Il nuovo esecutivo

Governo Draghi fra deficit di comunicazione e nodo Rai

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Inizia col piede storto il Governo Draghi: u-turn improvviso sulla riapertura degli impianti sciistici, comunicazione istituzionale incerta e “no social”. Rai in attesa di soluzioni.

Se – come suol dirsi – il buon giorno si vede dal mattino, quello del Governo Draghi non è un buon inizio: se è vero che il neo Premier ha ritenuto di lasciare Roberto Speranza alla guida del Ministero della Salute, non possiamo credere che il titolare del dicastero non si sia consultato con il Presidente del Consiglio… e quindi la decisione, comunicata nella sera di domenica 14 febbraio 2021, che la riapertura degli impianti sciistici (prevista da un Dpcm per oggi lunedì 15 febbraio) sarebbe stata rimandata al 5 marzo 2021 è veramente sintomatica di un forte deficit cognitivo e di un processo decisionale malato.

D’accordo – si dirà – non si può “cambiare rotta” nell’arco di poche ore (in effetti, il neo Esecutivo ha giurato di fronte al Presidente della Repubblica soltanto nella mattinata di ieri l’altro sabato 13, ed è ancora in corso il “gioco” delle nomine dei 37 Sottosegretari, a fronte del 23 Ministri già in carica), ma se questa è una reazione emblematica di come il nuovo Governo affronta tempestivamente ed efficacemente l’emergenza (le emergenze) non si tratta di un buon avvio di percorso.

Secondo quel che risulta pubblicamente, il Comitato Tecnico Scientifico (Cts) si era già dichiarato contrario alla riapertura delle piste da sci, ma allora perché il Ministro Speranza ha ritenuto di attendere le… ore 19 di domenica 14 febbraio?!

Oggi, in effetti, doveva essere il giorno di riapertura degli impianti da sci nelle Regioni classificate come “gialle”.

Invece, intorno alle 18.50 di ieri domenica, sentito al telefono il Presidente del Consiglio, il Ministro della Salute Speranza ha firmato un provvedimento che posticipa la riapertura a venerdì 5 marzo 2021, data di scadenza dell’attuale Dpcm. La decisione sarebbe stata maturata a seguito di un ulteriore parere del Cts, secondo cui alla luce delle “mutate condizioni epidemiologiche” dovute “alla diffusa circolazione delle varianti virali del coronavirus, allo stato attuale non appaiono sussistenti le condizioni per ulteriori rilasci delle misure contenitive attuali, incluse quelle previste per il settore sciistico amatoriale”.

Varianti e divieto last minute

A cosa si deve questo divieto “last minute”? In effetti, il Cts aveva espresso un primo parere, la settimana precedente, meno rigido, perché aveva accolto con favore il “protocollo di sicurezza” inviato dalle Regioni. Qualcosa, però, da allora è cambiato: Agostino Miozzo, Coordinatore del Cts, ha infatti sostenuto che “l’Istituto Superiore di Sanità ci ha inviato l’esito dell’indagine sulla diffusione della variante inglese. Molto preoccupante, non ci sono le condizioni per ripartire con lo sci”.

I governatori delle Regioni del Nord, il settore della montagna ed anche due dei nuovi ministri leghisti, Giancarlo Giorgetti (Sviluppo Economico) e Massimo Garavaglia (Turismo), sono giustamente insorti, chiedendo che i “ristori” siano immediati (il Presidente della Regione Veneto Luca Zaia richiede anche il “risarcimento danni”). A meno di 36 ore dal giuramento, questa è senza dubbio la prima “grana” (grossa) per il Governo Draghi.

Come comunicherà Draghi?! Verosimilmente non sarà… bulimico

Sicuramente lo “stile comunicazionale” di Draghi non riprodurrà quello del predecessore.

Scrive Alessandro Barbera su “La Stampa” di ieri domenica 14 febbraio: “la prima riunione del consiglio dei ministri – mezz’ora in tutto – sta per finire. Il premier ha appena terminato di elencare le priorità del discorso che pronuncerà in Parlamento la prossima settimana, su tutte l’emergenza sanitaria e del lavoro. Da uno dei ventitré loculi divisi dal plexiglass, un ministro gli chiede quale sarà il tipo di comunicazione al quale si ispirerà. Una domanda non banale per chi, fra i tanti confermati, ha conosciuto quello vivace di Giuseppe Conte. La risposta si può riassumere così: farò parlare i fatti. Quando aprirò bocca, lo farò nel rispetto delle regole istituzionali. Un invito implicito ai colleghi a limitare la bulimia verbale”. E conclude Barbera: “sull’uscio di piazza Colonna non c’è un solo ministro disposto a concedersi a telecamere e taccuini. Non uno dei vecchi, non uno fra i nuovi. Si contiene persino Renato Brunetta, che ai giornalisti non si nega mai”.

