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Il cinema italiano va a picco al box office. Questo voleva il Governo giallo-verde?

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I primi non esaltanti risultati della campagna Moviement per il cinema d’estate e l’iniziativa Anica di istituire un “tavolo” della filiera cinema-audiovisivo. La Sottosegretaria Borgonzoni precisa che esiste un tavolo soltanto, quello Mibac. Intanto il cinema italiano va a picco nel box office.

Non abbiamo ancora letto un comunicato stampa “congiunto” – tra Ministero e principali associazioni dell’industria cinematografica – di entusiasmo rispetto ai primi risultati di quella che è stata annunciata (lanciata) come una iniziativa addirittura “rivoluzionaria”, la tanto decantata campagna “Moviement”, ovvero un apprezzabile quanto timido tentativo di intensificare la fruizione “theatrical” in Italia, nei mesi semi-morenti (maggio e giugno) e morti (luglio ed agosto) della stagione cinematografica. All’iniziativa “Moviement”, abbiamo dedicato molta attenzione su queste colonne, da ultimo con l’articolo “Moviement, il progetto speciale del Mibac ha un budget complessivo di 5,5 milioni” (vedi “Key4biz” del 3 maggio 2019).

Questo “silenzio stampa” è proprio sintomatico: probabilmente le perplessità stanno crescendo anche tra i promotori.

Il consumo di cinema in sala sta crescendo un po’, ma a tutto vantaggio dell’immaginario “made in Usa”

I primi consuntivi della cosiddetta “campagna d’estate” non sono infatti esattamente entusiasmanti (come prevedevamo), ma va dato atto che qualcosa sembra si sia smosso.

Il problema essenziale dell’economia cinematografica è comunque il suo essere influenzata – per struttura stessa – da fattori “occasionali” ed aleatori, qual è il successo o meno (non prevedibile a tavolino) di un singolo titolo e di un listino… Se l’economia del cinema fosse una “scienza esatta”, i direttori marketing delle società di distribuzione saprebbero prevedere, di anno in anno, la quota di mercato dell’anno successivo: il che accade assai raramente, ed i campi di oscillazione, di anno in anno, di stagione in stagione, sono discretamente notevoli.

Ciò premesso “metodologicamente”, i primi risultati di maggio-giugno non sono particolarmente incoraggianti: il consumo di cinema in sala sta crescendo un po’, ma a tutto vantaggio dell’immaginario “made in Usa”.

Questo voleva il Governo giallo-verde?! Questo serve realmente al “sistema cinema” italiano?!

L’ultima sortita – come sempre energica – di Lucia Borgonzoni, Senatrice della Lega e Sottosegretaria per i Beni e le Attività Culturali, con delega al Cinema, risale ad una decina di giorni fa: “il cinema è un’emozione che dura tutto l’anno, per questo ho sostenuto con forza il progetto innovativo Moviement, reso possibile dal Mibac in collaborazione con tutte le categorie che operano nell’industria cinematografica, per far vivere il settore 12 mesi l’anno. Una iniziativa unica, per la prima volta in Italia, che mette in campo una programmazione senza precedenti anche per la stagione estiva. Sarà un’estate memorabile dal punto di vista cinematografico, con nuove uscite, blockbuster e tante produzioni di qualità per ogni tipo di pubblico” (così in una sua nota stampa del 31 maggio).

La Sottosegretaria continua ad iniettare nelle vene del debole sistema cinematografico italiano una linfa di ottimismo, che certamente non guasta psichicamente, ma che forse dovrebbe essere ridimensionata alla luce dei risultati finora ottenuti.

Ha scritto Robert Bernocchi, uno dei più lucidi analisti dei dati Cinetel (è di ieri la nomina di Davide Novelli a Presidente della società), sul sito web specializzato “Cineguru”, lunedì scorso 3 giugno: “la prima notizia positiva è ovviamente il fatto che il 2019, finalmente, risulta in aumento rispetto al 2018 (la tendenza era già evidente a fine aprile ed è stata quindi confermata nell’ultimo mese). Ma adesso possiamo anche dire che, per quanto riguarda gli ultimi dieci anni, il periodo gennaio – maggio 2019 non è più in fondo alla classifica, ma è al quart’ultimo posto. In generale, si può ovviamente far meglio e dobbiamo puntare su risultati decisamente più alti, ma non c’è dubbio che dopo i numeri pessimi del primo trimestre questa è una bella boccata d’ossigeno”.

