Spettacolo

ilprincipenudo. Fus e Rai alle prese con l’algoritmo della rottamazione

di Angelo Zaccone Teodosi (Presidente Istituto italiano per l’Industria Culturale - IsICult) |

Il nuovo regolamento del Mibact per l’erogazione dei contributi allo spettacolo dal vivo mette a rischio il sostegno pubblico di soggetti di riferimento per interi territori

La nostra ultima sortita sulle colonne di Key4biz, il 29 luglio, dedicata all’inedito primo “bilancio sociale” della Rai, avveniva ad un paio di giorni dalla sospensione agostana delle pubblicazioni del quotidiano telematico. L’agosto 2015 si è comunque rivelato torrido assai, per i media e la cultura italiana, sia perché è stato alla fin fine eletto il nuovo Consiglio di Amministrazione della Rai quasi a mo’ di reazione governativa di fronte al prevedibile fallimento dell’iter della legge di riforma (rimandata a settembre, e forse destinata ad essere insabbiata), sia perché una parte del sistema culturale italiano è stata sconvolta dalle decisioni in materia di rinnovate sovvenzioni pubbliche a favore del teatro, della musica, della danza, dei circhi e del cosiddetto “spettacolo viaggiante” (a causa delle conseguenze della prima applicazione di un decreto ministeriale dell’agosto 2014).

#ilprincipenudo ragionamenti eterodossi di politica culturale e economia mediale, a cura di Angelo Zaccone Teodosi, Presidente dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult (www.isicult.it) per Key4biz.
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La prima notizia (cda Rai) ha comprensibilmente riempito le prime pagine dei quotidiani per una settimana almeno, e le considerazioni che andremo a proporre su queste colonne nei prossimi giorni saranno evidentemente piccola cosa, rispetto agli infiniti commenti già manifestati, augurandoci però di offrire annotazioni di una qualche originalità (a partire dal “collegamento” tra le due notizie che qui si segnalano…).

La seconda notizia (sovvenzioni allo spettacolo dal vivo) merita anzitutto una riflessione squisitamente mediologica: nonostante si tratti di una notizia veramente “dura” (viene modificata l’economia dei finanziamenti pubblici nei confronti di centinaia di “player” della  cultura italiana, per qualche centinaia di milioni di euro l’anno), nonostante essa riguardi centinaia di migliaia di persone direttamente (gli artisti ed i tecnici, chi lavora nel settore…) ed anche qualche decina di milioni di spettatori (nel 2014, la Siae segnala che son stati venduti 21,3 milioni di biglietti teatrali ed 11,6 milioni per la musica…), la questione degli effetti del nuovo regolamento del Fondo Unico dello Spettacolo (Fus) del Ministero dei Beni e Attività Culturali e Turismo (Mibact) sembra non aver suscitato alcun interesse da parte dei media, se non con l’eccezione del famoso ed apprezzato critico musicale de La Stampa, Sandro Cappelletto, che ha fatto propria la causa delle tantissime lamentazioni, anticipando, a fine luglio (ma già un anno fa si era appassionato al nuovo controverso regolamento), la prevedibile tempesta polemica (si rimanda all’articolo, peraltro ben intitolato, “La formula di Stato che toglie i soldi alle orchestre di qualità. Burocrazia e incompetenza”).

La domanda sorge spontanea: perché una notizia che è così importante e significativa per il sistema culturale viene quasi completamente trascurata dai media italiani, e trova eco quasi soltanto sul web?!

