Riforma Rai

Abolizione canone Rai: pubblicata la proposta di legge di Maria Laura Paxia (M5S)

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Da oggi è finalmente pubblica la proposta di legge di Maria Laura Paxia (M5S) sull'abolizione del Canone Rai, che precisa il suo metodo, ma si rinnova l’impressione di uno stato di confusione rispetto alle intenzioni del Governo

La proposta di legge promossa dalla parlamentare del Movimento 5 Stelle Maria Laura Paxia di abolizione del canone Rai è rimasta avvolta nel mistero, almeno fino alle ore 15 di oggi venerdì 15 novembre.

Abbiamo segnalato su queste colonne che mercoledì scorso l’esponente del M5S ha diramato alle agenzie stampa di aver consegnato agli uffici della Camera dei Deputati il testo “definitivo” della sua proposta, ma, a distanza di due giorni, questo documento – ovvero l’Atto Camera n. 1983 – non era ancora disponibile (sul sito della Camera risultava la formula “testo non ancora disponibile”).

Dopo la pubblicazione dell’articolo (vedi “Key4biz” del 13 novembre 2019, “Abolizione canone Rai, la proposta di Paxia (M5S) depositata ma non ancora disponibile”), ci siamo rivolti direttamente alla parlamentare, domandando se fosse possibile acquisire il testo della proposta, ed abbiamo ricevuto una cortese e lunga epistola di spiegazioni che vorrebbero essere tecniche, ma che evidenziano una estrema prudenza (formale e procedurale) le cui ragioni sfuggono.

In effetti, non stiamo trattando esattamente di segreti di Stato, ma di una delle tante (migliaia…) di proposte di legge che i nostri 900 eletti alla Camera e Senato presentano, durante ogni legislatura, gran parte delle quali vengono “assegnate” alle Commissioni parlamentari competenti, ma nella quasi totalità dei casi finiscono su binari morti.

La Fase 1

L’onorevole Maria Laura Paxia ci ha precisato dinamiche a noi ben note (e che sono note a chiunque, consulente o giornalista o anche soltanto cittadino appassionato, informato sui fondamenti delle italiche gestazioni normative), ma che è interessante riprodurre: “le Proposte di Legge, una volta redatte, sono inviate agli uffici normativi, i quali provvedono alla correzione e alla stampa della bozza provvisoria, che non viene ancora pubblicata per permettere al parlamentare di effettuare ulteriori modifiche e successivamente apporre le altre firme di chi aderisce all’iniziativa legislativa”. Questa è quella che potremmo definire “fase 1”.

La Fase 2

Quella che segue è la “fase 2”: “solo dopo viene inviato nuovamente ai testi normativi, i quali effettuano un ulteriore controllo, che porta alla stampa definitiva e la pubblicazione online, oltre che la assegnazione presso la corretta commissione esaminatrice”.

La situazione formale della proposta A.C. 1983 (intitolata “Abolizione del canone di abbonamento alle radioaudizioni e alla televisione e della relativa tassa di concessione governativa, nonché modifica dell’articolo 38 del testo unico di cui al decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177, in materia di limiti di affollamento pubblicitario nelle trasmissioni radiotelevisive”) è quindi questa: il testo definitivo, almeno nelle intenzioni della parlamentare, è stato “depositato” mercoledì scorso 13 novembre, ed ora “si aspetta la pubblicazione, da parte degli uffici competenti, sul sito e la assegnazione alla commissione”.

Maria Laura Paxia ci precisava che un deputato o un senatore “non ha l’obbligo di diffondere il testo di una proposta di legge prima del suo iter interno, anzi avrebbe l’obbligo di non farlo per rispetto dell’istituzione e del ruolo che ricopre”.

Ci puntualizzava anche che il testo (nella versione in bozza) è stato condiviso “con i commissari, del gruppo parlamentare del Movimento 5 Stelle, della Commissione Vigilanza Rai, ai quali è stato chiesto un parere, e una non diffusione del testo proprio in virtù di quanto in precedenza qui espresso”. La bozza è stata quindi fino ad oggi “condivisa” soltanto con i parlamentari del M5S facenti parte della Vigilanza.

