemento importante all’interno di una strategia sostenibile post-emergenza e di ritorno alla normalità”, in quanto il  “contact tracing può infatti aiutare ad identificare individui potenzialmente infetti prima che emergano sintomi e, se condotto in modo sufficientemente rapido, può impedire la trasmissione successiva dai casi secondari”.

La tecnologia in ambito al c.d. contact tracing sarebbe in grado, prosegue l’analisi del Commissario, “di dare un contributo rilevante per un tracciamento di prossimità molto più efficiente e rapido di quello tradizionale che non sempre si rivela efficace e comporta maggior dispendio di risorse”.

Secondo questa focale era stata diramata, nel quadro dell’iniziativa “Innova per l’Italia” promossa dal Ministro dello Sviluppo economico, dal Ministro della Salute e dal Ministro per l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione, una fast call for contribution, nello stringato termine di  3 giorni, tra il 23 e il 26 marzo 2020, “rivolta a privati, società ed enti, e diretta a individuare le migliori soluzioni digitali e tecnologiche disponibili per il monitoraggio attivo del rischio di contagio, in vista dell’adozione, a livello nazionale, di tali soluzioni e tecnologie, al fine di migliorare i risultati in termini di monitoraggio e contrasto alla diffusione del COVID-19”.

Un brain storming concentrato e repentino che ha dato per scontato l’esistenza di preesistenti progettualità esplicabili, dagli interessati, in un paio di ore nella griglia di voci presenti sul sito istituzionale, predisposto per la ricezione delle oltre 300 calls di adesione al progetto.

Quattro giorni dopo, il 31 marzo, il Ministro per l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione avrebbe poi nominato il “Gruppo di lavoro data-driven per l’emergenza COVID-19, con il compito di effettuare attività di analisi e studio degli impatti del fenomeno epidemiologico in atto, nonché di procedere in tempi rapidi la valutazione delle proposte formulate dai partecipanti alla fast call for contribution, al fine di selezionare la proposta più efficace e idonea ad essere implementata in tempi rapidi a livello nazionale”, fino all’individuazione – tra le centinaia di proposte tecnico-scientifiche – della soluzione denominata “Immuni”, proposta dalla società Bending Spoons S.p.a., “ritenuta più idonea per la sua capacità di contribuire tempestivamente all’azione di contrasto del virus, per la conformità al modello europeo delineato dal Consorzio PEPP-PT e per le garanzie che offre per il rispetto della privacy”, ufficializzato il 16 aprile scorso.

Il giorno prima, il 15 aprile, a Bruxelles era stato adottato il “Mobile applications to support contact tracing in the EU’s fight against COVID-19. Common EU Toolbox for Member States”, un voluminoso documento tecnico recante analitiche considerazioni sulle applicazioni adottabili dagli stati membri per l’esigenza COVID 19.

In questo approfondimento, attesa l’inesistente conoscenza di dettagli dell’applicazione prescelta, a 24 ore dai suggerimenti tecnici comunitari, non è possibile esplorare ulteriormente il tema le cui linee guida, ad ogni buon fine, sono riportate di seguito: [leggi qui].

Da un mero profilo statistico il lavoro degli esperti del “Gruppo di lavoro data-driven”, è quindi avvenuto tra l’1 e il 15 aprile,  il che ha determinato, lo si suppone, un lavoro di elevatissimo e concentrato studio di fattibilità (anche di costi – benefici – impatti sociali – privacy performance –affidabilità – rilevanza fine – esecutività tecnologica, compatibilità con le linee guida comunitarie, ecc.) da parte di quel comitato di esperti che in 14 giorni, se si ricomprendono anche sabati, domeniche e le festività pasquali, hanno dovuto analizzare in modo articolato e scientifico qualcosa come 21,42 proposte in 24 ore (se si parte dalla base indicata di oltre 300 adesioni complessive).

Il dato statistico, non è sterile polemica, è ormai un elemento basilare di riscontro a cui abbiamo assistito in questi giorni, fatto dello snocciolamento di numeri di infetti, deceduti e guariti,  al fine di individuare quel paradosso del noto plateau di picco, un prestito di prestigio dal francese, in assenza di adeguate descrizioni reperibili nel repertorio standard italiano; né più ne meno di quell’altro prestito, questa volta dall’inglese, per descrivere, in modo meno invadente, il concetto del tracciamento dei contatti ravvicinati, più morbido e raffinato attraverso l’accezione “contact tracing”.