Si può comprendere l’attenzione mediatica sul cda Rai (resta comunque la maggiore “industria culturale” del Paese), ma come si spiegano peraltro le lenzuolate dedicate da molti quotidiani ad un’altra notizia culturale, senza dubbio interessante ma certamente meno importante, qual è stata la decisione (anch’essa agostana) del Ministro Dario Franceschini di nominare 7 stranieri, tra i 20 nuovi direttori di importanti realtà museali italiane?! I musei italiani non sono esattamente ben gestiti, e – come è stato saggiamente commentato – non sarà sufficiente cambiare la testa, se non si sana il resto dell’organismo, ovvero non si modifica l’assetto complessivo dell’offerta, se non si modernizza il marketing e la promozione (vedi anche alla voce… Rai), se non si dota il sistema museale delle risorse economiche adeguate. Peraltro, i musei non sono proprio al primo posto nei pensieri degli italiani, sebbene svolgano una funzione preziosa per quanto riguarda il turismo internazionale. Eppure la loro “notiziabilità” sembra essere stata grande, almeno in quest’agosto 2015.

Cerchiamo di spiegare ai non addetti ai lavori le caratteristiche dello sconvolgimento in atto: storicamente, lo Stato italiano (fin dai tempi del regime fascista e dal famigerato MinCulPop) ha sostenuto con generose sovvenzioni il sistema culturale, e specificamente le arti dello spettacolo (ed attualmente dovremmo trattare anche di finanziamenti pubblici all’editoria, alle fondazioni, alle emittenti radiotelevisive locali, eccetera).

Duplici le ragioni: come insegna l’economia della cultura, si tratta di attività che mostrano deficit di mercato, ovvero la cui offerta complessiva verrebbe ad essere assai impoverita se non intervenisse la mano pubblica (il dibattito, in materia, ha radici molto lontane, da John Maynard Keynes, che è stato – tra l’altro – uno dei primi fautori dell’intervento pubblico nell’arte, ai liberisti estremisti dell’Istituto Bruno Leoni, che sono contrari all’intervento pubblico in questo settore); l’intervento pubblico finisce – inevitabilmente – per orientare in qualche modo l’offerta, ed è evidentemente sempre latente il rischio di degenerazione censoria (questa è una delle ragioni per cui i cultori del “libero mercato” pensano sia preferibile non sovvenzionare, e lasciar tutto al gioco da offerta e domanda).

Nel 1985, fu approvata in Italia dopo lungo dibattito, una legge fondamentale, la n. 163 meglio nota come istitutiva del Fus, Fondo Unico per lo Spettacolo, finalizzata a ricondurre ad unità i tanti rivoli del sovvenzionamento pubblico dello spettacolo. Senza dubbio, una delle migliori iniziative dell’allora centro-sinistra. Fortemente voluta dal Psi, e specificamente dall’allora Ministro dello Spettacolo e del Turismo Lelio Lagorio (governo a guida Craxi), la legge sul Fus conteneva caratteristiche innovative (per l’epoca, almeno, ricordando che son trascorsi ben 30 anni da allora… internet non esisteva ancora). Il “Fus” è stato oggetto di critiche e polemiche senza fine, nel corso dei decenni, anche perché, definito… “legge madre”, ha dovuto assistere alla non nascita delle cosiddette… “leggi figlie”, cioè le specifiche normative su cinema, teatro, musica ed altre arti dello spettacolo: tipico pasticcio italiano, si parte con belle (e lungimiranti) intenzioni strategiche, e si finisce per gestire l’ordinaria amministrazione in modo frammentario e confuso (vanificando le belle intenzioni).

Non volendo mettere mano al Fus, riforma invocata da decenni ma impresa improba per un Parlamento che anche attualmente non mostra alcuna particolare sensibilità verso le politiche culturali (nonostante gli sforzi dei due esponenti del Pd che presiedono le due competenti commissioni, Andrea Marcucci in Senato e Flavia Nardelli Piccoli alla Camera), nel 2014 colui che viene da molti anni ritenuto il Ministro-ombra dello Spettacolo italico, il Direttore Generale Salvatore Nastasi, ha portato a termine una sorta di mini-riforma, approvando un “nuovo regolamento” che ha modificato le regole storiche, sedimentatesi nel corso degli anni, di finanziamento pubblico del teatro, musica, danza ed altri settori dello spettacolo dal vivo (il cinema non è stato toccato, perché sembra che il tax credit si sia rivelato una panacea, almeno per i produttori associati all’Anica, ed abbia risolto quasi tutte le criticità del settore…).

