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CloudFlare riconosciuto corresponsabile per i servizi di intermediazione resi in favore di gestori di siti “pirata”

di Alessandro La Rosa (Studio Previti) |

Il Tribunale delle Imprese di Roma ha ordinato a CloudFlare la cessazione immediata della fornitura di servizi a favore di siti “pirata”, obbligandola al pagamento in favore di RTI della somma di 1000 euro “per ogni giorno in cui dovesse manifestarsi la violazione dell’ordinanza”.

Con provvedimento collegiale del 24.6.2019 reso in sede di reclamo, il Tribunale delle Imprese di Roma ha integralmente confermato la decisione della prima fase cautelare, con cui il primo Giudicante aveva:

  • ordinato alla società Cloudflare di cessare immediatamente la fornitura dei servizi erogati a favore di determinati siti “pirata” (che consentivano l’accesso abusivo alle opere audiovisive denominate Grande Fratello, Grande Fratello Vip, L’isola dei Famosi e Le Iene)ed in particolare dei servizi di archiviazione dei dati e di ogni ulteriore servizio che consentisse il funzionamento dei predetti portali e di quelli che, pur avendo denominazione in parte diversa, siano riconducibili agli stessi soggetti gestori, nonché l’accesso agli stessi, per quanto contribuiscano alla violazione del diritto d’autore della ricorrente RTI;
  • ordinato alla società Cloudflare di comunicare immediatamente ad RTI i dati identificativi richiesti e nella sua disponibilità per l’identificazione degli hosting provider e dei gestori dei detti siti “pirata” e di quelli che, pur avendo denominazione in parte diversa, siano riconducibili agli stessi soggetti gestori;
  • condannato la società Cloudflare al pagamento in favore della RTI della somma di € 1.000,00 per ogni giorno in cui dovesse manifestarsi la violazione dell’ordinanza”.

CloudFlare, in sede di reclamo, aveva contestato integralmente il contenuto della prima decisione ma il Collegio ha respinto tutte le eccezioni preliminari sollevate dalla società americana.

In particolare:

  • è stato confermato che la competenza giurisdizionale appartiene al giudice italiano (“Si rileva preliminarmente che, essendo controversa l’illegittima lesione dei diritti tutelati dagli artt. 78-ter e 79 della legge n. 633/1941, la giurisdizione del giudice italiano sussiste in forza del criterio del forum commissi delicti stabilito dalla Convenzione di Bruxelles del 27/9/1968, che opera anche per i Paesi non firmatari della convenzione (e quindi anche per gli Stati Uniti d’America), in quanto criterio che è stato recepito dalla legge n. 218/1995 e, pertanto, destinato ad operare oltre la sfera dell’efficacia personale della Convenzione”);
  • è stato confermato che trova applicazione al caso di specie la direttiva 2000/31/CE (“il considerando 58 della direttiva comunitaria, sostanzialmente recepito all’art.1 lett d) del d.lgs. 70/2003, prevede che la direttiva non debba applicarsi ai servizi di prestatori stabiliti in un paese terzo. Inoltre la direttiva, all’art.2 (recepito nell’ art.2 del d.lgs. 70/2003) indica che deve intendersi per “prestatore stabilito”: “il prestatore che esercita effettivamente e a tempo indeterminato un’attività economica mediante un’installazione stabile. La presenza e l’uso dei mezzi tecnici e delle tecnologie necessarie per prestare un servizio non costituiscono di per sé uno stabilimento del prestatore);
  • è stata confermata anche la titolarità in capo ad RTI dei diritti esclusivi sui marchi registrati “Canale 5” e “Italia 1” e dei diritti esclusivi di utilizzazione economica sui contenuti audiovisivi dei programmi diffusi via internet dai siti “pirata”.

Sotto il profilo tecnico, il Collegio Giudicante ha confermato la correttezza di quanto già accertato dal primo giudice cautelare, e cioè che CF fornisce un “servizio di caching reverse proxy” tramite server che si pongono tra il server dove risiede il sito che si richiede di visitare ed il visitatore, svolgendo anche funzione di caching dei contenuti; ha confermato che il servizio CDN (content delivery network) di Cloudflare è lo strumento tramite il quale vengono memorizzati i contenuti attraverso tutta la rete globale, portandoli più vicino ai visitatori di ogni area geografica, con la conseguente velocizzazione di visualizzazione da parte del visitatore del portale “pirata”.

Ed è stato anche confermato che tra le attività svolte da CloudFlare ve ne sono alcune qualificabili come hosting provider: in particolare, Cloudfare offre servizi di archiviazione non temporanea di contenuti mediante il servizio denominato “Always online”, attraverso cui la società americana, copiando parte dei siti sui propri server, li rende accessibili anche in caso di problemi tecnici del server/provider dove sono ospitati e attraverso il servizio a pagamento denominato “Cludflare Stream” mediante il quale gestisce “l’archiviazione dei dati, la codifica multimediale, l’incorporamento e la riproduzione di contenuto, la distribuzione regionale e l’analisi”.

Su tali premesse il Tribunale delle Imprese di Roma ha ritenuto applicabile la disciplina sulla responsabilità dell’hosting provider “puro”, per come disciplinata dalla direttiva 2000/31/CE, facendo applicazione dei principi dettati dalla Corte di Cassazione (sentenza n. 7708/2019 del 19.3.2019, RTI c Yahoo!”) sul tema della conoscenza/conoscibilità dell’illecito da parte dell’intermediario della rete: “si ritiene che sia onere del prestatore predisporre un’organizzazione adeguata per affrontare eventuali segnalazioni di attività illecite senza poter pretendere particolari formalità se non quella di una informazione dettagliata del tipo di illecito rilevato, circostanza che, come detto, è avvenuta nel caso di specie”.

Peraltro, sempre secondo il Collegio (e come già accertato da alcune corti americane nell’ambito di procedimenti in cui è parte la stessa CloudFlare), il continuare deliberatamente la prestazione di servizi per portali tramite cui si realizzano attività illecite nonostante la conoscenza di dette attività (comunicata, per alcuni dei portali oggetto di giudizio, anche dalle delibere AGCOM allegate alla diffida trasmessa ante causam) potrebbe integrare quell’attività di collaborazione che impedisce di beneficiare delle deroghe in materia di responsabilità previste per tali attività (in conformità con quanto previsto dal considerando 44 della direttiva 2000/31/CE).