Il punto

Consip e le gare pubbliche. Strapotere delle multinazionali e scarso rispetto per le PMI?

di Martin Lutero |

C’è qualcosa che non va in Consip? Non sembra una pagliuzza in un occhio, ma forse qualcosa di molto più rilevante: un riconoscimento implicito dell'enorme potere delle lobby di settore, che rischia di danneggiare le dinamiche competitive, che non tutela la sovranità digitale del Paese e mette in posizione subalterna le PMI.

Consip, la più grande stazione appaltante del nostro Paese, nel luglio del 2017 pubblicava un bando di gara, che, per le sue specifiche caratteristiche, costituiva una svolta nel mondo del “procurement”.

La gara (ID 1881) avente ad oggetto “L’affidamento dei servizi applicativi IT per le Pubbliche Amministrazioni” prevedeva procedura aperta per la conclusione di un Accordo Quadro, suddiviso in 7 lotti, con più operatori economici (ai sensi dell’art. 54, comma 4 lett. C, D. Lgs. N. 50/2016 e dell’art. 2, comma 225, legge 191/2009).

Consip per la prima volta introduceva una demarcazione netta tra due mondi: quello delle “Grandi Imprese” (GI) e quello delle “Piccole e Medie Imprese” (PMI).

Con l’adozione di questo nuovo “modello di gara”, Consip avrebbe potuto porre fine ad una sorta di “monopolio di fatto”, che restringeva sistematicamente, vista anche la dimensione delle basi d’asta, il novero delle possibili aggiudicatarie alle sole Grandi Imprese.

Nel fissare le nuove “regole”, come indicato al punto II.1.6 del bando di gara citato, Consip aveva tracciato con “perentorietà” una linea di demarcazione chiara e netta: “…la partecipazione a più lotti è consentita per uno o più dei lotti che rientrano nei seguenti due sotto grupp”, ovvero:

  • Lotto 1 e/o Lotto 2 (c.d. Lotti Contratti Grandi);

o “in alternativa”

  • Lotto 3 e/o Lotto 4 e/o Lotto 5 e/o Lotto 6 e/o Lotto 7 (c.d. Lotti Contratti Medio-Piccoli).

E la svolta sarebbe stata integralmente riassunta nella parola “alternativa”. 

Ma alle battute finali della procedura di gara, in prossimità della consegna delle offerte, sorprendentemente Consip, rispondendo a uno dei quesiti che di prassi le imprese rivolgono alla stazione appaltante, effettua una conversione ad “U”, che definire, con tutto il rispetto, “temeraria”, rappresenterebbe un vero e proprio eufemismo.

La circostanza è stata data da una domanda di routine da parte di un potenziale partecipante, un quesito peraltro espresso con forte “timore reverenziale, vista l’oggettiva chiarezza del bando. La domanda era: «…può una azienda impegnata nei cosiddetti Lotti Grandi competere anche ai cosiddetti Lotti Medio Piccoli con una azienda da essa “partecipata”?».

Consip, che aveva autonomamente progettato e costruito le regole del disciplinare di gara non esitò un attimo a smontare letteralmente l’intelaiatura di gara, demolendo il pilastro che essa stessa aveva posto come fondamenta della nuova architettura. Con una inimmaginabile “piroetta”, Consip sconfessa letteralmente sé stessa e va oltre lo stesso quesito, incaricandosi essa stessa di “profanare” la sacralità del suo stesso disciplinare di gara. Limite che nemmeno lo stesso promotore del quesito, si era sentito di oltrepassare, dal momento che, per una qualche forma di pudore, non si era azzardato a chiedere una “concessione” per aziende che fossero “controllate”; bontà sua, si era limitato alle “partecipate”.

E Consip cosa risponde?

Va oltre e si incarica essa stessa di rimuovere nella sostanza l’espressione “in alternativa” che divideva il blocco dei Lotti 1 e 2 dal blocco dei Lotti 3, 4, 5, 6 e 7.  

Con un colpo secco la linea di demarcazione tra i Lotti salta.

Il resto è cronaca. Attraverso la breccia gentilmente aperta, le truppe cammellate delle Grandi Imprese conquistano anche questo nuovo campo e invadono lo spazio con una sicumera degna di mondi arcaici.

Ma non finisce qui.

Consip, nel dicembre del 2018 pubblica i risultati della Gara in oggetto, relativamente ai soli lotti 2 (Contratti Grandi) e 6 (Contratti Medio-Piccoli), infliggendo così un ulteriore forzatura, non banale, visto che arriva a rendere praticamente noti i prezzi, mentre, nell’ambito della medesima gara, è ancora in corso la valutazione tecnica degli altri Lotti (lo schema di offerta economica era uguale per tutti i Lotti). Trattandosi di un Accordo Quadro, le regole stabiliscono solo un primo livello di sconto, che porterà con l’attivazione degli appalti specifici alla seconda fase, nella quale più concretamente si giungerà alla vera e propria aggiudicazione dei lavori.

A valle di tutta questa rivisitazione cosa accade?

Accade ciò che in un Paese democratico si supponeva fosse impossibile.

Due grandi aziende, miracolate sulla strada di Damasco, utilizzando la concessione elargita dal “feudatario” di turno, raccolgono i frutti della loro invasione (la vittoria è ufficiale? non ancora! c’è un ricorso), scalzando in graduatoria nei Lotti “Medio-Piccoli”, altrettanti gruppi di imprese che, confidando che le regole del gioco si conservassero per lo meno nell’ambito di una stessa gara, avevano messo il massimo impegno tecnico ed economico nel giocare la loro partita in un solo dei due campi dichiarati ammissibili.