Questo regolamento del 1° luglio 2014 (intitolato “Nuovi criteri e modalità per l’erogazione, l’anticipazione e la liquidazione dei contributi allo spettacolo dal vivo, a valere sul fondo unico per lo spettacolo di cui alla legge 30 aprile 1985, n. 163”, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 19 agosto 2014) ha determinato gli effetti di un terremoto, provocando una grande “scrematura”: molti soggetti storici, che pure godono di consolidata stima, sono stati “tagliati”, o nell’entità della sovvenzione o addirittura esclusi dal sovvenzionamento.

Che qualche problema si prospettasse era emerso già in fase di compilazione delle istanze (il termine è scaduto il 31 gennaio). Il Ministero aveva anche previsto che le decisioni assunte dopo la valutazione da parte delle commissioni consultive e quindi i risultati selettivi delle istanze sarebbero stati comunicati con tempi rapidi, ma questa promessa è stata disattesa, con l’assurdità tutta italiana di comunicare – ancora una volta, come in passato – l’entità delle sovvenzioni, per l’intero anno in corso, ad… agosto, allorquando il cartellone artistico va evidentemente da inizio gennaio a fine dicembre.

Va ricordato che l’autore primo del nuovo decreto è indirettamente Massimo Bray, il predecessore di Franceschini, che nel 2013 volle fortemente il decreto legge cosiddetto “Valore Cultura” (dl dell’agosto 2013 n. 91, recante “Disposizioni urgenti per la tutela la valorizzazione e il rilancio dei beni e delle attività culturali e del turismo”), convertito, con modificazioni, nella legge n. 312 del 7 ottobre 2013, che, all’articolo 9, prevedeva di dar vita, a partire dal 2015, ad un sistema radicalmente innovativo di sostegno finanziario dello Stato alle attività dello spettacolo dal vivo.

Tutti attribuiscono a Salvatore Nastasi la paternità del regolamento: il Dg l’ha difeso a spada tratta eppur forse d’ufficio (come nella lettera di replica scritta a “La Stampa” e pubblicata l’8 agosto, “Musica alla guerra dei tagli. Dopo le reazioni critiche al decreto del ministero, la risposta del direttore generale spettacolo”), ma secondo alcuni andrebbe invece attribuito ad una specifica e decisa volontà del Ministro Franceschini (in carica dal febbraio 2014), e del suo consigliere il giurista Lorenzo Casini.

Tra le novità importanti, va segnalata la cosiddetta “triennalità” (che pure sembra di “importazione” francese, e rievoca alcune lontane idee dei ministri Veltroni e Melandri), ovvero i soggetti richiedenti hanno dovuto presentare un progetto artistico e la previsione budgetaria per gli anni che vanno dal 2015 al 2017. Questa novità è senza dubbio apprezzabile perché consente agli operatori di respirare nel medio periodo, e di non dover attendere, anno dopo anno, l’esito delle decisioni ministeriali (agostane!): garantisce una continuità della sovvenzione, e quindi stabilizza le attività e rafforza le progettualità.

Gli effetti tellurici del provvedimento sono però da cercare altrove, ovvero nei criteri di valutazione cosiddetti “automatici”, che affidano ad arcani algoritmi la valutazione delle informazioni che i soggetti richiedenti hanno dovuto fornire nell’istanza di sovvenzionamento (esemplificativamente, la quantità di biglietti venduti e le giornate lavorative del personale artistico).

