L'approfondimento

Democrazia Futura. Il fine giustifica i media, archeologia e fortuna del termine Mass Media

di André Lange, esperto di politica ed economia delle industrie cinematografiche, audiovisive e culturali |

Cosa sono, a che servono, come sono stati utilizzati, con quali tecnologie e per quali finalità: i mezzi di comunicazione di massa hanno trasformato il nostro modo di relazionarci, di fare politica, di guardare il mondo, di immaginare la realtà, di intervenire su di essa e il digitale apre ora una nuova frontiera tutta da scoprire.

Pubblichiamo di seguito il contributo di André Lange, esperto di politica ed economia delle industrie cinematografiche, audiovisive e culturali (1), alla rivista DEMOCRAZIA FUTURA, promossa dal gruppo di “Infocivica 4.0” e diretta da Giampiero Gramaglia, a cui seguirà quotidianamente la pubblicazione di tutti gli altri articoli.

Introduzione

Il discorso populista si nutre prontamente di una diffusa denuncia dei media, accusati di mentire, mentre i social network sarebbero portatori della verità emanata dal discorso popolare. Questa denuncia è ovviamente semplicistica e richiederebbe un’analisi dettagliata. Non sarà il nostro scopo qui. Ci accontenteremo di interrogarci sulle origini di questo termine media, che non basta caricare di connotazioni negative per affermarne la presunta nocività.

In un brillante libro intitolato Médiamorphoses (2), Pascal Durand, professore all’Università di Liegi, sottolinea giustamente che il termine media onnipresente oggi è una riduzione del sintagma “mass media”, ovvero dell’unità sintattica usata negli anni Venti del secolo scorso nei circoli pubblicitari americani. L’indicazione è corretta, ma richiede qualche chiarimento. In effetti, l’espressione mass media compare effettivamente alla Convention of Associated Advertising Clubs (Atlantic City, giugno 1923), come una probabile riduzione del sintagma mezzi di vendita di massa utilizzato alla precedente Convenzione (Milwaukee, 11-15 giugno 1922). È interessante notare che mass media non si riferiva immediatamente, nella terminologia pubblicitaria, alla stampa e alla radio. Al contrario, si era opposto ad entrambe. Così nel 1927 Hugh Elmer Agnew, nel capitolo “Mezzi pubblicitari” di un’opera intitolata Principles of Advertsing, ovvero Principi di pubblicità, distingue tre categorie di media:

  1. i mass media (cartelloni, tessere per auto, bollettini dipinti, insegne per finestre), che consentono di raggiungere «il grande pubblico,
  2. la stampa scritta, che consente di rivolgersi a un pubblico specifico
  3. la corrispondenza diretta, che consente di indirizzare elenchi di persone identificate.

Cinque anni dopo, Agnew ha rivisto la sua nomenclatura e distinto quattro tipologie di media: pubblicazioni, pubblicità diretta, insegne o mass media, pubblicità radiofonica o televisiva. Usava ancora questa partizione nel 1938. Nel 1936, un altro lavoro distingueva sei tipologie di media: display, media periodici, mezzi pubblicitari diretti, mezzi di comunicazione di massa (mezzi di comunicazione esterni, tessere automobilistiche, vari), pubblicità passaparola di clienti soddisfatti, pubblicità radiofonica (3).

Se il 1923 è considerato l’anno di nascita del termine mass media, si può tuttavia trovare un esempio non trascurabile di confronto tra il termine media e il termine masse (ma anche il termine classi) in un articolo “Thrift Campaign Take Definite Shape”, dove William Proctor Gould Harding, direttore del Federal Reserve Board, spiega come verrà lanciata la campagna “A Million New Savers in 1916» (un milione di nuovi risparmiatori in 1916”, un anno prima che il paese entri in guerra con la Germania (4):

«Bisogna indurre le persone ad essere parsimoniose. Devono essere incoraggiate, non solo per iniziare ad esserlo, ma per andare avanti finché l’atto di risparmiare denaro non diventi automaticamente un’abitudine. Il messaggio deve essere portato all’Individuo, quindi la campagna impiega i media attraverso i quali le masse, e anche le classi, possono essere raggiunte.