“A fine maggio, il prodotto nazionale ha totalizzato nell’anno solare 51 milioni di euro, il risultato peggiore degli ultimi 10 anni”

Un altro osservatore attento ed accurato, Andrea Dusio, scrive nell’edizione odierna del settimanale “Odeon”: “Al 31 maggio, infatti il risultato è di 284 milioni di euro, in risalita indubbiamente, ma pur sempre il quart’ultimo del decennio, con il dato peggiore che è quello del 2018, pari a 272 milioni. Inutile girarci attorno: il freddo e la pioggia hanno giocato un ruolo decisivo, così come lo scarso interesse per la coda del Campionato di Calcio e l’epilogo delle Coppec’è un dato ineludibile: febbraio, marzo e maggio dal punto di vista climatico non si sono mai somigliati tanto, annullando l’effetto sempre più marcato che la stagionalità aveva impresso alle presenze in sala negli ultimi anni”. Segnala opportunamente il collega: “c’è infine da sottolineare il momento molto difficile che sta vivendo al botteghino il cinema italiano. A fine maggio, il prodotto nazionale ha totalizzato nell’anno solare 51 milioni di euro, il risul­tato peggiore degli ultimi 10 anni. D’accordo, c’è stata l’assenza di film di Checco Zalone, ma se si osserva che nel 2010 il box office a fine maggio per i nostri film ave­va già raggiunto quota 137 milio­ni di euro, è possibile misurare la dimensione del problema”.

In sintesi, risultati lievemente positivi, ma non entusiasmanti per il “box office” in genere.

Risultati certamente negativi per la quota di mercato del cinema italiano.

Lo Stato deve iniettare risorse pubbliche per stimolare la fruizione di cinema in sala: d’accordo, ma… se queste risorse vanno a tutto vantaggio dell’immaginario non “made in Italy”? La mano pubblica deve forse stimolare un maggior successo dei “blockbuster” americani?!

Forse è opportuno elaborare una strategia differente, più mirata e meglio studiata, e dotata di risorse economiche adeguate, soprattutto a favore di un immaginario audiovisivo italiano sempre più diversificato, plurale, creativo.

Va segnalata, nell’economia di queste vicende, la notizia diramata dall’Anica il 31 maggio: è stato costituito un organismo… consultivo, il “Consiglio Cinema, Audiovisivo, Digitale”. Dopo l’annuncio ad aprile durante la presentazione del “Rapporto Cinema e Audiovisivo: l’impatto per l’occupazione e la crescita in Italia” (vedi “Key4biz” del 16 aprile 2019, “Ricerca sul mercato audiovisivo, la precisazione di Anica”), è nato ufficialmente questo consesso promosso dall’Anica. Il Consiglio si è insediato il 29 maggio, ed è stato promosso allo scopo di dare rappresentanza alle nuove imprese che operano nell’industria audiovisiva digitale (contenuti web, piattaforme e realtà virtuale), al fianco di quelle dei comparti tradizionali dell’Associazione (produttori, distributori, industrie tecniche).

Il Presidente Francesco Rutelli ha commentato: “vogliamo favorire la collaborazione tra i diversi segmenti della filiera, indispensabili per creare valore e per creare lavoro. Del Consiglio fanno parte non solo le nostre tradizionali imprese e le associazioni aderenti (esercenti, cartoonist, esportatori), ma una nuova serie di realtà produttive: nuove imprese tecniche fornitrici di servizi, creatrici di contenuti digitali e promotrici di talenti; produttori originari indipendenti che sviluppano nuovi format e realizzano progetti per tutti i generi e linguaggi audiovisivi sino al completamento dell’opera; editori di contenuti audiovisivi specializzati interessati a pubblici specifici, chiamati ad investire in opere di espressione originale italiana”. La prossima riunione del Consiglio si terrà il 9 luglio.