Si legge, ancora, da quel provvedimento, che “la società Bending Spoons S.p.a., esclusivamente per spirito di solidarietà e, quindi, al solo scopo di fornire un proprio contributo, volontario e personale, utile per fronteggiare l’emergenza da COVID-19 in atto, ha manifestato la volontà di concedere in licenza d’uso aperta, gratuita e perpetua, al Commissario straordinario per l’attuazione e il coordinamento delle misure di contenimento e contrasto dell’emergenza epidemiologica COVID-19 e alla Presidenza del Consiglio dei ministri, il codice sorgente e tutte le componenti applicative facenti parte del sistema di contact tracing già sviluppate, nonché, per le medesime ragioni e motivazioni e sempre a titolo gratuito, ha manifestato la propria disponibilità a completare gli sviluppi informatici che si renderanno necessari per consentire la messa in esercizio del sistema nazionale di contact tracing digitale”.

Ma, se così è, ci si domanda, per quanti hanno un minimo di dimestichezza nel  Marketing & Corporate Intelligence, cosa implichi, in termini di vantaggi economici, di visibilità, di brand,  la pubblicizzazione di una notizia di massimo rilievo socio istituzionale, che rimanda a tre partners privati cointeressati allo sviluppo del software, come si legge da diverse fonti della stampa: la milanese Bending Spoons, in collaborazione con il Centro Diagnostico Santagostino e Jakala, nota azienda nel settore dell’ e-marketing

Lo slancio filantropico di Bending Spoons SpA, che ad onor del vero merita il plauso, si era già palesato circa 15 giorni prima della “fast call for contribution”, con una donazione di  un milione di euro alla Protezione Civile, destinati “all’acquisto di attrezzature per la terapia intensiva e di materiale sanitario necessario per far lavorare al meglio e in sicurezza medici, infermieri e tutti gli altri operatori in prima linea in questo momento critico“.

Solo per completezza espositiva, si riporta di seguito un breve estratto del comunicato stampa che, nel luglio del 2019, Bending Spoons SpA ha diramato per annunciare l’ingresso nel gruppo di altri partners, italiani e asiatici: “Bending Spoons, primo iOS app developer d’Europa, annuncia l’ingresso nel proprio capitale di H14 (Family Office italiano azionista di Fininvest), NUO Capital (holding di investimenti della famiglia PAO/Cheng di Hong Kong) e StarTip (veicolo al 100% controllato da Tamburi Investments Partners S.p.A. che concentra tutte le partecipazioni in start-up e in società attive nel segmento del digitale e dell’innovazione). Gli investitori complessivamente acquistano una partecipazione del 5,7%. L’ingresso di nuovi investitori rappresenta una tappa fondamentale per il percorso di crescita di Bending Spoons. Il management team, a cui rimangono tutte le leve di gestione e controllo, anche grazie al network e all’esperienza dei nuovi soci rinnova l’impegno assoluto verso la crescita della società nel lungo periodo”.

Tornando adesso al Marketing, va precisato che tra le dinamiche di interesse dei vari team aziendali, vi è quello del monitoraggio di intelligence della sempre più gettonata sentiment analysis, utile a rilevare e interpretare, con finalità commerciali, le opinioni che gli utenti si scambiano in rete all’interno dei social networking; si tratta di un business mastodontico per le aziende, da cui trarre informazioni strategiche per l’impostazione delle proprie scelte commerciali e di conversione nell’ormai nota digital transformation.

Ma, anche, di vantaggi immediati attraverso il “tam tam” mediatico su blogs, forum, newgroups ecc., vettori di diffusione globale di osservazioni e giudizi su un marchio (o una azienda), senza dover ricorrere agli espedienti subliminali dei condizionamenti da cookies, rootkit e spyware che, in questo contesto, potrebbero soltanto elevare esponenzialmente la visibilità di un determinato brand.

E, in questo scenario, non possono non essere tenute in poco conto anche le A.P.I., acronimo informatico di Application Programming Interface, cioè quelle applicazioni che dovranno agganciare l’app Immuni ai due colossi Google e Apple, con il rischio che i dati oggetto di profilazione possano, a prescindere dalle policies degli sviluppatori, rimbalzare sui server di multinazionali straniere.