Va segnalato che, ad oggi, il Premier non ha ancora un Portavoce

In effetti, la nomina del Portavoce non sembra rientrare tra le sue priorità.

Per ora, il suo primo assistente è il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Roberto Garofoli.

Garofoli sarà veramente l’“uomo-chiave” nel Governo Draghi. Noto Consigliere di Stato, stimato “grand commis” fu costretto a lasciare il Ministero del Tesoro a fine 2018, per le pressioni dei Cinque Stelle e del Portavoce di Conte, Rocco Casalino. 54 anni, nato a Taranto, magistrato dal 1999, Presidente di Sezione del Consiglio di Stato… Nel 2018, da Palazzo Chigi fu accusato (“la manina”) di aver infilato alla chetichella – nella veste di Capo di Gabinetto dell’allora Ministro Giovanni Tria – in un decreto un comma a favore della disastrata Croce Rossa, poi cassato personalmente dal premier (ma Garofoli scrisse a “il Fatto Quotidiano” che si trattava di una “storia falsissima”). Dal 2006 al 2008, è stato Capo dell’Ufficio Legislativo dell’allora Ministro degli Esteri Massimo d’Alema, e negli ultimi anni è stato Capo di Gabinetto del Ministero dell’Economia nei governi di Matteo Renzi, Paolo Gentiloni e nel primo governo di Giuseppe Conte…

È interessante riportare quel che scrive di Garofoli l’Anonimo (ma certamente Capo di Gabinetto) autore dell’indispensabile “Io sono il potere. Confessioni di un capo di gabinetto” (curato dal giornalista Giuseppe Salvaggiulo), edito da Feltrinelli, un libro essenziale per comprendere come funzionano i meccanismi del governo in Italia, ovvero lo Stato Profondo, il cosiddetto “Deep State”: “l’asciutto, elegante e un po’ arrogante Roberto Garofoli, che non molto tempo fa, a ragione ma in pubblico, si è concesso di interrompere e dare torto al presidente Conte; e a chi si complimentava ha risposto: “Allora non sapete che cosa facevo con Renzi””.

Pare che Draghi sia tutto concentrato sul testo del discorso programmatico che sottoporrà alla Camera mercoledì e giovedì in Senato.

Draghi, in stile… “no social”?! Esecutivo analogico?!

Va certamente segnalato che Draghi sembra snobbare i “social”, come ben segnala oggi Franco Stefanoni sul “Corriere della Sera” – “ma non è soltanto lui nel nuovo governo a stare fuori dall’agone mediatico costituito dalle piattaforme di comunicazione online”.

A differenza dei ministri politici, tutti utilizzatori dei “social” tranne Giancarlo Giorgetti ed Erika Stefani, i ministri tecnici risultano in gran parte privi di profili personali.

Marta Cartabia, Luciana Lamorgese, Daniele Franco, Patrizio Bianchi, Cristina Messa, Enrico Giovannini, Roberto Cingolani e il Sottosegretario alla Presidenza Roberto Garofoli non compaiono né su Twitter né su Facebook.

Unica eccezione Vittorio Colao, il Ministro per l’Innovazione Tecnologica e la Transizione Digitale, con una presenza sporadica: su Twitter con post in inglese su temi di sua competenza, e su Facebook con foto prevalentemente in bici, la sua passione.

Se si osserva invece il “lato politico” della compagine governativa, quasi tutti sono presenti sulle piattaforme, di persona o attraverso lo staff. I 5 Stelle fanno notoriamente della comunicazione sui “social” un cavallo di battaglia, ma anche la Lega ha costruito parte della sua forza con le campagne “social”.

Stile “no social”

Non sarà semplice per Draghi trasmettere il suo stile “no social”.

C’è chi prevede uno stile comunicazionale analogico ed “algido”, in contrasto con quello digitale e “mediterraneo” cui ci ha abituato Giuseppe Conte.