Le vie di avvicinamento: grandi numeri saranno raggiunti attraverso i giornali. Agli alunni delle aule scolastiche verranno fornite lezioni di parsimonia raramente presenti nel curriculum scolastico. I genitori in casa saranno raggiunti attraverso i bambini delle scuole e attraverso altre vie. I tram, un grande punto di ritrovo di migliaia di esseri, molti dei quali non leggono i giornali, offriranno un importante punto di contatto per raggiungere la gente. Saranno utilizzate anche le Moving Pictures Houses [letteralmente: le case di immagini in movimento n.d.t.], ora divenuto luogo di incontro di innumerevoli migliaia di altre persone. La fabbrica, il negozio, l’ufficio sono utilizzati fino in fondo come luoghi dai quali diffondere il messaggio vitale dell’anno centenario. Le chiese, le organizzazioni civiche e altre organizzazioni devono essere bombardate per fare cose definite e contribuire a portare questa campagna a una conclusione memorabile e di grande successo “

Resta da chiarire a che punto, e in quali circostanze, i mass media sono passati dalla definizione restrittiva che si trova nelle opere di tecnica pubblicitaria alla definizione più ampia, che prevarrà dopo la seconda guerra mondiale, comprendendo la carta stampata, la radio, il cinema e la televisione. Le definizioni tecniche probabilmente non sono state rispettate nel linguaggio comune. Così nell’annuncio di lavoro pubblicato sul giornale Printer’s Ink, del 9 agosto 1923, si richiede a un addetto alle vendite di aver messo a profitto un’esperienza professionale “in uno dei grandi mass media o in una delle agenzie”, probabilmente in questo caso “big Mass Media si riferisce ad un quotidiano importante. Anche in The Wakefield News, un quotidiano di Wakefield, Michigan, l’8 marzo 1930, appare un articolo in cui si afferma che “La chiesa è l’unico mezzo di comunicazione di massa per trasmettere alle persone il valore della cristianità”.

La digitalizzazione dei giornali americani consente di identificare varie frasi di tre parole negli anni Trenta e Quaranta. L’espressione Mass communication media, ossia mezzi di comunicazione di massa apparve nel 1936 durante un dibattito sulla responsabilità dei radiodiffusori in una convenzione democratica organizzata dall’Institute of Public Affairs dell’Università della Virginia, il 16 luglio 1936 a cui parteciparono i dirigenti di RCA, CBS e del Washington Post. Nel gennaio 1937, il termine mass entertainment media, ovvero strumenti di intrattenimento di massa, fu usato in una conferenza tenuta dalla Virginia Press Association. Nell’agosto 1942, un docente di nome Ellis Newcomb tenne una conferenza al Rotary di Petluma sui Mass Advertising Media, ovvero sui mezzi di comunicazione pubblicitaria di massa. Nel novembre 1942, il pittore George Biddle, amico d’infanzia di Franklin Roosevelt tenne una conferenza sull’arte e la guerra e, evocando la crescita della frequentazione dei musei, la attribuì non a una maggiore percezione delle opere ma all’impatto dei “media of reproduction and presentation”.

Il primo episodio sulla stampa che ho potuto individuare dove i mass media assumono il significato che avranno dopo la seconda guerra mondiale si trova nel Pittsburgh Courrier del 2 gennaio 1943: si affrontano alcuni mass media stereotypes [ossia stereotipi dei mass media] in materia di rappresentazione delle persone di colore. Uno studio dettagliato di riviste e pubblicazioni scientifiche dovrebbe evidenziare a partire da quando il sintagma compare nel vocabolario scientifico, in particolare in quello di Paul Lazarsfeld e Bernard Berelson.

