Lite Trump-Twitter

Zuckerberg non censura Trump e fa la lezione a Twitter, che risponde: “Non siamo arbitri della verità”. Ma siete editori?

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Un'analisi sullo scontro Trump-Twitter con il giudizio, tra gli altri, di Fabio Bassan dell'Università Roma Tre.

Dello scontro Trump-Twitter l’elemento di analisi interessante è capire se il social network, che ha fatto il fack checking al presidente degli Stati Uniti, agisce come editore e non deve nascondersi più dietro una fittizia neutralità. Questa “immunità” è garantita a tutti i social network sia dalla norme Ue (la direttiva 2000/31 sul commercio elettronico) sia dalla legge americana, la cosiddetta Section 230 del Communications Decency Act, legge del 1996, secondo le quali le aziende che distribuiscono i contenuti degli utenti non sono editori, a differenza dei siti di notizie, per cui non sono responsabili dei contenuti veicolati attraverso le proprie piattaforme. 

Fabio Bassan (Università Roma Tre): “Ad oggi i social network non sono riconosciuti editori

“Ad oggi i social network non sono riconosciuti editori, né nell’Unione europea né negli Stati Uniti, per cui non sono tenuti a rispondere ad obblighi sui contenuti veicolati: possono decidere liberamente le policy di comportamento della piattaforma, le regole da far rispettare agli utenti e l’utilizzo del fact checking. Chi si iscrive ai social deve attenersi alle condizioni definite dalla società proprietaria della piattaforma”, ci spiega Fabio Bassan, professore all’Università Roma Tre. 

La scelta di Twitter del fact checking


Così Twitter l’11 maggio ha annunciato l’utilizzo del tool di valutazione per: notizie “fuorvianti” (da rimuovere), “controverse” (da segnalare ai lettori) e “non verificate” (nessuna azione). E martedì 26 maggio per la prima volta ha aggiunto la funzione facts check a due tweet di Trump, che ha aveva twittato:

 “Il voto per corrispondenza non è altro che un’operazione sostanzialmente fraudolenta”. 
E poi il secondo tweet: “Il governatore della California sta per inviare delle schede di voto a milioni di persone. A tutti coloro che vivono nello Stato. Poco importa come ci siano arrivati. Dopodiché dei professionisti della politica andranno a spiegare loro come devono votare”.

Dopo qualche ora, Twitter ha classificato i due tweet nella categoria “notizie controverse” e in calce ha aggiunto una riga blu preceduta da un punto esclamativo: “Ecco i fatti sul voto per corrispondenza”. Il link rimanda ad articoli della Cnn e Washington Post in cui si nota come le affermazioni di Trump “siano infondate”.

Twitter_Trump

Il social ha circa 330 milioni di utenti: 80 di questi, circa un quarto del totale, sono follower di Trump.

Al fact checking di Twitter immediata è stata la reazione del presidente degli Stati Uniti, che sempre sul social ha scritto: “interferisce nelle presidenziali del 2020”, aggiungendo, “sopprime la libertà di espressione ed io come presidente non consentirò che accada”.

Zuckerberg critica Twitter e sostiene Trump

A sostenere la linea del presidente degli Usa è il rivale di Twitter, Facebook, o meglio il suo fondatore e ceo. Mark Zuckerberg ha criticato Twitter dicendo che non “dovrebbe essere arbitro della verità”. 

“Abbiamo una politica diversa, credo, rispetto a Twitter su questo”, ha detto Zuckerberg a Fox News.

“Credo fermamente che Facebook non dovrebbe essere l’arbitro della verità di tutto ciò che gli utenti postano online. In generale, probabilmente le società private non dovrebbero essere, in particolare queste piattaforme, non dovrebbero essere in grado di farlo”, ha detto Zuckerberg.

Pronta è stata la risposta del ceo di Twitter.

La risposta di Jack Dorsey a Zuckerberg e a Trump

Twitter, ha scritto il ceo Jack Dorsey “continuerà a segnalare informazioni errate o contestate sulle elezioni a livello globale, e ammetterà tutti gli errori che commettenon perché è un arbitro della verità, ma perché la sua missione è collegare i punti delle dichiarazioni contrastanti e mostrare le informazioni controverse in modo che le persone possano giudicare da sole”. 