In termini elementari, le API, architettate per esporre le funzionalità di altre applicazioni, sono in grado di abilitare il riutilizzo dei servizi messi a disposizione che potranno, a loro volta, diversificarsi e aggregarsi in base a ulteriori necessità commerciali.

Si tratta di dinamiche che sono vitali nel marketing per rendere disponibili i servizi in risposta alle esigenze di un determinato business, semplificando la possibilità di dialogo tra una applicazione e un’altra senza conflitti e ridondanze di codici, con procedure standard dette librerie o routine, accorpate in un set di strumenti specifici per l’esecuzione di un determinato compito all’interno di un certo programma.

Nelle linee guida comunitarie sui tools per le esigenze COVID 19 diramate il 15 aprile scorso, sull’argomento è precisato che:

“[…] Il 10 aprile 2020, Google e Apple hanno annunciato congiuntamente un’iniziativa relativa all’uso del protocollo Bluetooth per supportare le app di tracciamento dei contatti.  Il protocollo supporterebbe l’uso di Bluetooth LE (Low Energy) per il rilevamento di prossimità di telefoni cellulari nelle vicinanze e per il meccanismo di scambio di dati che avvisa i partecipanti di una possibile esposizione a qualcuno con chi sono stati recentemente in contatto e chi è stato successivamente positivamente diagnosticato il virus.

 (Per implementare il protocollo, a maggio, intendono lanciare interfacce di programmazione delle applicazioni (API) e tecnologia a livello di sistema operativo che consente l’interoperabilità tra dispositivi Android e iOS per tale app che supportano le app di tracciamento dei contatti e che sono ufficialmente approvate dalle autorità sanitarie pubbliche. Come un secondo passo, nei prossimi mesi, intendono integrare questa funzionalità nelle piattaforme sottostanti dei loro sistemi operativi, a cui gli utenti del dispositivo potrebbero optare. Le società hanno promesso di fornire ulteriori informazioni ma non si sono impegnata a rilasciare il codice sorgente. Il protocollo esclude l’elaborazione di tutti i dati relativi alla posizione, a meno che l’utente non acceda, applica la “Rolling Proximity”, identificativi “che impediscono l’identificazione dell’utente, elabora identificatori di prossimità ottenuti da altri dispositivi esclusivamente sul dispositivo, consente solo agli utenti di decidere se contribuire alla traccia dei contatti condivisione delle chiavi di diagnosi con il “Server di diagnosi” se diagnosticato con COVID-19, con conseguente avviso a altri utenti. Le corrispondenze locali per il dispositivo non vengono rivelate al server. I dettagli e le implicazioni di questo annuncio dal punto di vista medico e della privacy richiede ulteriori analisi e discussioni) […]”.

Se fino a qui è tutto chiaro in termini di elementare considerazione scolastica, il rimando a una “licenza d’uso aperta, gratuita e perpetua”, riportato dal Commissario nel provvedimento di scelta del partner per l’app di tracciamento di prossimità, non può che essere correlato a quanto disposto dagli artt. 68 e 69 del Codice dell’Amministrazione Digitale (C.A.D.), sull’acquisizione di un software e sul suo riuso: “Le pubbliche amministrazioni –recita l’art. 69 – che siano titolari di soluzioni e programmi informatici realizzati su specifiche indicazioni del committente pubblico, hanno l’obbligo di rendere disponibile il relativo codice sorgente, completo della documentazione e rilasciato in repertorio pubblico sotto licenza aperta, in uso gratuito ad altre pubbliche amministrazioni o ai soggetti giuridici che intendano adattarli alle proprie esigenze, salvo motivate ragioni di ordine e sicurezza pubblica, difesa nazionale e consultazioni elettorali.”.

Andando oltre, il provvedimento rimanda a un “codice sorgente e tutte le componenti applicative facenti parte del sistema di contact tracing già sviluppate”, con la manifestazione d’interesse del partner di “completare gli sviluppi informatici che si renderanno necessari per consentire la messa in esercizio del sistema nazionale di contact tracing digitale”.

Si rilevano argomenti e temi che, di primo acchito, destano perplessità, se non altro perché si tratta di scelte strategiche effettuate in un tempo risicato che, non si esclude, possano essere state dettate da ragioni di urgenza, senza approfondimenti ad ampio respiro.

Si tratterebbe, utilizzando un prestito linguistico tratto dalla nomenclatura della business intelligence, di una sintesi d’insieme che ha riguardato una attività di risk assessment accettando possibili “rischi sostenibili”, piuttosto cha una forma più prudenziale di risk analysis a tutto tondo.