Si noti che il sintagma Mass Media non arriva in maniera imprecisa nella lingua francese ma che vi verrà introdotto dopo la seconda guerra mondiale, in sostanza, questo merita di essere notato, attraverso i testi delle Nazioni Unite e dell’Unesco. Julian Huxley, biologo britannico, fratello dell’autore di Brave New World e primo direttore dell’agenzia, lo utilizza nel 1950 nel suo testo programmatico L’Unesco le sue finalità e la sua filosofia, nella cui versione francese esso viene reso come “moyens d’information de masse”, ossia mezzi di informazione di massa. Sempre nel 1950, l’Unesco pubblica una raccolta di testi, I diritti dello spirito, contenente un contributo dello scrittore americano Eric Larrabbee: The mass media and the intellectual, ovvero I mass media e l’intellettuale”. Nel 1950, il sociologo francese Georges Friedman, futuro fondatore della rivista Communications, non si prese più la briga di tradurre il termine nel suo saggio Dove va il lavoro umano, alla stregua l’anno successivo di Jean-Marie Domenach, all’epoca direttore della rivista Esprit, nel suo contributo a una conferenza il cui titolo era un bel programma: Comment convaincre cette inconnue, la foule, ovvero come convincere la folla, questa sconosciuta. Varie formulazioni sono state proposte per volgere in francese “mass media”: da “moyens de communications de masse” a “techniques de diffusion collective” (Institut Solvay, Université Libre de Bruxelles, 1959) e persino “mass média” (Jean Boniface, Arts de masse et grand public, 1963). Edgar Morin usa il termine nel primo tomo uscito nel 1962 del suo studio L‘Esprit du temps. Essai sur la culture de masse (5), che porta Pierre Bourdieu e Jean-Claude Passeron, l’anno successivo nel mensile sartriano Les Temps Modernes alla pubblicazione del corrosivo saggio “Sociologues des mythologies et mythologie des sociologues”. Tuttavia Friedmann e Morin hanno vinto la partita, con l’aiuto di Christian Metz, che ha introdotto il termine mass media nell’articolo che ha dedicato alla rivista Communications su Le Monde del 4 novembre 1964.

Mass media prevale solo poco prima di essere francesizzato in “médias”, termine che compare per la prima volta nell’espressione «Plan médias» riferito al mondo della pubblicità, prima di beneficiare di una sorta di imprimatur di successo in occasione della traduzione francese Pour comprendre les médias nel 1968 del celebre saggio di Marshall McLuhan Understanding Media (6). “Médiatique” appare brevemente come sostantivo alla fine degli anni Settanta (in particolare in Guy Debord), e, in maniera più durevole, come aggettivo (7).

Fissando il termine media come termine del Novecento, Pascal Durand si interroga sull’opportunità di usare il termine cultura mediatica riferito all’Ottocento. C’è, a mio avviso, un errore di valutazione che deriva dalla preoccupazione di prendere le distanze dal lessico dominante, rimanendone comunque dipendenti. Si dimentica che se da un lato il sintagma mass media risale al 1923, i termini moyens de communication in francese e medium/media in inglese esistevano molto prima dei manuali pubblicitari americani. Una piccola indagine lessicale ci permette di osservare che i mass media hanno sostituito il precedente sintagma “Advertising Media” (attestato sin dal 1848 nel Manchester Guardian) e che l’equivalente espressione francese era frequente nella stampa della seconda metà dell’Ottocento per designare i vari media a disposizione degli inserzionisti.

Una genealogia lessicale e concettuale sui media dovrebbe anche risalire più indietro e mettere in discussione le espressioni che il termine media ha largamente messo in disuso, in particolare rinunciando a chiamarli “mezzi di comunicazione” (in inglese Means of Communications o Medium of Communication. Troviamo moyens de communication nella lingua diplomatica francese del XVI secolo per designare sia i messaggi che gli eventi in occasione di negoziati. Per parte sua, l’espressione Medium communicationis è stata utilizzata sin dalla fine del XVI secolo nel latino dei teologi protestanti tedeschi in connessione con interpretazioni controverse del significato dei simboli dell’Ultima Cena. Il vino e l’ostia sono un mezzo di comunicazione tra Dio e gli uomini?

Certamente i mezzi di comunicazione nella lingua militare del XVII secolo, in anatomia nel XVIII secolo o nel campo dei trasporti all’inizio del XIX secolo sono un po’ lontani dal nostro argomento. Ma già nel 1695 lo Chevalier d’Ambars usava l’espressione moyens de communication per descrivere quella che è una sorta di prefigurazione di un telegrafo ottico e che è forse il primo uso della frase per designare una tecnologia (8). Troviamo altresì in un registro tecnico l’iscrizione di mille moyens de communication utilizzati dai prigionieri protestanti nelle carceri di Luigi XIV per eludere la vigilanza delle loro guardie, dopo la revoca dell’Editto di Nantes, come descritto nel 1695 da Elie Benoist (9)

Sembra che Robespierre sia stato il primo a utilizzare il termine moyens de communication il 27 giugno 1794 per denunciare nel manifesto del Duca di York un tema di propaganda politica (10). Traducendo il discorso della tribuna francese, The Times utilizzerà Medium of Communication (11).