Crediamo comunque – anzi auspichiamo – che non si verrà a determinare una “coppia” Premier + Portavoce, come avvenuto durante il Conte 1° ed il Conte 2°, non a caso denominato da alcuni osservatori il “Governo Conte – Casalino”.

Rocco Casalino ha appena dato alle stampe la propria autobiografia, intitolata giustappunto “Il portavoce. La mia storia” (per i tipi di Piemme): anche questa una lettura indispensabile per comprendere meglio alcune dinamiche del rapporto tra potere e media.

Alcuni attribuiscono al mitico “Rocco” anche la sceneggiatura della sortita di Conte da Palazzo Chigi, con servizi televisivi che riportavano gli applausi dei funzionari dalle finestre del palazzo, mentre camminava sul tappeto rosso, mano nella mano con la compagna Olivia Paladino… E come pensare non siano premeditate finanche le lacrime di commozione di Casalino, all’uscita da Palazzo Chigi?!

Lockdown totale

A proposito di stili comunicazionali… algidi e delicati, cosa pensa il Ministro Speranza della intervista che il suo consigliere supremo Walter Ricciardi ha concesso ieri al “Corriere della Sera”, nella quale chiede un “lockdown totale” del Paese?! Ha dichiarato l’ex Presidente dell’Istituto Superiore di Sanità – Iss (dal settembre 2015 al dicembre 2018, predecessore di Silvio Brusaferro), che sarebbe “necessario un immediato lockdown totale in tutta Italia, che preveda anche la chiusura delle scuole, facendo salve le attività essenziali, ma di durata limitata”. Questo perché “è evidente che la strategia di convivenza col virus adottata finora è inefficace e ci condanna alla instabilità”.

Condivisibile la reazione del leader della Lega Matteo Salvini che, ospite di Lucia Annunziata a “Mezz’ora in più”, ha preso di mira Ricciardi: “non ci sta che un consulente del ministero della Salute una mattina si alzi e senza dire nulla a nessuno dica che bisogna chiudere le scuole e le aziende. Prima di terrorizzare tutti, ne parli con Draghi”.

Si rinnova confusione.

Si riproduce l’intollerabile rimpallo tra “scienziati” e “politici”, in un gioco di dichiarazioni e controdichiarazioni – rilanciate spesso acriticamente dai media – che è inaccettabile, in un Paese che si vanta di essere democratico e moderno.

Si aggrava la confusione, l’infodemia galoppa.

Secondo il sempre ipercritico Michele Anzaldi, deputato di Italia Viva e Segretario della Commissione di Vigilanza Rai, per il momento, peraltro, nulla è cambiato nei tg Rai, rispetto allo strapotere dell’ex Portavoce Casalino: “se avessi il numero del portavoce del neopresidente Draghi – ha scritto su Facebook – gli manderei questo messaggio: ‘Caro collega, il tuo prestigioso incarico dovrà fare i conti con molte situazioni critiche. In particolare dovrai rapportarti con una Rai che in questi mesi ha toccato il fondo, raggiungendo livelli di faziosità e partigianeria mai visti”.

Il “dossier Rai”, pericolosa convergenza M5S e Forza Italia e Lega per… aprire ai privati?!

E Draghi dovrà anche affrontare presto il “dossier Rai”, dato che la tv di Stato versa da molto tempo in una pericolosa deriva.

Vanno segnalate alcune notizie, sfuggite ai più, e correlate intelligentemente tra loro.

Nel “programma” in 17 punti pubblicato da Beppe Grillo giovedì scorso 11 febbraio, che ha titolato “Per aspera ad astra” il post sul suo blog nello stesso giorno in cui gli iscritti M5S erano impegnati a votare sulla piattaforma Rousseau l’adesione al Governo Draghi (ha vinto il “Sì” col 59,3 % dei voti, con un controverso quesito scritto “ad hoc” dal Capo Politico Vito Crimi con i “consigli” del Garante 5 Stelle), c’è infatti anche la Rai. “Gli obiettivi del M5S. Ecco le azioni da mettere in atto secondo gli Obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Onu” ha scritto Grillo nel presentare il programma pentastellato sulle prossime riforme a cui tenderà il Movimento 5Stelle (un nuovo “libro dei sogni” hanno commentato alcuni avversari politici). Dopo “salute e benessere”, al secondo punto emerge “Istruzione di qualità”, declinata in 2 punti: “Riforma Rai ed Editoria” e “Piano d’Azione Scuola 2.0. Verso la scuola del futuro”.