Scrupolo procedurale e rispetto istituzionale

Quindi, nessuna volontà di “secretare” il testo, ma – ci precisava la parlamentare catanese, con convinzione – un grande (grandissimo anzi estremo) rispetto delle procedure, ovvero “la volontà di effettuare un lavoro legislativo che possa essere il migliore per la nostra nazione”.

Ciò chiarito e premesso, siamo riusciti ad acquisire una sorta di anteprima del testo, che pubblichiamo, con la ovvia precisazione che non si tratta del testo “definitivo”, che sarà disponibile – vogliamo immaginare – soltanto tra qualche giorno.

Il testo che abbiamo avuto il privilegio di leggere in anteprima è bollato come “bozza non definitiva”, e quindi va preso soltanto come una traccia.

Maria Laura Paxia è la prima firmataria della proposta, seguono le firme di altri 5 deputati del M5S: Rosalba De Giorgi, Fabio Berardini, Emanuele Scagliusi, Carlo Ugo De Girolamo, Caterina Licatini. Si osserva che, a parte la deputata De Giorgi, gli altri 4 co-firmatari non sono componenti della Vigilanza.

Quel che stupisce, anzitutto, è la assoluta brevità della relazione di accompagno, che spiega assai poco dell’approccio tecnico adottato.

La proposta

Emerge però evidente la dichiarazione di intenti, a chiare lettere: “si tratta di un’imposta antiquata, che non ha motivo di esistere”. Questa sicurezza tranchant sarebbe determinata “in virtù del maggiore pluralismo indotto dall’ingresso sul mercato di nuovi editori e dall’apporto delle nuove tecnologie”.

Sfugge il nesso “causa-effetto”, rispetto a quel che può (deve) essere il ruolo di un servizio pubblico.

Si tratterebbe di una “imposta socialmente ingiusta”, perché va a colpire “indiscriminatamente dal reddito, dall’età e dall’utilizzo, e, in particolar modo, colpisce le fasce più deboli della popolazione”.

Premesso che si possono adottare “correttivi” a questa teorizzata discriminazione, ed in parte sono stati adottati (per esempio, dal febbraio 2018 chi ha oltre 75 anni non è più tenuto a pagare il canone Rai), ci si domanda perché non è stato prospettato un eventuale sistema di rimodulazione del canone per fasce, come potrebbe essere correlare il l’entità del canone alla dichiarazione dei redditi.

Nella relazione di accompagno, nemmeno una riga una per spiegare quel che l’articolato propone, ovvero una equiparazione di Rai ai livelli di affollamento pubblicitario delle altre emittenti televisive, senza nessuna differenziazione.

L’imposta sui servizi digitali

Come ha spiegato la parlamentare del M5S, il flusso del canone verrebbe sostituito “con un gettito derivante fino al 40 % dall’imposta sui servizi digitali, fino al 20 % da una tassa sui ricavi delle emittenti radiofoniche e televisive diverse dalla Rai e fino ad un 10 % da una tassa sui ricavi delle emittenti a pagamento, anche analogiche”.

Non viene chiarito a quale “imposta sui servizi digitali” ci si riferisca, e già soltanto questo elemento determina una indiscutibile incertezza della proposta. Non viene nemmeno prospettata una qualche ipotesi di scenario, con la quantificazione dei fabbisogni economico-finanziari.

Ci si domanda se i tecnici della Camera, in casi come questi, non dovrebbero mettere all’opra qualificati funzionari specializzati, producendo magari un dossier del Servizio Studi o comunque, se non potrebbero fornire al parlamentare un adeguato supporto tecnico.

Quel che appare più grave, perché determina “dipendenza” e certo non “indipendenza”, è il passaggio che prevede che ogni anno il Mise, di concerto col Ministero delle Economie e Finanze – Mef, debba andare a stabilire l’ammontare dei fondi pubblici, ovvero dell’imposta sui servizi digitali, della tassa sui ricavi delle varie emittenti, in misura tale da consentire alla Rai di coprire i costi (e chi quantifica questi “costi”?)