La nozione di media intesi come intermediari tra il mondo politico e il pubblico iniziò a prendere piede in Inghilterra alla fine del XVIII secolo. Nel 1788, The Times si definì come Medium of public Communication. Jeremy Bentham, nel 1823, implorò la pubblicità dei dibattiti in Parlamento, il cui contenuto avrebbe dovuto essere comunicato al pubblico through the medium of the press, ovvero “per mezzo della stampa”.

Un cambiamento ebbe luogo quando nel 1844 il deputato liberale William Dougal Christie propose una mozione, che potrebbe essere stata ispirata dagli scritti di Bentham, per legalizzare la presenza a Westminster di “estranei”, in realtà i giornalisti con i loro resoconti dei dibattiti in Parlamento. Afferma: “i giornali sono diventati così universalmente riconosciuti come full and faithful Media of Communication ovvero mezzi di comunicazione pieni e fedeli tra quest’Aula e coloro che essa rappresenta, che penso che nessuno considererà più imprecisioni e false dichiarazioni come pericoli essenziali” (12).

Possiamo quindi vedere che l’uso parallelo delle parole medium, media o mezzi di comunicazione per designare strumenti tecnici, la stampa come istanza di mediazione tra il mondo politico e il pubblico o anche il contenuto dei messaggi stessi utilizzati nelle operazioni di propaganda. non è specifico del XX secolo. Non c’è quindi, a mio avviso, alcuna incongruenza nello studio delle “teologie dei media” nel Cinquecento (13) o nell’intraprendere una “archeologia dei media” guardando i testi di Gianbattista della Porta o Atanasio Kircher (14).

Naturalmente, in relazione a tutte queste forme ed eventi, l’originalità dell’espressione Mass Media sta nell’aggiungere a Media il termine Mass, ovvero la nozione di massa. Durand ci ricorda giustamente la distinzione fatta da Tchakhotin, affidandosi a Gabriel Tarde piuttosto che a Gustave Le Bon, tra folla e massa. “Una folla è sempre una massa, mentre una massa di individui non è necessariamente una folla. La “massa” è generalmente dispersa topograficamente, gli individui che la compongono non hanno un contatto fisico immediato, e questo fatto, dal punto di vista psicologico, la distingue in modo significativo dalla massa” (15).

La distinzione non è priva di rilevanza. Sarebbe quasi venir voglia di suggerire che l’espressione Mass Media è nata come gioco di parole su Mass Meeting, un sintagma frequente alla fine dell’Ottocento e all’inizio del Novecento, e sul quale, curiosamente, l’imperfezione degli strumenti di ricerca delle emeroteche digitali della Library of Congress e della British Library ci forniscono informazioni utili durante la ricerca delle occorrenze più antiche dell’espressione Mass Media.

Supponendo che nel sintagma Mass Media il termine massa implichi la distinzione proposta da Tchakhotin, dirimere tra la foule di Gustave Le Bon e la masse di Gabriel Tarde, dovrebbe portarci a opporre ai media di massa i media di folla, ipotizzando un pubblico ancora fisicamente riunito: le chiese romaniche, le cattedrali gotiche, i cavalletti delle fiere, i pulpiti barocchi della verità, le trombe parlanti e altri porte-voix, le scatole ottiche dei venditori ambulanti, le barricate delle rivoluzioni parigine, i megafoni dei tribuni, e persino le proiezioni sulle nuvole immaginate da Villiers de l’Isle Adam e dagli elettricisti britannici Ayrton e Perry.

Certo, l’attivazione di tutti questi media non era basata su un’organizzazione industriale come Hollywood che Adorno stava prendendo di mira. Ma la Chiesa cattolica era già un’amministrazione potente, ben consolidata sin dalla Controriforma nella propagazione del suo messaggio. Parodiando allo stesso tempo il critico della Kulturindustrie e McLuhan, avanziamo dicendo che la cultura di “messa” era già una cultura di massa.

Tornando alla nozione di spazio pubblico sviluppata da Jürgen Habermas, potremmo suggerire anche l’espressione “media di pubblico”, che dal canto loro assumano un pubblico di “qualità”, non indifferenziato (i piccoli teatri principeschi del Rinascimento, la sala anatomica, i salottini calze blu, la corrispondenza tra scienziati, l’aula magna delle università più antiche …).