Ma… a quale “riforma Rai” si riferisce l’Elevato?!

Non è dato sapere, ma va segnalato che le ultime prese di posizioni del partito risalgono ormai all’estate di quasi due anni fa: il 19 giugno 2019, l’allora Vice Presidente del Consiglio Luigi Di Maio rilanciò con forza la proposta di legge di cui era stata prima firmataria Mirella Liuzzi, che prevedeva una radicale riforma della “governance”, testo che riprendeva una precedente proposta di legge della scorsa legislatura, di cui era stato primo firmatario Roberto Fico (allora Presidente della Commissione di Vigilanza e poi Presidente della Camera).

Allora, Luigi Di Maio dichiarò a chiare lettere: “serve subito approvare una legge per spezzare il legame tra la politica e la Rai. Il M5S ne ha una già depositata, che siamo pronti a discutere. La tv pubblica è dei cittadini, che pagano il canone, non dei politici. È ingiusto che paghino per tenerla in piedi così. Quindi approviamo subito la nostra legge, a firma Liuzzi, che punta a spezzare il cortocircuito tra politica e servizio pubblico, premiando il merito e la trasparenza, oppure tagliamo il canone agli italiani. Delle due l’una. La riforma Rai è nel contratto”.

Questo specifico punto del… “contratto” è stato evidentemente disatteso nell’azione di governo, tra Conte 1° e Conte 2°.

La confusione grillina in materia di riforma Rai e l’inerzia del Parlamento

A fine settembre 2020, nel corso di un’audizione in Commissione Cultura alla Camera dei Deputati sulle priorità del “Recovery Fund”, l’allora Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Andrea Martella (Partito Democratico) ha dichiarato “penso che sia arrivato il momento di affrontare seriamente il tema della riforma della Rai, della sua governance e del miglioramento della sua missione di servizio pubblico”.

Ed in quegli stessi giorni Primo Di Nicola, senatore del M5S (e Vice Presidente della Commissione di Vigilanza Rai), ha sostenuto: “in Senato, ho già depositato un disegno di legge in questo senso, che ricalca la proposta fatta da Roberto Fico nella scorsa legislatura. È una base importante da cui partire. Noi siamo pronti, ne avevamo parlato insieme al resto della maggioranza in occasione di un convegno che si svolse in Senato. La Rai merita di essere finalmente liberata dai partiti, per un servizio pubblico davvero indipendente. Bisogna solo volerlo”. Appunto. Questa volontà c’è realmente?!

Nel novembre 2019, il senatore Di Nicola aveva promosso un convegno che si pose anche come occasione per illustrare il disegno di legge che egli aveva annunciato il 15 luglio 2019, recante il titolo “Modifiche alla legge 31 luglio 1997, n. 249, e al testo unico di cui al decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177, e altre disposizioni in materia di composizione dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, di organizzazione della società concessionaria del servizio pubblico generale radiotelevisivo e di vigilanza sullo svolgimento del medesimo servizio” (si veda anche “Key4biz” dell’8 novembre 2019, “Una nuova Rai è davvero possibile?”).

Si trattava del ddl n. S. 1415, che recava la firma – tra gli altri – di esponenti grillini appartenenti a più “anime” del Movimento, da Paola Taverna a Gianluigi Paragone (espulso dal M5S ad inizio gennaio 2021 e fondatore del neo-partito ItalExit), senza dimenticare Stefano Patuanelli, dal 5 settembre 2019 titolare del Ministero dello Sviluppo Economico (e trasferito da Draghi all’Agricoltura). Al 15 febbraio 2021, è marchiato come “assegnato” ma “non ancora iniziato l’esame”.

L’iter è insomma ancora tutto da definire.

Proposte di legge e disegni di legge, nessuno incardinato concretamente nel dibattito parlamentare: perché?!

Si ricordi anche che a metà luglio del 2019 era stata data notizia che due altri esponenti del M5S avevano presentato, rispettivamente alla Camera Maria Laura Paxia (Atto Camera n. 1983) ed al Senato Gianluigi Paragone (Atto Senato n. 1417), una proposta di legge che puntava ad abolire il canone Rai, aumentando gli introiti attraverso la pubblicità, eliminando quindi il tetto pubblicitario (vedi “Key4biz” del 15 novembre 2019, “Abolizione canone Rai: pubblicata la proposta di legge di Maria Laura Paxia”). Anche queste proposte sono dormienti…

Il 16 luglio del 2019, lo stesso Luigi Di Maio aveva dichiarato “come Movimento 5 Stelle presenteremo una proposta per ridurre drasticamente il canone Rai”.