Ricordiamo la ripartizione del Fus decisa dal Ministro Franceschini nel febbraio scorso: lo stanziamento complessivo del Fus per il 2015 è lo stesso del 2014, ed è pari a 406.229.000 euro, così ripartito:

– Fondazioni lirico-sinfoniche: 182 milioni di euro;

– Attività teatrali: 67 milioni;

– Attività musicali: 59 milioni;

– Attività di danza: 11 milioni;

– “Residenze” e “Under 35”: 2 milioni;

– Progetti multidisciplinari, Progetti speciali, Azioni di Sistema: 4,6 milioni;

– Attività circensi e spettacolo viaggiante: 4,5 milioni;

– Attività cinematografiche: 77 milioni (a cui si aggiungono 23,5 milioni non utilizzati nel 2014 per le agevolazioni fiscali)

Per quanto riguarda le sovvenzioni allo spettacolo dal vivo (qui inteso come teatro, musica, danza, circo e spettacolo danzante, non includendovi le fondazioni lirico-sinfoniche), col nuovo regolamento i criteri “automatici” determinano il 70% della sovvenzione, mentre il residuo 30% è affidato alla valutazione qualitativa (ma con parametri di quantificazione della stessa) delle commissioni consultive, nominate dal Ministro, e peraltro formate – in taluni casi – da persone con percorsi professionali che non appaiono proprio sintonici e qualificati rispetto al settore di (presunta) competenza. Si segnala che il 20 luglio la compositrice Silvia Colasanti si è dimessa dalla commissione consultiva musica, motivando la propria decisione sostenendo che l’attuale legge ed il regolamento lasciano poco spazio all’aspetto qualitativo nella valutazione dell’attività delle varie istituzioni musicali, mettendola dunque nell’impossibilità di perseguire gli obiettivi culturali legati al suo ruolo: scelta coraggiosa.

Gli autori tecnici del controverso regolamento vengono identificati, insieme alla dirigenza apicale del Ministero, in Alessandro Hinna e Marcello Minuti e Angela Tibaldi, partner di Struttura Consulting srl, la società romana di consulenza di cui si è avvalsa il Mibact.

I risultati del decreto sono sconvolgenti: se è vero che è stato eliminato – almeno in parte – un notevole “inquinamento” che caratterizzava la gestione storica (particolarismi e clientelismi, ovvero la logica raccomandatizia degli “amici degli amici”), s’è determinato l’effetto caratteristico di alcune tipiche operazioni di italica riforma ben descritte dalla metafora del “gettare l’acqua sporca col bambino dentro”. Insomma, anche iniziative eccellenti sono cadute sotto la scure ministeriale, con lo strumento dell’arcana equazione algebrica: arcani della “oscurità della tecnica”, ha commentato ironicamente Cappelletto.

Per esempio, nel settore teatrale, i soggetti finanziati nel 2015 risultano essere 307, ovvero 85 in meno rispetto alla quantità dei sovvenzionati dell’anno precedente. Questa riduzione cancella dal sostegno ministeriale soggetti che da tempo rappresentano un punto di riferimento per interi territori, per i loro pubblici e per il rinnovamento della scena artistica nazionale.

Se il sistema precedente garantiva privilegi ingiustificati e tante rendite di posizione, il nuovo regolamento non sembra vada a determinare risultati apprezzabili, in termini di estensione del pluralismo, di stimolazione della ricerca e della sperimentazione, di efficienza ed efficacia dell’intervento pubblico, nonché di corretta valutazione della qualità artistica (pur nella piena coscienza che si tratta di concetto scivoloso nella sua intrinseca polisemia) da parte del “decision maker” pubblico.

Il Ministero ha registrato durante il mese di agosto una gran quantità di richieste di accesso, e sono in gestazione ricorsi al Tar. Ovviamente, senza conoscere tutte le istanze, ed i relativi valori è arduo comprendere come diavolo ha funzionato… l’algoritmo ministeriale!

A naso, si nutre l’impressione di una dinamica da rottamazione… non ben impostata.