Tuttavia, l’emergere della nozione di massa trarrebbe beneficio dall’essere approfondita e, anche, studiata nel suo dispiegamento storico, il che implica approfondire i testi degli autori dell’Illuminismo. La frase di Tchakhotine “Una folla è sempre una massa, mentre una massa di individui non è una folla”, sembra essere stata forgiata da quella del Salon di Denis Diderot del 1767: “Un gruppo è sempre una massa; ma una massa non sempre fa gruppo “.

La diversità delle connotazioni politiche della parola massa (che può essere valorizzata nel discorso politico, da Marat a Georges Marchais, o risultare sprezzante tra gli scrittori conservatori) non può essere ridotta alle teorie di Gabriel Tarde. Una rapida indagine sul corpus della banca dati Frantext permette di percepire, nella seconda metà del Settecento, il passaggio del termine massa dal discorso sulle scienze naturali (Buffon, Laplace) ed economiche (Turgot, Mirabeau), dal discorso sulla pittura (Diderot) verso il discorso sulla società e sulla politica.

Con Mirabeau la massa è associata alla repubblica: quest’ultima è “una massa, un blocco dove tutto è popolo” (L’ami des hommes ou Traité de population, 1755). La “masse des citoyens” è già raccolta nelle Memorie di M. Goezmann di Beaumarchais (1774). Folla e massa si trovano fianco a fianco nel Tableau de Paris di Louis-Sébastien Mercier (1782):

“Come possiamo trovare un modo per porre rimedio a questa folla di persone bisognose, che non hanno altra garanzia del loro sostentamento se non nel lusso depravato dei grandi? Come mantenere la vita in mezzo a questa massa che invocherebbe la fame se alcuni abusi cessassero improvvisamente?”

Il barone d’Holbach fu forse il primo a usare il termine per designare l’intera nazione: “Sotto un cattivo governo sotto principi senza morale e senza vigilanza, l’intera massa della società si deve necessariamente corrompere e dissolvere” (La Morale Universelle, 1776) ed è un uso simile che si ritrova con l’abate Seyès, nel suo discorso Cos’è il Terzo Stato (1789), quando parla del “grande interesse della massa nazionale”. Ed anche col barone d’Holbach troviamo la nozione di massa associata a quella di indottrinamento ideologico collettivo:

“Sebbene […] non tutti gli uomini siano suscettibili alla stessa educazione, sebbene sia quasi impossibile modificare due individui esattamente nello stesso modo, tuttavia è possibile e facile modificare gli uomini in massa, avvicinare la mente a certi oggetti, dare un tono uniforme alle passioni di un popolo”.

Tale indagine lessicale permette di verificare che il dibattito sulla cultura di massa compare già nel discorso dell’Illuminismo, anche se, è vero, la parola cultura va ricercata sotto le parole istruzione ed educazione. Sarà soprattutto in Nicolas de Condorcet che troveremo un uso massiccio del termine massa. Nel suo Rapport sur l’Instruction publique (20-21 aprile 1792) afferma nelle aspettative del suo piano “che era necessario dare a tutti ugualmente l’istruzione che è possibile estendere a tutti, ma non rifiutare a nessuna parte dei cittadini l’istruzione superiore, che è impossibile condividere con l’intera massa degli individui”. A quel momento il matematico, filosofo e politico già si opponeva a “tutta la massa degli individui” e “la porzione di cittadini” che ha diritto all’istruzione superiore”.

Nella sua concezione gerarchica del sistema educativo, Condorcet, tuttavia, non arriva al punto di ammettere che “l’intera massa di coloro che coltivano la scienza e le arti o che pretendono di coltivarle” abbia il diritto di governare il sistema d’insegnamento. Troviamo quindi già qui una diffidenza nei confronti dell’associazione della cultura delle arti e delle scienze quando è praticatain massa, massa che, ovviamente, con Condorcet, non è né popolare né proletaria, ma semplicemente statisticamente borghese.