L’operato di Consip pone qualche quesito di non poco conto.

Ha ritoccato le regole? Ma la gara non era in corso? Ha alterato le dinamiche della concorrenza? Ha creato una oggettiva di disparità di trattamento?

A giudicare dai risultati, registriamo almeno tre elementi allarmanti:

  • Innanzitutto la media dei ribassi del lotto delle aziende ammesse a partecipare; si arriva al 32,34%, contro il 25,42% registrato nel precedente appalto di Accordo Quadro Applicativo;
  • Quindi, il numero delle aziende aggiudicatarie, che si contrae ulteriormente;
  • Infine, il fatto che un numero significativo di PMI viene ricacciato indietro nell’inferno dei sub-appalti; con tutte le peggiori conseguenze immaginabili: dalla compressione delle tariffe di un ulteriore 20-30% (modalità che distrugge il presente) all’impedimento per dette aziende di costruzione di referenze (modalità che distrugge il futuro).

A tali elementi si aggiungono dei dubbi di non poco conto, che trasformano le precedenti affermazioni in domande:

  • Qual è la logica secondo la quale si possono accettare tariffe medie sempre al limite dei minimi dei contratti di lavoro nazionali?
  • Perché esistono modalità che consentono nella pratica di pagare più giornate di quelle reali sovvertendo le regole e “forzando” a posteriori compensazioni a vantaggio degli aggiudicatari?
  • Qual è la legge economica che consente ad alcune imprese “speciali” di ottenere EBITDA molto elevati, pur praticando tariffe come quelle di aggiudicazione?
  • Quale metodologia organizzativa, tecnica di gestione manageriale e/o tecnologica di supporto può consentire, laddove l’unità di misura sia nella maggioranza dei casi la “giornata uomo”, di poter far costare una stessa risorsa il 40% in meno, a parità di stipendio, all’aumentare del numero di giornate vendute?
  • Qual è il vantaggio per le Amministrazioni nel ridurre il novero degli aggiudicatari? Non si crea, così facendo, un più elevato rischio di “trust”? Non è rischiosa e controproducente la riduzione della concorrenza (cosa peraltro già evidenziatasi per le gare di consulenza sanzionate nel 2017 dall’Antitrust?).

Ne scaturisce un quadro d’insieme, relativo al panorama della concorrenza e del mercato del tutto inaccettabile, oltre che controproducente per tutti, a partire dalle stesse stazioni appaltanti.

In molte gare infatti la leva prezzo è utilizzabile solo da chi ha la ragionevole certezza di poter accedere a metodologie di consuntivazione quali quelle su esposte, eliminando di fatto le aziende che a tali strumenti non possono (e non vogliono) accedere.

Non è nemmeno da trascurare il fatto che una tale facoltà discriminatoria da parte delle stazioni appaltanti potrebbe creare i presupposti per la nascita di fenomeni corruttivi che, da un lato, si cerca di combattere con regole e normative sempre più complesse e, dall’altro, si finisce con il favorire, seppur involontariamente, consentendo il protrarsi di prassi quali quelle prima esposte.

Per completare l’opera, vorremmo fare riferimento all’impianto delle gare strategiche di Digital Transformation bandite.

Ci riferiamo da un lato alla Gara a procedura aperta per l’affidamento di un Accordo Quadro per la fornitura di servizi Cloud, IaaS e PaaS in un modello di erogazione pubblico, nonché per la prestazione di servizi connessi, servizi professionali di supporto all’adozione del Cloud, servizi professionali tecnici per le Pubbliche Amministrazioni ; dall’altro all’Accordo Quadro ai sensi dell’art. 54, del d. lgs. n. 50/2016, per l’affidamento di servizi applicativi in ottica Cloud e l’affidamento di servizi di PMO per le Pubbliche Amministrazioni.

Nella fattispecie si afferma, da un lato di “voler fare delle suddivisioni in lotti esclusivi”, sia per allargare il novero dei possibili aggiudicatari sia per evitare delle pericolose anomalie che possano minare la concorrenza e la correttezza dello svolgimento dei progetti e per contrastare l’affermazione di situazioni di monopolio o quanto mento di trust tra un limitato numero di aziende.

Ma dall’altro sorge il dubbio che si lascino palesemente aperte scappatoie concrete (e consentite?) per aggirare le limitazioni, utilizzando aziende anche controllate al 100% e con una comune guida tecnica e commerciale. Il risultato è fin troppo chiaro: la suddivisione in Lotti rischia di diventare un elemento peggiorativo rispetto alle problematiche che si proponeva di affrontare, consentendo ad aziende tra loro collegate di poter formare RTI nei Lotti, nominalmente riservati a progetti minori; si assicura a talune aziende un formidabile strumento per “fare sinergie, accordi e compensazioni” (sic!), che, senza la suddivisione in lotti non ci sarebbe stato.

E il risultato è sotto gli occhi di tutti: si complicano le gare, se ne aumentano i costi, infine, è probabile che se ne allunghino anche i tempi di aggiudicazione.

Insomma, c’è qualcosa che non va. Non è una pagliuzza in un occhio, ma qualcosa di molto più rilevante, che riconosce molto potere alle lobby di settore, che rischia di danneggiare le dinamiche competitive, che non tutela la sovranità digitale del Paese.

Vedremo come andrà a finire.