Immaginiamo sia – come sempre in questi casi – “a porte chiuse”, trattandosi di una iniziativa in ambito inequivocabilmente privato.

Quel che ci sembra importante segnalare è che all’annuncio dell’Anica ha prontamente fatto seguito un netto comunicato stampa della Sottosegretaria Lucia Borgonzoni: “in ordine ad alcune notizie di stampa, si precisa che l’unico tavolo istituzionale sul cinema, audiovisivo e digitale è quello istituito presso il Ministero per i Beni e le attività Culturali dal Sottosegretario di Stato con delega al cinema Lucia Borgonzoni, al quale partecipano il Direttore Generale Cinema del Mibac, Mario Turetta, e le diverse associazioni di categoria in un proficuo e continuo dialogo sulle tematiche riguardanti il settore”. Precisiamo – en passant – che non si comprende quali siano state le “notizie di stampa” cui si riferisce la Sottosegretaria, dato che dell’iniziativa Anicac’è traccia di fatto soltanto sul sito web dell’Associazione, e la “notizia” non è stata oggetto nemmeno di un dispaccio di agenzia…

In un clima abitualmente ecumenico di buonismo ad oltranza, una simile presa di posizione (ovvero… di distanza) è sintomatica di una qual certa criticità tra le due parti, e di alcuni segnali in codice che le due “soggettività” (le associazioni e le istituzioni) si inviano l’un l’altra. Segnali di fumo…

La Sottosegretaria precisa che “l’unico tavolo” è quello da lei promosso presso il dicastero (anche i lavori di questo “tavolo” sono riservati all’eletta schiera dei cooptati, essendo anch’esso incomprensibilmente “a porte chiuse”), a fronte di una iniziativa Anica che, nei fatti, sembra voler delegittimare il ruolo centrale e prioritario – almeno nella elaborazione delle politiche culturali nazionali – del Ministero.

Secondo quanto è possibile sapere, nella riunione in Anica del 29 maggio, sono stati numerosi i contributi sui due temi all’ordine del giorno: lo stato di attuazione e miglioramento della legge n. 220/2016 (la ormai nota “legge Franceschini”), che ha visto anche un intervento del nuovo Dg Cinema, Mario Turetta; proposte per ripensare le attività di formazione per la filiera italiana, con riferimento ai settori produttivi e creativi che sono maggiormente “sfidati” dalle trasformazioni e aggregazioni internazionali, tecnologiche e commerciali in corso…

L’Anica ha simpaticamente precisato che “tutti gli Associati riceveranno un resoconto scritto sui contributi raccolti nella prima riunione di questo nuovo organismo dell’Associazione, ed in particolare le schede analitiche sullo stato di attuazione della legge 220/2016”.

Sia consentito osservare che Anica bene farebbe a condividere con l’intera comunità del cinema e dell’audiovisivo nazionale (con particolare attenzione alle associazioni degli autori, dei creativi, dei professionisti, delle altre “categorie”, etc.) i risultati del suo “laboratorio” intellettual-politico.

Novità dal Consiglio Superiore del Cinema e dell’Audiovisivo?

Va anche ricordato che, “tavoli” informali a parte, presso il Ministero dovrebbe funzionare un organo previsto dalla legge Franceschini, ovvero il Consiglio Superiore del Cinema e dell’Audiovisivo (Csca), massimo organo di consulenza del Ministro, la cui vitalità non sembra però essere particolarmente evidente (almeno consultando la relativa sezione del sito web della Dg Cinema). Sulla carta, il Consiglio, organo consultivo del Ministro, svolge compiti di consulenza e supporto nella elaborazione e attuazione delle politiche di settore e nella predisposizione di indirizzi e criteri generali sulla destinazione delle risorse pubbliche per il sostegno al cinema e all’audiovisivo. Non ha brillato per attivismo, e ci ricorda un po’ il sonnolento Consiglio Nazionale degli Utenti (Cnu) dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (Agcom). Anche qui, misteri della “politica” cinematografica italiana… O forse dipenderà dall’essere stato nominato, il Csca, nel marzo 2017 dal Ministro Dario Franceschini, e quindi da “parte avversa” rispetto all’attuale maggioranza?!