Condorcet non è di quelli che pensano che la democrazia debba spingersi fino all’organizzazione dell’istruzione da parte del popolo o dei suoi rappresentanti. Al contrario, chiede che questa attività superiore sia concessa a una Société nationale de savant ovvero di scienziati e questa proposta non sarà adottata dalla Convenzione, perché considerata troppo elitaria da Pierre-Toussaint Durand de Maillanes. Porta già in sé l’opposizione tra una convalida delle scelte scientifiche e artistiche da parte della massa (su una base che si suppone statistica, quella del voto di cui Condorcet definirà uno dei metodi che porta il suo nome) e una convalida della competenza, di cui la fine dell’Ottocento stabilirà finalmente la preponderanza, come ha ben analizzato Pierre Bourdieu in La Règle de l’art. L’opposizione tra “massa di un popolo” e “porzioni” di esso, o le espressioni “massa comune”, “massa di cittadini”, “massa generale di menti”, “massa generale di individui”, “massa di uomini dediti al pregiudizio e all’ignoranza “,” massa del genere umano”,”massa della popolazione”, “massa intera della società “o anche “massa di questi illuminati” (per designare i primi cristiani) si troveranno in abbondanza ne L’Esquisse d’un tableau historique des progrès de l’esprit (1794).

Chateaubriand userà il termine massa anche in un contesto politico tre anni dopo: “Ecco le opinioni di questi filosofi sui migliori governi. Secondo Solone, è quello in cui la massa collettiva dei cittadini prende parte all’insulto offerto all’individuo” o ancora “Dove la nazione si riunisce in massa, esiste una repubblica “(Essai historique, politique et moral sur les révolutions anciennes et modernes considérées dans leurs rapports avec la Révolution française, 1797)

Questa datazione dell’emergere della nozione di massa nel vocabolario francese non è priva di importanza. Pascal Durand va contro una tradizione di analisi sociologica della letteratura che vede nel romanzo seriale, dal 1840, l’ascesa della cultura di massa. Sostiene che un pubblico di massa non esiste ancora e che gli editori non stanno ancora prendendo di mira “un pubblico socialmente ordinario”. Tuttavia, il discorso sulla cultura di massa stava già germogliando anche prima della comparsa del romanzo seriale o prima del testo di Sainte-Beuve sulla letteratura industriale (1839). A riprova di ciò, prendo l’associazione del libro e della “massa idiota” che già nel 1834 apparve con Alfred de Vigny quando annotò nel suo Journal du poète la sua sfiducia nei confronti di un successo artistico troppo rapido: “Sono anche diffidente nei confronti di un libro che abbia un successo immediato senza almeno un anno di intervallo, in grado di consentire all’élite di convertirvi le masse stupide”. O ancora, nel 1840, nel carteggio di George Sand: “Col tempo, le masse usciranno dalla cecità e dalla cruda ignoranza in cui le cosiddette classi illuminate le hanno tenute incatenate dall’inizio dei secoli”.

La critica dei mass media come strumento tecnico e dispositivo sociale del dominio di massa non inizia con la Teoria critica, né con L’ideologia tedesca. Nemmeno con le denunce del manifesto del Duca di York di Robespierre. Andrebbe, a mio avviso, ricercata molto più a monte, quando umanisti come Bartholomé de las Casas, Gabriel Naudé, Giambattista della Porta nel Cinquecento, poi, a seguire, Cervantes, Athanasius Kircher, Antonius Van Dale e Bayle affrontano le mistificazioni di teste parlanti, statue parlanti o oracoli. Come uomo dell’Illuminismo, Condorcet è inoltre l’erede di questi umanisti, poiché, in modo molto esplicito, il suo progetto di insegnamento dei principi elementari della fisica rivolto a “masse di individui” nasce dalla necessità di preservarle da “stregoni” e “artefici e narratori di miracoli”. Gaspard-Etienne Robertson, l’inventore della fantasmagoria, si è sentito obbligato a pubblicare le sue Memorie per ricordarci che le donne invisibili e gli specchi magici sono dispositivi ottici illusori e non fenomeni soprannaturali.

Le nozioni di media e quella di cultura di massa possono rivelarsi fruttuose in un approccio archeologico, a condizione, ovviamente, che esso si basi su una rigorosa contestualizzazione storica. La preoccupazione di evitare anacronismi non deve impedirci di cercare in tempi ancora più remoti rispetto all’Ottocento le origini dei problemi contemporanei. Resta da spiegare perché la critica dei media, che negli anni Sessanta e Ottanta era opera di una sinistra intellettuale nutrita dalle opere di Antonio Gramsci, Louis Althusser e Noam Chomsky, è andata vieppiù banalizzandosi nei luoghi comuni del discorso populista e “fascisteggiante” di denuncia dei media. Ma questa è un’altra storia.