Il tono polemico della proposta di Paxia è ben rappresentato dal video che lei stessa ha postato sul proprio profilo Facebook, a metà luglio (per la precisione il 17 luglio), quando l’iniziativa è stata annunciata.

Abolire il canone: una proposta dalle radici lontane

La proposta appare debole, per due aspetti: equiparare la Rai alle emittenti televisive private determinerebbe un suo affollamento pubblicitario… inquietante, rispetto all’assetto attuale, tale da renderla verosimilmente – almeno da questo punto di vista – indistinguibile rispetto ai concorrenti; questo “allineamento” pubblicitario determinerebbe un annacquamento ulteriore del profilo identitario del “public broadcasting service”, ed aprirebbe la via verso quella “privatizzazione”, che pure è stata invocata in passato da alcune forze politiche, in primis la Lega Nord.

Proprio in argomento, l’ultimo pamphlet del giornalista del “Corriere della Sera” Sergio Rizzo, intitolato “La memoria del criceto. Viaggio nelle amnesie italiane” (pubblicato per i tipi di Feltrinelli nel settembre 2019, 194 pagine, 16 euro), propone un capitoletto dedicato giustappunto a “La Rai e lo spettro della privatizzazione”.

Ricorda Rizzo che la legge che porta il nome del senatore Maurizio Gasparri prevedeva che entro il novembre del 2004 sarebbe stato avviato il procedimento per “l’alienazione della partecipazione dello Stato nella Rai”: a questa legge, non è mai stato dato seguito. Rizzo ricorda una dichiarazione di Massimo D’Alema (titolare degli Esteri nel secondo governo Romano Prodi) del settembre 2006, che sosteneva “una parte della Rai può rimanere servizio pubblico finanziato con il canone e il resto può essere privatizzato, ma so che è una idea malvista a destra e sinistra”. Nell’ottobre del 2010, l’allora Presidente della Camera Gianfranco Fini tenta di rilanciare l’operazione, senza alcun risultato.

L’italica “memoria del criceto” sembra aver rimosso anche che nel lontano 1995 un referendum promosso dal Partito Radicale e dalla Lega Nord aveva abrogato (55 % dei votanti, con quorum superato) la norma del 1990 che stabiliva l’esclusiva proprietà pubblica della Rai. E Rizzo ricorda che lo stesso fondatore del Movimento 5 Stelle Beppe Grillo aveva dichiarato chiaro e tondo che la Rai andava privatizzata.

E pochi ricordano che, nel dicembre del 2012, l’europarlamentare della Lega Mara Bizzotto ha depositato una petizione, supportata da migliaia di firme, per l’abolizione del canone Rai, iniziativa che chiedeva al Parlamento Europeo l’apertura di una procedura di infrazione contro l’Italia. Esisteva peraltro (ed esiste ancora) anche un “Comitato per la Libera Informazione Radio Televisiva” (Clirt).

Sul sito web della parlamentare della Lega, vi è documentazione attestante che non ha gettato la spugna (vedi la sezione intitolata “Liberiamoci del canone Rai”), e vi sono alcuni video interessanti del dibattito al Parlamento Europeo, con un Matteo Salvini insofferente ed il suo ex collega Mario Borghezio scatenato.

Si ricordi anche che, nel settembre del 2011, un sondaggio promosso dall’Ifel, il centro studio dell’Anci (l’associazione dei Comuni), in collaborazione con l’istituto demoscopico Swg, aveva stimato che il 46 % degli intervistati (campione di 8mila persone) considerava il canone pagato alla tivù pubblica l’imposta assolutamente meno digeribile, ritenuto tre volte più insopportabile perfino del “bollo auto”.

Canone o pubblicità?

Insomma, la questione canone è controversa, ma un’accurata analisi comparativa a livello internazionale, e soprattutto europeo, consente di dimostrare che il canone resta un baluardo per la sopravvivenza di un “servizio pubblico televisivo” indipendente (anzi, ormai prevale l’aggettivo mediale, ovvero si è passati da “psb” – “broadcaster” – al “psm”, cioè “public service media”).