Policentrismo e confusione, nell’ambito del Movimento 5 Stelle, in materia di Rai.

Va rimarcato che la proposta di Di Nicola intendeva riformare il sistema della comunicazione radiotelevisiva e il servizio pubblico, ri-presentando “pedissequamente” (così recitava la stessa relazione che accompagna il testo), le disposizioni contenute in una proposta di legge formulata, nella precedente legislatura, dall’onorevole Roberto Fico (Atto Camera n. 2922) e dal senatore Andrea Cioffi (Atto Senato n. 1855), successivamente ri-presentata nell’attuale legislatura alla Camera dei Deputati dall’onorevole Mirella Liuzzi (A. C n. 1054).

Insomma, confusione a parte, varie e reiterate son state le dichiarazioni di intenti, cui non hanno fatto seguito azioni operative coerenti.

Questa volontà di riforma della Rai, evidentemente, non c’è stata in realtà, dato che, a distanza di mesi, l’iter delle varie proposte di riforma della “governance” di Viale Mazzini – da ultimo quelle del Pd, nelle persone di Andrea Orlando (A. C. n. 2723) e Valeria Fedeli (disegno di legge S. n. 2021) – non risultano essere state calendarizzate, come abbiamo denunciato più volte anche su queste colonne (vedi “Key4biz” del 22 gennaio 2021, “Perché la riforma della Rai è finita nel dimenticatoio?”).

Beppe Grillo, indirettamente (senza meglio specificare) sembra voler rilanciare l’idea grillina (e quindi la proposta Liuzzi ovvero Fico ovvero Di Nicola ovvero…?!): come dire? “via la politica dalla Rai o tagliamo il canone”.

E qui si potrebbe registrare una curiosa convergenza tra due componenti del nuovo Governo, giustappunto M5S e Forza Italia.

Latente rischio privatizzazione Rai?

Giustamente c’è chi ricorda – come l’Anonimo Redattore del sempre frizzante blog “BloggoRai – La Rai prossima ventura” – che nella novella compagine governativa siedono un Ministro come Renato Brunetta, già fautore nel 2016 di una “class action contro il canone Rai” ed una Ministro come Mariastella Gelmini, che già nel lontano 2009 dichiarava che la Rai aveva tradito la sua missione e che il canone dovesse essere assegnato soltanto a chi fa “vero servizio pubblico”…

Da segnalare anche che, in un’intervista a piena pagina sul “Corriere” di mercoledì 10 anche Lorenzo Sassoli de’ Bianchi, appena confermato all’unanimità Presidente dell’Upa (l’associazione dei maggiori investitori in pubblicità), al suo sesto mandato triennale, ha dichiarato che ci sono diversi “dossier urgenti” sul tavolo: “tra questi senz’altro la riforma della Rai, per noi di Upa una priorità”. E crediamo che Upa auspichi una apertura del “servizio pubblico” ai broadcaster privati (il dominus de La7 alias Rcs Urbano Cairo non attende altro, e si noti come molti giornalisti enfatizzino sempre più la funzione “pubblica” del Tg La7 guidato da Enrico Mentana…).

E come non notare che il Ministero più direttamente coinvolto rispetto alla Rai è quel Mise affidato al leghista Giancarlo Giorgetti (che subentra al grillino Stefano Patuanelli), controparte Rai nel “Contratto di Servizio”?!

E si ricordi la Lega, rispetto alla Rai, non è mai stata tenera.

L’italica “memoria del criceto” evocata spesso da Sergio Rizzo sembra aver rimosso che – al di là di quel che fu prospettato dalla controversa “legge Gasparri” n. 112 del 2004 – nel lontano 1995 un referendum promosso dal Partito Radicale e dalla Lega Nord aveva abrogato (55 % dei votanti, con quorum superato) la norma del 1990 che stabiliva l’esclusiva proprietà pubblica della Rai…

E pochi ricordano che, nel dicembre del 2012, l’europarlamentare della Lega Mara Bizzotto (ancora in carica, al terzo mandato dal 2009; è stata il candidato della Lega più votato in tutta Italia dopo il leader Matteo Salvini..) ha depositato una petizione, supportata da migliaia di firme, per l’abolizione del canone Rai, iniziativa che chiedeva al Parlamento Europeo l’apertura di una procedura di infrazione contro l’Italia. Esisteva peraltro (ed esiste ancora ed è attivo) anche un “Comitato per la Libera Informazione Radio Televisiva” (Clirt)…