Ci sembra interessante riproporre un estratto di quel che, ben prima della concreta applicazione del decreto, scriveva in una lucida analisi dei rischi latenti del decreto ministeriale Elio De Capitani nel maggio del 2015 sul sito Del Teatro: “Il campanello d’allarme, del resto, lo ha lanciato lo stesso Marcello Minuti, il padre dell’architettura tecnica del decreto, presidente e co-fondatore di Struttura srl – che ha fatto da consulente al Mibact per la redazione e gestione del decreto. Ad una riunione di illustrazione del decreto nella sede dell’Agis lombarda, a Milano, ha avvertito che il sistema, funzionando su autodichiarazioni di intenzioni future, si basa sul presupposto della sostanziale affidabilità dei dati inseriti. Ha avvertito quindi che tutto il sistema rischia di crashare di fronte all’attacco di uno o più hacker di sistema. Non pensate a dei cyber-criminali, ma a semplici maneggioni tradizionali: se uno o più teatri dichiarano dati molto gonfiati, si falsa pesantemente tutto il quadro, con risultati imprevedibili”. E questo non è l’unico difetto del regolamento.

Dati i risultati (sconcertanti più che imprevedibili), trasparenza vorrebbe che tutti i verbali delle commissioni consultive ministeriali ed in verità tutte le procedure amministrative curate dal Mibact venissero rese di pubblico dominio.

Il web ha rilanciato alcune lamentazioni, critiche, proteste, appelli e petizioni: si segnala quella che sembra aver ottenuto maggiori adesioni, intitolata “Richiesta di revoca dei Decreti Direttoriali nn. 947, 948, 949, 950, 952 in merito alle assegnazioni Fus 2015 relative alle Attività Musicali”, di cui risulta primo firmatario una personalità come quella di Salvatore Accardo, iniziativa che sul sito Change.org ha registrato finora quasi 3mila adesioni: il settore musicale sembra essere il più attivo, e certamente il primo ad aver impugnato l’ascia di guerra.

Nonostante la pausa agostana, sono intervenuti già alcuni parlamentari, presentando interpellanze (in particolare una ventina di senatori, in primis Laura Puppato ed Elena Ferrara del Pd: atto n. 3-02129, presentata il 3 agosto 2015), ed anche il Presidente della Commissione Cultura della Camera Andrea Marcucci ha chiesto al Ministro Franceschini di intervenire con una qualche “corrigenda”.

Il 14 agosto il Ministro manifestava finalmente la propria opinione, scrivendo a “La Stampa”, rivendicando la correttezza delle scelte assunte, difendendo l’operato del Dg Salvatore Nastasi, e dichiarando una qual certa disponibilità a mettere in discussione forse… l’algoritmo, ma non le decisioni assunte dalle commissioni consultive. Scrive Franceschini, con tono discretamente piccato: “Per anni, tutti hanno chiesto, e in particolare molti dei firmatari (delle petizioni ed interpellanze, ndr), che la politica restasse fuori dalle scelte dei finanziamenti allo spettacolo che dovevamo essere fatte solo sul piano tecnico e da esperti. Ora che le Commissioni sono composte solo da professionisti scelti con un bando pubblico su internet e che operano in assoluta neutralità e indipendenza, ricevo appelli di musicisti, sindaci, parlamentari per cambiare le scelte della Commissione! Dunque la politica e il ministro non devono più stare fuori dalle scelte ma devono intervenire? Mi spiace per i delusi, ma non lo farò”. Questa l’unica concessione autocritica del Ministro: “Il mio compito è quello, sulla base di questa prima applicazione, di correggere quello che va corretto nelle regole, ascoltando le categorie interessate. Questo sì, ma interferire con le scelte fatte della Commissione assolutamente no”. Come dire?! Correggiamo l’algoritmo semmai (ah, potenza della tecnica al servizio della politica!), ma non rinneghiamo i risultati della sua prima applicazione.