Scelte che, in un provvedimento di natura amministrativa, rimandano a un lessico giuridico preciso, cioè una “licenza d’uso aperta, gratuita con un fine, indicato nelle conferenze stampa, che sarebbe circoscritto all’ esclusiva esigenza pandemica.

Ma, in vero, si tratta di un richiamo analitico previsto da una fonte di legge primaria (l’art. 69 del D.Lgs. n. 82/2005) che, a contrario, disciplina tassativamente “l’obbligo di rendere disponibile il relativo codice sorgente” (concesso alla Protezione Civile e alla Presidenza del Consiglio dei Ministri da cui, com’è noto, dipendono le due Agenzie di Informazione) alle altre pubbliche amministrazioni, salvo esigenze ordine e sicurezza pubblica, difesa nazionale e consultazioni elettorali.

Una proiezione che potrebbe non escludere, con il senno del dopo, un’ interpretazione orwelliana dello strumento la cui gestione del “codice sorgente”, creato da terze parti esterne alla P.A., a quanto pare, rimarrebbe sotto l’amministrazione di sistema della società sviluppatrice.

Nulla è, poi, indicato nel provvedimento in merito alle finalità del contact tracing  che può “aiutare ad identificare individui potenzialmente infetti prima che emergano sintomi e, se condotto in modo sufficientemente rapido, può impedire la trasmissione successiva dai casi secondari”.

Dalle prime comunicazioni alla stampa ufficiale, l’applicazione sarà basata sul principio dell’anonimità degli utenti tracciati, che potranno scaricare l’app su base volontaria, senza la georeferenziazione del soggetto, dialogando attraverso la connettività con tecnologia bluetooth a basso consumo (B.L.E.).

Ne consegue che il dialogo del sistema di tracciamento dovrebbe/potrebbe avvenire, anche, mediante appositi gateway bluetooth e associata, presumibilmente, a sistemi di Real Time Locating Systems (RTLS).

Naturale domandarsi, quindi, chi saranno i proprietari/gestori/amministratori di queste e di altre architetture informatiche di acquisizione, rilancio e conservazione; quali saranno gli standard di sicurezza dell’acquisizione, trasmissione, gestione e conservazione del dato?

Il sistema Immuni dovrebbe prevedere, secondo le agenzie ufficiali di stampa, una sorta di registro di anamnesi sullo stato di salute della persona, con particolare riguardo alle notizie di interesse alle sintomatologie da COVID 19, nonché un tracciamento dei contatti così da poter fornire al software dell’app prescelto elementi di riscontro utili per rilevare  possibili “incroci” ravvicinati tra il device di un utente e quello di un paziente affetto da coronavirus.

Il “registro sanitario” dovrebbe essere aggiornato periodicamente, con l’indicazione di contenuti attendibili seppure anonimi, dall’utente che ha aderito al programma di tracciamento.

Da qui un’ulteriore considerazione: dalle interviste agli addetti ai lavori delle ultime ore sembrerebbe che il progetto, perché possa funzionare, dovrebbe essere condiviso da circa il 70% della popolazione italiana.

Utenza che dovrebbe, motu proprio, scaricare l’app sul Play Store di Android e, lo si spera, anche sulla piattaforma App Store dei sistemi operativi iOS; quest’ultimo, a differenza del sistema operativo sviluppato da Google e fruibile da una piattaforma aperta di sviluppatori, ha una propria architettura informatica rigida, a prova di jail breack.

Sembra, quindi, di comprendere che vi sarà una profilazione, seppur anonima, di dati sensibili dell’utente (in costante aggiornamento) che, si suppone, debbano confluire in una sorta di cervellone centrale in grado di potere analizzare, dalla focale sanitaria, i dati nel loro insieme.

Dati che dovrebbero essere inseriti, senza alcuna logica di attendibilità reale (con il rischio di nuovi fake profiles), dall’utenza in forma anonima; un concetto che, nell’ottica del trattamento dei dati personali, rientra nell’accezione informatico giuridica dell’anonimizzazione dell’utente, un lessico che nell’alveo delle norme accorpate nel G.D.P.R. (artt. 4 e ss. Regolamento UE 679/2016)  rimanda a quella tecnica applicata al dato personale al fine di ottenere una de-identificazione irreversibile: ma si tratterà di anonimizzazione sul server centrale che, quindi, non dovrà attenersi a specifiche cautele nel trattamento di dati o, piuttosto, di anonimizzazione finale?