Si segnala anche che le due proposte presentate dal Pd il 15 ottobre 2020 (Orlando) ed il 6 novembre 2020 (Fedeli) intervengono esplicitamente sulla questione della privatizzazione della Rai, dato che essa è prevista dall’ancora vigente articolo 21 della legge 3 maggio 2004, n. 112, ovvero dalla succitata “legge Gasparri”: Orlando e Fedeli chiedono l’abrogazione di quell’articolo per liberare il servizio pubblico da quella “spada di Damocle”.

E giunge infine voce che alcuni esponenti della Commissione di Vigilanza abbiano scritto ai Presidenti di Camera e Senato affinché vengano accelerate / anticipate le procedure (e magari con modalità più trasparenti rispetto a quelle finora messe in atto) per la nomina del nuovo Consiglio di Amministrazione della Rai. Si ricordi che l’attuale Cda di Viale Mazzini si è insediato il 31 luglio 2018, e quindi – essendo il mandato triennale – scade a fine luglio 2021. Per quella data, non si avrà verosimilmente una nuova legge sulla Rai, ma forse un nuovo Cda potrebbe segnare una svolta, rispetto all’attuale stagnazione (con un Cda che rispecchia gli equilibri politici del Conte 1°) cui è costretto il servizio pubblico mediale italiano.

Tempi cupi per Viale Mazzini

Nubi pesanti si addensano comunque su Viale Mazzini.

E temiamo pecchi di ottimismo la nota che l’Usigrai (Unione Sindacale Giornalisti Rai) ha inviato sabato 13 al neo Presidente Mario Draghi, invocando “autonomia e indipendenza subito per la trasformazione della Rai”.

L’Esecutivo del sindacato Usigrai sottolinea che “un governo con una maggioranza così ampia ha tutte le condizioni per varare con urgenza e velocità la riforma della governance, per dare alla Rai i livelli di autonomia e indipendenza da partiti e governi chiesti dall’Europa, così come garantiti a istituzioni quali la Banca d’Italia”. Evidente l’ammiccamento a Bankitalia… Sostiene Usigrai: “il tempo stringe perché manca poco al rinnovo del vertice di Viale Mazzini. Ma la larga e trasversale maggioranza parlamentare offre le condizioni per una approvazione urgente. Solo così si potrà assicurare alla Rai un vertice nuovo in grado di costruire un Servizio Pubblico forte, rilanciandolo sui pilastri dell’inclusione e della coesione sociale, dell’innovazione tecnologica, e della trasformazione ecologica richiesta al nostro Paese”.

E temiamo che abbia poche chance di produrre consensi… trasversali anche la lettera aperta che Vincenzo Vita ha indirizzato giovedì scorso 11 febbraio al Presidente Mario Draghi, a nome dell’associazione “Articolo21”, nella quale auspica – tra l’altro – “la ormai indifferibile riforma della Rai, da svincolare da forme inique di controllo: partitiche o lobbistiche o salottiere che siano”.

E temiamo altresì che possa restare lettera morta anche l’apprezzabile tentativo di un gruppo di ex dirigenti di Viale Mazzini, promosso da Andrea Melodia (e da molti esponenti dell’Adprai, l’associazione giustappunto degli ex dirigenti della Rai), che hanno lanciato un Manifesto per un nuovo servizio e la qualità della comunicazione: è trascorso un anno dal lancio della apprezzabile iniziativa (che ha raggiunto quasi 1.000 firme sulla piattaforma Change.org), ma non sembra che abbia smosso significativamente le stagnanti acque della “riforma” annunciata…

Nutriamo dubbi infatti che la “larga e trasversale maggioranza parlamentare” del nuovo Esecutivo evocata da Usigrai possa mettere a punto una idea condivisa di riforma della Rai…

Molte, troppe, sono le “contraddizioni interne” del nuovo Governo, che temiamo possa scivolare su molte bucce di banana che si presentano sul suo cammino fin dai primi giorni di vita.

La “maggioranza” parlamentare che sostiene l’Esecutivo guidato da Mario Draghi è infatti essa stessa portatrice (in/conscia?!) di molte mine vaganti.