Per la lettura dei precedenti articoli clicca qui

Note al testo:

(1) André Lange è editore del sito Histoire de la télévision (et quelques autres médias) https://www.histv.net

(2) Pascal Durand, Médiamorphoses. Presse, littérature et médias, culture médiatique et communication, Presses Universitaires de Liège, 2019.

(3) Hugh Elmer Agnew, Modern business: a serie of texts prepared as part of the modern business course and service, Vol.7 Advertising Principles, Alexander Hamilton Institute, 1927, p. 258; Hugh.Elmer Agnew, Advertising media; how to weigh and measure, Van Nostrand Company, 1932, p.14 ; Hugh .Elmer Agnew Outdoor advertising, McGraw-Hill Book Company, 1938, p. 75; Hugh. Elmer Agnew, Warren. Digert, Advertising media, McGraw-Hill, 1938, p. 26; Charles Mundy Edwards jr., Carl E. Lebowitz, Retail advertising and sales promotion, Prentice-Hall, 1936, pp. 355-357.

(4) The Snyder signal, 21 aprile 1916

(5) Tradotto in italiano da Andrea Miconi: Edgar Morin, Lo spirito del tempo, introduzione di Alberto Abruzzese, Roma, Meltemi, 2002.

(6) Marshall McLuhan, Understanding Media: The Extensions of Man (1964). Traduzione italiana Gli strumenti del comunicare, Milano, Il Saggiatore, 1967

(7) Il TLIF, nell’articolo Media, fornisce i media solo come nome: “Associazione delle tecnologie di comunicazione (video, telematica, microcomputer, reti, database, immagini, suono)” (01 Informat., 1981, no 150, p.146). Le sfide della nuova informatica, automazione d’ufficio, telematica ed elaborazione video, in breve: le sfide dei “media”, sono notevoli e tanto, industriali o economiche, quanto sociali e culturali (Médiathèques publiques, 1979, p.59).  Guy Debord usa ancora il sostantivo nei suoi Commenti sulla società dello spettacolo (1988). Come aggettivo, “media” compare per la prima volta nella frase “mass media”. Così Armand Gatti, nella sua opera Rosa collective, evoca la “Possibilità di Rosa berlinoise (mass-media)”. (1973). Poi, sulla stampa “Tutti i partecipanti al dibattito hanno sottolineato il doppio monopolio della comunicazione” bidirezionale “(telefono) e della comunicazione di massa (televisione) a scapito di un modello pluralista”(. Thomas Ferenczi, “Vidéo et recherche. La révolution n’a pas eu lieu”, Le Monde, 13 novembre 1978

(8) «Lettre du Chevalier d’Ambars», Le Mercure galant, novembre 1695, pp.213-224.

(9) Elie Benoist, Jacques-Auguste de Thou, Histoire de l’Edit de Nantes, Delft, Adrien Beman, 1693.

(10) Citato in François-Alphonse Aulard, La Société des Jacobins: recueil de documents pour l’histoire du club des Jacobins de Paris., T.6, Jouaust/Noblet/Quantin, p.184.

(11)“Jacobin Club, June 21”, The Times, 10 luglio 1794.

(12) Hansard, House of Commons, Vol.99, 12 febbraio 1844.

(13) Helmut PUFF, Ulrike Strasser, Christopher Wild (a cura di.), Cultures of Communication. Theologies of Media in Early Modern Europe and Beyond, University of Toronto Press, 2017.

(14) Siegfried Zielinsjy, Archäologie der Medien. Zur Tiefenzeit des technischen Hören und Sehens, Rowohlt Taschenbuch Verlag, 2002 (Deep Time of the Media. Toward an Archaeology of Hearing and Seeing by Technical Means, M.I.T. Press, 2006).

(15) È interessante notare che la riscoperta del pensiero di Tarde sulla comunicazione, e in particolare sulla conversazione, non è arrivata dalla Francia, ma dagli Stati Uniti, grazie a Lazarsfeld, ma soprattutto a Elihu Katz. Vedi in particolare «L’héritage de Gabriel Tarde. Un paradigme pour la recherche sur l’opinion et la communication”,  Hermès, CNRS, 1993/1 (11-12), pp. 265-274.