Del resto, se si pensasse di censire l’utenza attraverso una qualsiasi forma di acquisizione SPID (Sistema Pubblico di Identità Digitale), ci si dovrebbe domandare quanto la platea interessata abbia, ad oggi, una identità digitale e come possa essere fattibile, in tempi brevi, colmare questo gap, dall’adolescenza alla mature class.

Ma il centro di questa riflessione non sono tutti i complicati argomenti appena trattati  in modo frettoloso e che, sicuramente, il Gruppo di lavoro data-driven, avrà certosinamente analizzato in quei 14 giorni di analisi tecnico scientifica rivolta a circa 300 progettualità di settore.

Non si vuole, neppure,  entrare nel merito di come e chi gestirà questo cervello centrale, questo server colmo di dati sensibili (di appetibilità incommensurabile nel marketing della rete), seppure anonimi (rectius anonimizzati) e non geolocalizzati, ma ci si domanda, piuttosto, a cosa possa servire una profilazione in questi termini?

Ci si interroga, cioè, accanto all’attendibilità dei contenuti, del loro aggiornamento e fruibilità scientifico sanitaria, quale potrà essere l’impatto psicologico, non tanto sul tracciamento e la possibile vulnerabilità della privacy, quanto alle finalità dello strumento che dovrebbe offrire un “alert” anonimo al soggetto che ha incrociato, in prossimità, un soggetto positivo al virus.

Cioè ci si domanda come farà il cittadino – dopo due mesi di confinamento domiciliare, tra divieti e, dopo qualche qualche migliaio di vite umane spezzate, di obblighi all’uso della mascherina –  a discernere dal proprio display su come interpretare il dato?

In un momento in cui la comunità tutta è smarrita e ha serio bisogno di un supporto psicologico, come si comporterà nella “FASE 2” il cittadino, una volta librato il volo come quella chiosa della “gabbianella” a cui si dedicano queste pagine, se sul proprio telefono arriverà la notifica del possibile “untore di prossimità”?

Qui non si intende disquisire sulle reali possibilità di analisi del problema (che nulla hanno a che vedere con le profilazioni massive e invasive, ma efficaci, del Sud Est asiatico), bensì sull’impatto psico-sociale nel suo complicato insieme.

La conclusione, sempre statistica, come tutto l’approccio al COVID-19 dai prodromi di questa inverosimile pandemia, non può escludere, nella “griglia di ricerca” che ogni discreto ricercatore scientifico dovrebbe tenere a mente, quegli altri dati che non sono semplicemente di compendio, bensì necessari per la riuscita “minima” del progetto.

Avendo, il Commissario straordinario, precisato che “La Bending Spoons ha donato a titolo gratuito la app Immuni per il contact tracing al governo. Nessuno qui ci guadagna nulla. L’applicazione sarà solo volontaria, nessuno sarà obbligato a installarla sul telefono mobile. Ci aspettiamo che un numero molto alto di cittadini lo faccia. Gli esperti ci dicono che almeno il 70% della popolazione dovrebbe farlo per dargli un significato importante […] L’app sui telefoni dei cittadini garantirà completamente l’anonimato, non ci sarà nessuna finalità diversa. I dati saranno conservati in un server pubblico, sono per definizione criptati, nessuna preoccupazione per un loro maldestro utilizzo. Si usa tecnologia bluetooth e non geolocalizzazione, come prevede la legge sulla privacy“, si suppone allora, per logica deduzione, che professionisti “esperti”, per conto delle autorità governative, abbiano in quei 14 giorni documentato scientificamente, o quantomeno secondo logiche razionali e non semplicemente dovute a estemporanee proiezioni empiriche, le percentuali oggetto di richiamo.

E, se così è avvenuto, andrà preliminarmente precisato: si tratta della popolazione censita o di quella reale, fatta di un sommerso irregolare e clandestino, peraltro soggetto a criticità igienico sanitarie ancor più complesse?

Quali fasce di età in Italia possono, realmente, essere destinatarie di un monitoraggio del genere attesa la proiezione ISTAT che illustra un elevato invecchiamento della popolazione in Italia e considerato che la fascia ultra settantenne è quella più a rischio?