Si prevede che la questione divenga comunque incandescente a settembre, e verosimilmente l’attenzione anche dei maggiori quotidiani dovrebbe finalmente emergere: tra l’altro, se il Tar del Lazio decidesse di sospendere il decreto di assegnazione delle sovvenzioni, tutti gli operatori dello spettacolo italiano (e non soltanto gli esclusi) finirebbero per subire le conseguenze del pasticcio ministeriale.

Ricordiamo che la questione del Fus e delle sue criticità ha comunque radici ben lontane: le nostre posizioni critiche e spesso dissidenti rispetto alla politica culturale nazionale sono state basate – anche nell’avvio di questa rubrica ilprincipenudo (un anno fa sulle colonne di Key4biz), la cui prima edizione è stata intitolata non a caso “L’economia della cultura e l’incertezza dei suoi numeri” – soprattutto sull’esigenza di superare i tanti deficit informativi ed analitici della spesa pubblica in materia. Il mal governo e la corruzione albergano laddove i processi decisionali non sono adeguatamente trasparenti.

Buona parte delle criticità del Fus sarebbero state evitate, se la prevista “Relazione annuale al Parlamento” sulla gestione del Fondo fosse stata quel che il legislatore del 1985 avrebbe voluto fosse, e non un documento a circolazione semi-clandestina, assolutamente deficitario di dati ed analisi critiche. Tante volte, anche su queste colonne, abbiamo denunciato il depotenziamento della struttura ad hoc prevista dalla legge, l’Osservatorio dello Spettacolo del Ministero.

Chi redige queste note è infatti da decenni analista critico del Fondo Unico dello Spettacolo, e ritiene – alla luce di quel che sta accadendo – si debba veramente arrivare a rimpiangere che una proposta per l’istituzione di una commissione di indagine parlamentare sul Fus, a suo tempo promossa da Alfonso Pecoraro Scanio (XIII Legislatura, doc. XXII n. 3 del 13 maggio 1996), non abbia mai visto lo sviluppo dell’iter…

È probabile che nelle prossime settimane ne vedremo delle belle, anche perché il potente Salvatore Nastasi ha lasciato in questi giorni agostani l’incarico di Dg dello Spettacolo dal Vivo del Mibact, essendo stato nominato Vice Segretario Generale della Presidenza del Consiglio, e restando discusso ma sicuro candidato anche al ruolo di Commissario straordinario per la rigenerazione di Bagnoli affidata ad Invitalia

Ricordiamo che Nastasi è stato definito “enfant prodige” della cultura italiana (è nato nel 1973): hanno scritto di lui Marco Damilano e Emiliano Fittipaldi nel 2012: “ha alle spalle un curriculum di rispetto: commissario straordinario al Teatro Petruzzelli, commissario del Maggio fiorentino e del San Carlo di Napoli, direttore generale dello spettacolo dal vivo al ministero. E può contare su una rete di appoggi trasversali: è entrato ai Beni culturali nell’ufficio legislativo di Giuliano Urbani e non ne è più uscito. Anzi, Francesco Rutelli è intervenuto di persona per segnalarlo a Bondi (…) Dal ministro Rutelli a Bondi, passando per Galan fino a Ornaghi, da quasi un decennio è lui il vero ministro ombra della Cultura, gran maestro del Fus (il milionario fondo unico degli spettacoli), dispensatore di incarichi e commissario straordinario di enti lirici… La sua stella non s’è appannata nemmeno lo scorso anno, quando la Guardia di Finanza lo inserì nella speciale classifica di coloro che contattavano più spesso l’indagato Bisignani. È sposato con Giulia Minoli, unica figlia di Gianni Minoli e di Matilde Bernabei.

La patata bollente del Fus passa “ad interim” al suo collega Nicola Borrelli, Direttore Generale del Cinema del Mibact, e crediamo che Borrelli non potrà godersi al meglio la kermesse del Festival di Venezia, con tutti i problemi che eredita dal collega.