“Se c’è qualcuno responsabile delle nostre azioni in quanto azienda quello sono io”, ha sottolineato il ceo, chiedendo quindi “di lasciare i nostri dipendenti fuori da questo”. Quindi Dorsey ha aggiunto: “Continueremo a segnalare informazioni errate o controverse sulle elezioni in tutto il mondo. E ammetteremo e ci assumeremo la responsabilità di tutti gli errori che commetteremo”.

Twitter è un editore?

Osserva Claudio Giua su HuffPost: “…mediaticamente la novità è un’altra: da ieri Twitter è a tutti gli effetti un editore. Non una piattaforma editoriale dove chiunque scrive quel che gli pare bensì un medium dove tutti sono sottoposti alle stesse regole, come avviene in un giornale, in un talk show televisivo, in un programma di informazione radiofonico, in un sito di news e commenti. Testate che hanno editori che rispondono di quanto scritto, mostrato o detto. Che prevedono la presenza di un responsabile che controlla e richiama o addirittura esclude chi non sottostà alle norme di comportamento stabilite dal padrone di casa”.

Su Il Giornale di Francesco Maria Del Vigo scrive: “…Chi di tweet ferisce di tweet perisce. Quello che è successo a Donald Trump evidenzia un nodo fondamentale della politica contemporanea: si può affidare la comunicazione istituzionale di un presidente a una piattaforma privata?”

“Inevitabilmente dal profilo del presidente, nel corso degli anni, sono uscite anche delle sciocchezze. Ma quanto siano giuste, attendibili o politicamente corrette le dichiarazioni di un Presidente lo devono decidere gli elettori. Non una task force di presunti esperti di fake news e neppure un algoritmo che avverte il lettore, come se fosse un cretino, di verificare i fatti. Delegare a un software il potere di decidere chi ha o non ha la facoltà di esprimere le proprie opinioni, di qualunque tipo esse siano, è una follia, un incubo da romanzo distopico. È il primo passo verso la dittatura del pensiero unico digitale”, ha osservato Del Vigo.

Allora Twitter è diventato ufficialmente un editore? Ma, senza una base giuridica che lo attesti, ad oggi non ha responsabilità sui contenuti veicolati. 

Cosa può fare Trump concretamente contro Twitter

Trump ha minacciato di chiudere i social network, ma non può farlo perché in contrasto con il Primo Emendamento della Costituzione Usa. 

I giuristi hanno subito notato che il presidente degli Stati Uniti non ha alcuna possibilità di oscurare i social e neanche di cambiarne la disciplina. Sono poteri che spettano al Congresso o alla Federal Communications Commission.

La questione è vitale: le piattaforme non possono più nascondersi dietro una fittizia neutralità. Se è vero che i social veicolano notizie, vere e false, che influenzano milioni di persone, devono essere considerati testate giornalistiche ed essere quindi tenuti alle stesse responsabilità?

Fabio Bassan (Università Roma Tre): Negli Usa il potere di cambiare le regole per i social network è nelle mani della FCC”

“Si sta andando nella direzione di una maggiore responsabilizzazione dei social network; la giurisprudenza sta fornendo le prime indicazioni e il recepimento della direttiva copyright sarà importante nei paesi dell’Unione europea per definire contenuti e perimetro di eventuali vincoli. Negli Stati Uniti il potere di cambiare le regole per i social network è nelle mani della Federal Communications Commission, ma eventuali azioni di forza si scontrano con i diritti costituzionali: ad esempio, il Primo Emendamento, che tutela la libertà di espressione”.

“Il fact checking”, ha concluso Bassan, “è un’attività doverosa e in certa misura necessaria soprattutto in prossimità di eventi politici importanti, quali le elezioni, come dimostrato da studi scientifici sulle fake news in rete in occasione dell’elezione di Trump nel 2016; la stessa AGCom, in Italia, ha dimostrato che a ridosso delle elezioni può risultare fake fino al 90% delle notizie sui temi politici. In ogni caso, in assenza di vincoli normativi, la verifica dei tweet, che non è censura del post, costituisce una leva competitiva sul mercato per Twitter, perché ad esempio lo distingue da Facebook, che non avendo la diffusione di notizie come missione principale ha adottato una politica di fact checking decisamente light”.