Il canone consente all’emittente pubblica di non asservirsi alle logiche del mercato pubblicitario, sfuggendo al rischio di una omologazione ideologica e di un pensiero unico consumista, e – soprattutto – di affrancarsi (almeno in parte) da una dipendenza diretta dagli umori del Governo di turno.

Non si tratta di una autonomia assoluta e totale: basti pensare che soltanto una parte del canone (74 euro su 90) viene assegnato dal Governo alla Rai stessa (come denunciato una settimana fa dall’Amministratore Delegato Fabrizio Salini, vedi “Key4biz” dell’8 novembre 2019, “Una nuova Rai è davvero possibile?”), e già questo evidenzia come il rischio di “manovre” tecniche e pressioni politiche sia sempre latente, in presenza di esecutivi che vogliono influenzare l’opinione pubblica utilizzando uno strumento che rientra nel loro dominio.

Ci rendiamo conto che “la piazza” possa stimolare le posizioni di molti parlamentari, e senza dubbio il canone Rai è inviso a buona parte della popolazione italiana, ma va denunciato a chiare lettere che l’abolizione del canone è una proposta di sapore soprattutto demagogico-populista, che determina una degenerazione mercatista del “senso dello Stato”, ovvero del suo stesso ruolo come interprete di una comunità.

La lotta del M5S

Ci si domanda se la proposta di Maria Laura Paxia è stata resa di pubblico dominio a distanza di 4 mesi quattro dal suo annuncio perché il Capo Politico del Movimento ha cambiato idea o perché ha suggerito prudenza.

In effetti, il 25 luglio, senza dubbio Luigi Di Maio dichiarava “lavoriamo per abolire il canone Rai. Tra pochi minuti, avremo qui al Mise una riunione sul canone Rai, perché vogliamo abolirlo e stiamo trovando la soluzione tecnicamente migliore”.

Quella di Paxia di due giorni fa è forse una concreta accelerazione, dopo una lunga frenata durata quattro mesi? È una iniziativa della parlamentare “uti singuli”, oppure è stata ri-benedetta dal Capo Politico del Movimento?

Va ricordato che, nel mentre, da quel 25 luglio 2019, molta acqua è passata sotto i ponti, e basti ricordare il salto carpiato dalla maggioranza “giallo-verde” a quella “giallo-rossa”.

I pareri

Crediamo che nell’ambito del novello alleato del M5S ovvero il Partito Democratico non vi sia nessun parlamentare fautore dell’abolizione del canone Rai (sull’argomento, si rimanda ad una lunga interessante intervista della Consigliera di Amministrazione Rai Rita Borioni, “in quota Pd”, concessa all’AdnKronos l’indomani rispetto alle dichiarazioni “abrogazioniste” di Maio), e quindi prevediamo che la proposta Paxia, per quanto verrà presto assegnata alle Commissioni parlamentari competenti, sia destinata a finire su…un binario morto.

Silenzio-stampa da Italia Viva. Il “neo-partito” non ci risulta si sia espresso come “corpo mistico”, ma va osservato che il Vice Segretario della Commissione Vigilanza, l’iper-attivo Michele Anzaldi, ha presentato venerdì scorso 8 novembre, una petizione sulla piattaforma Change.org per tagliare “progressivamente” il canone Rai (che ha raggiunto in pochi giorni oltre 10mila firme).

Si ricordi che il partito guidato da Matteo Renzi è stato il fautore della riduzione del canone, dai 113,50 euro del 2015 ai 100 euro del 2016 agli attuali 90 euro.

Sostiene Anzaldi, “andiamo avanti con il taglio: nel 2020 paghiamo 80 euro, nel 2021 paghiamo 70 euro, e così via. Finché la Rai non ristabilirà un’informazione davvero corretta, tagliamo 10 euro all’anno di canone”. Che simpatica dinamica! Anche qui, imminente il “deposito” di una proposta di legge?

