Digital Transformation

Digital transformation e lavoro, le 8 regole per innovare le proprie competenze

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Nei prossimi dieci anni assisteremo ad una rivoluzione dell’intero mondo del lavoro. Gli impatti saranno epocali ed imporranno un ripensamento integrale dei modelli educativi e formativi del futuro e dei processi per andare a creare quelle competenze che il mercato via via andrà a richiedere.

Stiamo vivendo in un periodo di fortissimi cambiamenti. Tanto gli imprenditori, quanto i lavoratori si interrogano già oggi sul futuro del lavoro e sull’impatto della robotica, dell’intelligenza artificiale e più in generale sull’effetto che avrà il progressivo processo di automazione del lavoro  sull’occupazione prossima futura.

Nei prossimi dieci anni assisteremo ad una rivoluzione dell’intero mondo del lavoro. Gli impatti saranno epocali ed imporranno un ripensamento integrale dei modelli educativi e formativi del futuro e dei processi di lifelong, lifedeep e lifewide learning, per andare a creare quelle competenze che il mercato via via andrà a richiedere. 

Le nuove esigenze di formazione creeranno un nuovo grande mercato e darà il via ad importanti  investimenti, sia da parte delle imprese, sia da parte dei lavoratori stessi, che sempre di più dovranno ragionare come imprenditori di se stessi.

Gli investimenti da parte delle imprese, nei processi di “reskilling” e “upskilling” necessiteranno di nuovi modelli per la misurazione del ROP (Return on People) ma su cui dovranno ragionare anche i lavoratori, costretti a confrontarsi con la valorizzazione dei propri investimenti formativi, utilizzando parametri come il ROC (Return on Competence), che dovranno essere messi a punto.  Si tratta di parametri complessi che dovranno tenere conto non solo del ritorno sugli investimenti effettuati (non solo finanziari), ma anche della qualità dell’investimento nel tempo.  Questo porterà imprese e lavoratori a fare ragionamenti controintuitivi per orientare le loro scelte.

Le competenze tecnologiche digitali sono ad esempio quelle maggiormente richieste dal mercato, ma anche quelle a più rapida obsolescenza, mentre le cosiddette “competenze trasversali”, come la flessibilità, l’apprendimento veloce e le capacità creative e immaginative, a fronte di una più difficile misurabilità, offriranno probabilmente un ritorno nel lungo periodo interessante, anche considerando i futuri “rapporti uomo-macchina”, che caratterizzeranno il mercato del lavoro in un prossimo futuro.Se le nuove competenze sono destinate a diventare un asset strategico di fondamentale importanza, sarà necessario interrogarsi pertanto, non solo su quali saranno quelle maggiormente richieste dal mercato nei prossimi anni, ma anche quali avranno la minore probabilità di obsolescenza. 

Lo “skill mix” personale, dovrà pertanto essere valutato anche in logica di portafoglio, come si fa per ogni tipo di investimento, considerandone il possibile deprezzamento nel tempo e i relativi costi di mantenimento.

Si definisce “future proofing”, “il processo di anticipazione del futuro e lo sviluppo di metodologie per la minimizzazione degli effetti causati dagli shock e dagli impatti di eventi futuri” (Wikipedia). Nonostante il concetto, coniato da Brian Rich per il mercato delle costruzioni, sia già largamente utilizzato nelle industrie caratterizzate da una forte turbolenza ambientale, come l’elettronica, l’industria medica, l’industrial design e negli studi per il cambiamento climatico, esso viene oggi esteso per ogni tipo di investimento, anche immateriale.

In generale parliamo dell’abilità di estendere il valore di qualcosa (un oggetto, un prodotto, un servizio, una competenza), anche nel futuro in modo che non diventi obsoleto.

Brian Rich, ha definito alcuni principi per il future proofing che possono essere presi in considerazione per salvaguardare un investimento nel tempo, principi che ho liberamente adattato, per facilitare la valutazione  ai fini della sua valorizzazione, di un possibile skill mix personale. Vediamo in dettaglio i principi di nostro interesse.

  • Prevenire il decadimento delle risorse. E’ necessario investire non solo in competenze fortemente richieste dal mercato, come quelle digitali, ma che di converso rischiano di diventare velocemente obsolete, ma anche in quelle più durevoli, le cosiddette “competenze soft”,  che sono difficilmente replicabili da una macchina (ad esempio: la comunicazione empatica, la creatività, l’immaginazione, la capacità di improvvisazione, la negoziazione, ecc).
  • Stimolare la flessibilità e l’adattamento ai vari contesti.  Le competenze possono essere definite come la capacità di orientarsi in un determinato campo, ovvero di utilizzare in certi contesti le conoscenze, le abilità e le capacità apprese. Lavorare per declinare ogni competenza appresa in più campi di applicazione, sicuramente contribuisce a rinviarne l’obsolescenza. (Ad esempio il problem setting ed il problem solving, o la “visione sistemica”, possono essere considerate competenze versatili utili in diversi contesti)
  • Estendere il ciclo di vita delle competenze. La formazione permanente, l’aggiornamento professionale periodico, può essere visto anche come attività di manutenzione delle proprie competenze in ottica evolutiva. E’ un’attività che si può potenziare anche attraverso un costante scambio e partecipando ad iniziative di trasferimento periodico di conoscenza sia in ambiti formali sia in ambiti informali.
  • Fortificare le competenze. La resilienza è la capacità intrinseca di un sistema di adattarsi al variare delle condizioni al contorno. Le competenze possono essere forticate, mettendole alla prova attraverso esercizi di tipo what if, per prepararsi alla gestione di possibili eventi eccezionali o non previsti.
  • Incrementare la ridonzanza. Si creano sistemi di backup, in modo che se un sistema principale fallisce, vengono messi in funzione sistemi secondari, per garantire la continuità. Lo stesso vale per le competenze. Anche per quelle attività che verranno automatizzate (ad esempio la diagnostica o l’analisi predittiva), si rende indispensabile un controllo umano, che necessiterà pertanto di figure professionali con competenze adeguate, in grado di affiancare le macchine o sostituirle in caso di necessità.
  • Ridurre l’obsolescenza attraverso interventi di anticipazione.  Spesso la tendenza nelle organizzazioni è quella di investire sulle competenze delle persone, quando serve, quando invece una più precisa pianificazione consentirebbe un processo graduale, ma costante di aggiornamento e di allargamento delle competenze, che se portato avanti in modo sistematico avrebbe i suoi vantaggi anche in caso di elevata mobilità del personale.  E’ un tema estremamente delicato, perché spesso le organizzazioni ragionano con logiche di breve periodo o per “emergenze”.
  • Diversificazione. La diversificazione è il principio base per ogni investimento. Ogni impresa od organizzazione deve individuare il proprio “skill mix” ideale in ottica dinamica,  in funzione della fase di mercato in cui si viene a trovare. Il ragionamento vale sia considerando la singola persona, sia uno specifico team di lavoro.
  • Allineamento motivazionale.  Un tempo si parlava di clima aziendale come analisi della percezione di un determinato ambiente da parte delle persone che in esso operano, attraverso l’individuazione del gap tra l’aspettativa delle persone stesse e la realtà quotidiana vissuta nell’organizzazione. Oggi la crescita personale può essere programmata attraverso un più profondo allineamento tra obiettivi dell’organizzazione e quelli delle persone, anche attraverso un processo di coaching e di mentoring.

La valutazione delle competenze in ottica evolutiva, diventerà ben presto un elemento strategico di fondamentale importanza e quando questa consapevolezza sarà consolidata, cominceremo a parlare di Personal Transformation e non più solo di Digital Transformation.