Il grafico che segue è la c.d. Piramide delle Età, ben diversa dalla “piramide dei bisogni” di Maslow, che rappresenta la distribuzione della popolazione residente in Italia per età, sesso e stato civile al 1° gennaio 2019:

Fonte: ISTAT anno 2019

I più recenti comunicati ISTAT su “ICT e cittadino” illustrano che: “L’accesso a Internet e la diffusione della banda larga sono alcuni dei presupposti per la diffusione delle ICT tra la popolazione. Nel 2019, in Italia, il 76,1% delle famiglie dispone di un accesso a Internet e il 74,7% di una connessione a banda larga.

Tra le famiglie resta un forte divario digitale da ricondurre soprattutto a fattori generazionali e culturali. La quasi totalità delle famiglie con almeno un minorenne dispone di un collegamento a banda larga (95,1%); tra le famiglie composte esclusivamente da persone ultrasessantacinquenni tale quota scende al 34,0%.”.

A questo distinguo tra accesso a internet e popolazione, suddivisa in mobile born, nativa e tardiva digitale, va aggiunto quello più specifico che riguarda la disponibilità di uno smart phone che, secondo una recente analisi della Pew Research Center, aggiornato al 2019, in Italia il 71% dei cittadini disporrebbe di uno smartphone, il 20%  di un cellulare che non è uno smartphone, mentre l’8% avrebbe affermato di non possedere uno smartphone

Secondo Wired, da un sondaggio del 2018, l’Italia si troverebbe al “terzo posto, al mondo, per penetrazione di utenti unici di telefonia mobile rispetto alla popolazione (83%), subito dopo Corea del Sud e Hong Kong”.

Quindi, se fossero attendibili queste ottimistiche proiezioni, ed ammesso che il 70% della popolazione avesse la disponibilità di un telefono cellulare, va evidenziato che la tecnologia necessaria per poter accedere al servizio di Immuni non riguardi, semplicemente, la disponibilità di uno smartphone collegabile a internet (condizione necessaria per poter scaricare, seppur gratuitamente, l’applicazione dagli stores ufficiali) ma, anche, che la tecnologia del device supporti lo standard  Bluetooth 4.0 LE, cioè il protocollo wireless a basso consumo energetico (che tanto utilizza le API dedicate di cui abbiamo fatto cenno), il cui sviluppo è partito dal 2010.

In conclusione, messe da parte problematiche tecniche, criticità giuridiche, possibili evoluzioni per altre esigenze di profilazione, questioni psico-sociali, fruibilità e attendibilità dei contenuti, vi sono di base i presupposti statistici, in rapporto alla popolazione italiana, perché un’app di questo genere possa avere la benchè minima riuscita?

Esistono, insomma, senza troppi fronzoli e paroloni i dati di riscontro su:

  • quanti italiani hanno un telefono cellulare;
  • quanti hanno una sim (anche con bundle dati) attiva;
  • quanti hanno un device con una tecnologia compatibile B.L.E.;
  • quanti si stima scaricheranno l’app;
  • quanti accetteranno di attivare il sistema con una connessione B.L.E., registrarsi e aggiornare la “cartella clinica”;
  • quanti realmente porteranno al seguito il proprio device;
  • quanti saranno i falsi profili attivati e/o aggiornati;
  • quanti italiani – tra mobile born, nativi, tardivi, immigrati e accademici digitali – saranno in grado di utilizzare la tecnologia. 

Era il 1985 (singolare evoluzione temporale di quel big brother del 1984) quando Italo Calvino, nelle sue Poetry Lectures all’Università di Harvard, avrebbe individuato sei parole chiave per il XXI secolo, la leggerezza, rapidità, esattezza, visibilità, molteplicità, scolpendo, a futura memoria, che: “È vero che il software non potrebbe esercitare i poteri della sua leggerezza se non mediante la pesantezza del hardware; ma è il software che comanda, che agisce sul mondo esterno e sulle macchine, le quali esistono solo in funzione del software, si evolvono in modo d’elaborare programmi sempre più complessi. La seconda rivoluzione industriale non si presenta come la prima con immagini schiaccianti quali presse di laminatoi o colate d’acciaio, ma come i bits d’un flusso d’informazione che corre sui circuiti sotto forma d’impulsi elettronici. Le macchine di ferro ci sono sempre, ma obbediscono ai bits senza peso.”.

Ma Calvino, con la sua sagace prosa, ci avrebbe regalato altre riflessioni, come quella de “Il re in ascolto”!