In argomento canone, silenzio totale da Liberi e Uguali (Leu), partner minore della attuale maggioranza di governo, cui pure va dato atto di essere stato l’unico partito che – nelle parole di Federico Fornaro – nelle ultime settimane ha denunciato il ritardo e la segretezza (…) nella quale sembra stia avvenendo il “confronto” politico tra i partiti per l’elezione del nuovo Consiglio dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni Agcom: un altro dei “misteri italiani”.

Che si possa ipotizzare una eccentrica “maggioranza trasversale” a favore dell’abolizione del canone? Una parte del M5S in sintonia con Italia Viva e Lega Salvini per affossare Viale Mazzini.

In ogni caso, permangono nebbie assolute su quella legge contro il conflitto di interesse e per la riforma del sistema radiotelevisivo, che pure rappresentano uno dei punti fondanti dell’accordo di governo dell’attuale maggioranza.

Sulla questione, non si registrano concrete iniziative normative, né dichiarazioni di sorta, né dal Ministro per lo Sviluppo Economico Stefano Patuanelli, né da parte dei suoi Sottosegretari.

Va però comunque ricordato che l’attuale Ministro risulta co-firmatario (unico cofirmatario) della proposta “anti-canone” presentata in Senato il 17 luglio dal suo collega Gianluigi Paragone, che reca esattamente lo stesso titolo della proposta Paxia alla Camera (si tratta dell’Atto Senato n. 1417). Va osservato – “en passant” ?! – che anche questo testo risulta “presentato” ed “annunciato” il 17 luglio (in contemporanea all’iniziativa Paixa), ma si legge sul sito web del Senato, ancora oggi “nessun testo disponibile” (si immagina che i funzionari del Senato stiano ancora maturando fondamentali e preziosi pareri tecnici).

Anche in questo caso, dal 25 luglio 2019, molta acqua è passata sotto i ponti: il Senatore Patuanelli è stato elevato il 5 settembre 2019 (giorno del suo giuramento di fronte al Presidente della Repubblica) al rango di Ministro ed il Senatore Paragone (che pure ha finora presentato soltanto questo disegno di legge come primo firmatario, e quindi dovrebbe farne un suo cavallo di battaglia) rappresenta oggi una delle tante voci critiche rispetto all’attuale guida del Movimento 5 Stelle.

Si tratta, senza dubbio, di dossier delicati (dalla Rai al conflitto di interessi) che ci sembra siano però affrontati con discreta superficialità, ma ci si domanda anche se questi “contratti” atipici (quello “vigente” tra M5S e Pd ed altri alleati, così come il mitico “contratto di governo” tra Lega e M5S che diede vita al precedente esecutivo) debbano ormai  essere veramente assimilabili a quelle evanescenti dichiarazioni di intenti che furono inaugurate, nella ritualità mediatica italiana, da Silvio Berlusconi con il suo mitico “contratto con gli italiani” nella coreografia di “Porta a porta” (correva l’anno 2001).

Parole al vento, contratti scritti sull’acqua.

Latest news: la segreteria dell’onorevole Paxia ci comunica oggi alle ore 15 che la proposta di legge è online sul sito della Camera. Finalmente: ne siamo lieti, così il dibattito (pubblico) potrà essere finalmente avviato.

Abbiamo comunque osservato che tra la “bozza non definitiva” e la versione “definitiva” non vi è una virgola una di modificazione (l’unica differenza è che la “bozza” reca soltanto la firma di Paxia, mentre la versione “definitiva” di altri 5 parlamentari). Il lavoro degli uffici tecnici della Camera non ha apportato granché.

Clicca qui, per leggere la “bozza non definitiva” dell’Atto Camera n. 1983 “Abolizione del canone di abbonamento alle radioaudizioni e alla televisione e della relativa tassa di concessione governativa, nonché modifica dell’articolo 38 del testo unico di cui al decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177, in materia di limiti di affollamento pubblicitario nelle trasmissioni radiotelevisive”, prima firmataria la deputata Maria Laura Paxia.

Clicca qui, per leggere la versione definitiva della proposta di legge A. C. 1983 per l’abolizione del canone Rai, prima firmataria la deputata Maria Laura Paixia.