La grande e grave opacità del cinema e dell’audiovisivo italiano

Lo scenario del cinema e dell’audiovisivo italiano continua a caratterizzarsi per una complessiva grande e grave opacità: non esiste ancora un “sistema informativo” che consenta di comprendere qual è il vero stato di salute, ove ci sono criticità, ove sarebbe opportuno l’intervento della mano pubblica… Ancora una volta, prevale la nasometria e l’umoralità del “decision maker” di turno.

Da segnalare che l’8 maggio scorso – con un tempismo eccezionale (il bando era scaduto il 15 aprile…) – la Dg Cinema del Mibac ha reso pubblico che la procedura per la selezione del soggetto chiamato a realizzare la “valutazione di impatto” economico, industriale, occupazionale della “legge cinema” è stata affidata al raggruppamento temporaneo di impresa (rti) tra l’Università del Sacro Cuore e la società di consulenza Ptsclass spa, per un importo di 92mila euro al netto iva. Non resta da augurarsi che i due vincitori producano un rapporto di ricerca finalmente all’altezza del delicato incarico loro affidato: stiamo infatti trattando di 400 milioni di euro l’anno di intervento dello Stato a favore del settore cinematografico-audiovisivo. Come abbiamo già denunciato su queste colonne (vedi “Key4biz” del 15 aprile 2019, “Legge cinema e audiovisivo, bando per la valutazione d’impatto. Finalmente si farà luce?”), i risultati del primo affidamento (alla società britannica Olsberg Spi ltd) non sono stati esattamente eccellenti, al punto tale che, ad oggi, nessuno (nemmeno il Ministro Alberto Bonisoli e la Sottosegretaria Lucia Borgonzoni) dispone di una analisi minimamente approfondita degli effetti della “legge Franceschini”. E ciò basti.

Andrea Montanari, dalla direzione del Tg1 a direttore dell’ufficio studi Rai, ironizza su Twitter: ‘Resto umile’

A fronte del “buio” che caratterizza ancora gran parte dell’economia politica del sistema audiovisivo italiano, va segnalato che un contributo innovativo potrebbe presto essere apportato dal finalmente neo-istituito Ufficio Studi della Rai (allocato nell’area “Corporate” dell’azienda), così come previsto dal “contratto di servizio”, edizione 2018-2022: la notizia non ha registrato una grande eco (se non per il “nome”, nessuno sembra essersi realmente interessato all’“ufficio”), e per ora è dato sapere soltanto che l’incarico è stato affidato ad Andrea Montanari, direttore del Tg1 Rai dal giugno 2017 fino all’ottobre 2018. Montanari ha un curriculum di livello come giornalista, non sono note sue esperienze come ricercatore, ma è certamente apprezzabile quel che ha scritto il 21 maggio su Twitter, commentando la propria nomina: “Direttore dell’Ufficio Studi Rai. Ma resto umile. Sono un civil servant dell’informazione. Grazie a tutti”. A quanto è dato sapere, ad oggi la nuova Direzione Rai è purtroppo ancora una sorta di scatola vuota. Ci auguriamo che l’Amministratore Delegato Fabrizio Salini voglia assegnargli le risorse di cui ha necessità, professionali e budgetarie.

Un Ufficio Studi Rai all’altezza del ruolo assegnatogli dal contratto di servizio può produrre un contributo di conoscenza assolutamente prezioso per l’insieme delle politiche culturali del nostro Paese. E va certamente evitato che divenga l’ennesima “foglia di fico” per mettersi la coscienza a posto, a fronte di una Rai sempre più “indeterminata” nel focalizzare la propria funzione di “servizio pubblico”. Attendiamo fiduciosi.