vaccino

A breve il vaccino (forse), ma molti Paesi cominciano a fare scorte creando disuguaglianze

di Elena Potitò |

In termini di ripartizione globale, la comunità internazionale sta quindi assistendo a delle forti disuguaglianze. Molti Paesi a reddito medio e basso non sono ancora riusciti ad assicurarsi una dose per ogni abitante, al contrario di quelli più ricchi hanno già acquistato un numero di dosi pari a cinque volte il totale della propria popolazione.

Dopo che ben 3 gruppi di ricerca – BioNTech e Pfizer, Moderna, AstraZeneca e la University of Oxford – hanno dichiarato di aver prodotto dei vaccini sicuri dal 70% al 95% dei casi, il problema principale è ora quello relativo alla loro distribuzione.

Facendo un passo indietro, gli studi attualmente in corso sono circa 300 in tutto il mondo, di cui 9 arrivati alla terza fase, ovvero quella che mira a verificare se il vaccino è effettivamente in grado di generare l’immunità del paziente. Già questo dato presenta una svolta storica nel campo medico, poiché fino ad ora il tempo medio richiesto per sviluppare un vaccino risaliva a ben 8-10 anni. Inoltre la tecnologia utilizzata da queste aziende ha permesso l’utilizzo di una tecnica innovativa basata sull’RNA messaggero.

Il vaccino BioNTech e Pfizer

La prima casa farmaceutica ad aver annunciato la scoperta del vaccino, BioNTech e Pfizer, ha condotto il proprio studio su 44.000 persone, di cui solo 94 sono state contagiate dopo essere tornate alla loro vita quotidiana.

Nel momento in cui questi gruppi di ricerca pubblicheranno i dati ufficiali e riceveranno l’approvazione della Food and Drugs Administration americana e della European Medicines Agency (in teoria prevista per fine dicembre per BioNTech e Pfizer), il vaccino potrebbe iniziare ad essere distribuito. Di conseguenza, quest’ultimo rappresenterebbe una soluzione solamente a partire dalla prossima ondata di contagi, non per quella attuale.

Dopo la dichiarazione congiunta di BioNTech e Pfizer le conseguenze sul mercato sono state immediate: il valore delle industrie più svantaggiate dalla pandemia, come quelle del turismo e delle compagnie aeree si è risollevato subito. Altra storia rispetto ad aziende come Zoom o altre piattaforme online, che stanno traendo beneficio dall’obbligo di distanziamento sociale. Da ciò si può comprendere come il mondo si sta già riorganizzando in base all’imminente introduzione sul mercato del vaccino per il Covid-19.

La gara alle scorte

Tuttavia, nonostante la comunità internazionale si dovrebbe mostrare più cooperativa che mai, i dati mostrano il contrario. Le singole nazioni stanno infatti tentando in ogni modo di prenotare il numero di dosi più alto possibile al fine di assicurare l’immunità della propria popolazione. In questo scenario la disparità tra le principali potenze economiche mondiali e il resto dei Paesi si è acuita esponenzialmente.

Secondo quanto riportato da Duke Global Health Innovation Center  6,8 miliardi di dosi sono già state acquistate, mentre 2,8 miliardi sono in fase di negoziazione o opzionate come possibili acquisti da parte di Paesi già dichiaratisi, ancor prima che un vaccino sia stato messo sul mercato.

In termini di ripartizione globale, la comunità internazionale sta quindi assistendo a delle forti disuguaglianze. Molti Paesi a reddito medio e basso non sono ancora riusciti ad assicurarsi una dose per ogni abitante, al contrario di quelli più ricchi hanno già acquistato un numero di dosi pari a cinque volte il totale della propria popolazione (è il caso del Canada). Le altre nazioni che si potranno permettere di distribuire il vaccino per oltre il 100% della popolazione domestica sono il Giappone, gli Stati Uniti, l’Australia, il Cile e i membri dell’Unione Europea. D’altro canto, le aziende che hanno investito così tanto nella ricerca del virus hanno potuto assumere questo rischio proprio grazie agli acquisti già conclusi nei mesi precedenti.

I Paesi a basso reddito e il vaccino

Secondo le indicazioni della WHO, i Paesi a basso reddito che non avranno la possibilità di distribuire il vaccino a tutta la popolazione dovranno dare priorità a determinate categorie. In queste ultime rientrano coloro ritenuti indispensabili per il contenimento e la gestione della pandemia, quindi gli operatori sanitari e socio sanitari e i lavoratori dell’ambito della sicurezza e dell’agricoltura; con essi, le persone a più alto rischio di mortalità, ovvero i più anziani (a partire dai 65 anni) e coloro che presentano deficit preesistenti.

Inoltre, nella citata pubblicazione Duke Global Health Innovation Center  sono state riportate le principali problematiche relative alla distribuzione del vaccino in Paesi a basso reddito o che non si sono potuti permettere l’acquisto di un numero di dosi sufficiente a rendere immune la propria popolazione. Tra queste sfide è di particolare rilevanza la necessità di disporre di strutture capaci di mantenere le dosi ad una temperatura pari a -80C, un sistema di tracking delle vaccinazioni e la gestione della disinformazione e della sfiducia popolare, un tema considerato come rilevante, se collegato a quelle realtà nazionali dove sono o saranno in corso elezioni politiche.

In questo contesto, il programma Covid-19 Vaccines Global Access Facility o COVAX, co-diretto da Gavi, CEPI (Coalition for Epidemic Preparedness Innovations) e dalla World Health Organization gioca un ruolo fondamentale nel tentativo di garantire un accesso equo al vaccino in ogni Paese. Al momento questa società è riuscita a ricevere 2 miliardi di dollari di fondi con cui sono state ordinate 500 milioni di dosi da differenti aziende, ma ne serviranno altri 5 per poter acquistare dosi sufficienti al raggiungimento dello scopo di COVAX, ovvero quello di permettere a circa altri 92 Paesi di usufruire della soluzione alla pandemia di Covid-19.