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X viola il DSA, ma Musk deve pagare solo una piccola multa di 120 milioni

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Le violazioni includono la grafica ingannevole del suo "segno di spunta blu", la mancanza di trasparenza del suo archivio pubblicitario e il mancato accesso ai dati pubblici per i ricercatori. Botta e risposta sulla censura tra i vicepresidenti Usa e Ue Vance-Virkkunen.

L’Ue impone la prima multa DSA: X sanzionata per 120 milioni di euro

Abbiamo imposto una multa a X per aver violato i suoi obblighi di trasparenza previsti dalla DSA. Le violazioni riguardano il design ingannevole del suo segno blu, la mancanza di trasparenza nel suo archivio pubblicitario e la mancata fornitura di accesso ai dati pubblici per i ricercatori”.

Ad annunciare la decisione è stata la vice presidente esecutiva e commissaria europea per la Sovranità tecnologica, la sicurezza e la democrazia, Henna Virkkunen.
La sanzione è pari a 120 milioni di euro.

Una cifra piuttosto esigua, partendo dal presupposto che X vale oggi 113 miliardi di dollari e considerando che il suo proprietario, Elon Musk, è l’uomo più ricco del mondo.
Se non infliggi una sanzione seria a questi giganti, a chi altri potresti?
O forse Bruxelles teme davvero la reazione di Washington?

Andiamo per ordine. Vediamo come è maturata la multa inflitta oggi a X dalla Commissione europea.
La sanzione è stata comminata a causa di diverse e significative violazioni degli obblighi di trasparenza e di lotta alle pratiche ingannevoli previsti dalla nuova legislazione europea.

La decisione rappresenta un forte segnale da parte dell’UnioneE nei confronti delle piattaforme online di grandi dimensioni (VLOPs – Very Large Online Platforms), sottolineando la determinazione a imporre un ambiente digitale più sicuro e trasparente per gli utenti europei.

Entro 60 giorni lavorativi, X deve informare la Commissione sulle misure specifiche per porre fine all’infrazione relativa alla spunta blu (Articolo 25, paragrafo 1). Entro i prossimi 90 giorni, invece, X deve presentare un piano d’azione dettagliato per affrontare le violazioni relative all’archivio pubblicitario e all’accesso ai dati per i ricercatori (Articoli 39 e 40).

I motivi della sanzione a X

La multa è il risultato di un’indagine formale avviata lo scorso dicembre e si concentra su tre aree principali in cui X è stata ritenuta non conforme agli obblighi del DSA.
Più o meno un anno fa, infatti, il 18 dicembre, la Commissione aveva aperto un procedimento formale per valutare se X avesse violato il DSA in diverse aree, tra cui gestione dei contenuti illegali, disinformazione, design ingannevole e accesso ai dati.

“Ingannare gli utenti con spunte blu, oscurare informazioni sugli annunci pubblicitari ed escludere i ricercatori non è consentito online nell’UE. Il DSA protegge gli utenti, offre ai ricercatori un modo per scoprire potenziali minacce. Il DSA ripristina la fiducia nell’ambiente online. Con la prima decisione di non conformità del DSA, riteniamo X responsabile di aver minato i diritti degli utenti e di aver eluso le proprie responsabilità”, ha affermato Virkkunen in una nota stampa.

1. Design ingannevole della ‘spunta blu’ di X (violazione articolo 25, paragrafo 1, DSA)

La prima area riguarda:

  • l’infrazione: X permette a chiunque di pagare per ottenere il “segno di spunta blu” di “account verificato” senza eseguire una significativa verifica dell’identità reale dietro l’account.
  • la violazione: questo sistema è stato giudicato una pratica di progettazione ingannevole (“dark pattern”) perché induce gli utenti a credere, erroneamente, che l’account e il contenuto siano autentici o affidabili.
  • il danno: l’inganno espone gli utenti a gravi rischi come scam, frodi di impersonificazione e manipolazione da parte di attori malintenzionati. Il DSA vieta chiaramente alle piattaforme di dichiarare falsamente che una verifica è avvenuta quando non è così.

2. Mancanza di trasparenza sull’archivio pubblicitario di X (violazione articolo 39, DSA)

La seconda area è relativa ai seguenti punti critici:

  • l’infrazione: l’archivio pubblicitario (Ad Repository) di X non rispetta i requisiti di accessibilità e trasparenza previsti dal DSA.
  • le barriere: la piattaforma presenta caratteristiche di design e barriere tecniche (come ritardi eccessivi nell’elaborazione) che ne compromettono l’efficacia.
  • l’informazione mancante: l’archivio non include informazioni essenziali come il contenuto e l’argomento esatto della pubblicità e la persona giuridica che la paga.
  • il danno: questa mancanza ostacola gravemente la capacità di ricercatori e società civile di esaminare la pubblicità online per individuare truffe, campagne di minacce ibride e operazioni di informazione coordinate.

3. Mancato accesso ai dati pubblici per i ricercatori (violazione articolo 40, paragrafo 12, DSA)

L’ultima area in cui si sono rintracciate violazioni al DSA vede:

  • l’infrazione: X non adempie all’obbligo di fornire ai ricercatori qualificati un accesso adeguato ai dati pubblici della piattaforma.
  • gli ostacoli: i termini di servizio di X vietano ai ricercatori idonei l’accesso indipendente ai dati pubblici, compreso l’uso dello scraping. Inoltre, le procedure di accesso impongono barriere inutili che di fatto minano la ricerca.
  • il danno: questo impedisce la ricerca indipendente sui rischi sistemici della piattaforma nell’Unione Europea, un controllo pubblico essenziale garantito dal DSA.

L’Ue ha paura di Washington?

L’indagine su altre sospette violazioni del DSA da parte di X, relative alla diffusione di contenuti illegali e all’efficacia delle misure contro la manipolazione delle informazioni, è ancora in corso.
Il punto, però, è anche un altro. Un importo così basso è davvero un danno per la piattaforma di Musk?
Imporre una multa del genere, appena 120 milioni di euro, ha davvero un effetto di qualche tipo nei confronti delle grandi società tecnologiche americane?

Al momento, l’unico effetto che le sanzioni europee alle aziende tecnologiche americane riescono ad ottenere è sostanzialmente politico.
Ogni volta che l’Ue multa una Big Tech si alza il polverone politico tra le due sponde dell’Atlantico.

Scontro Vance-Virkkunen

Prima ancora che venisse annunciata la sanzione europea a X, il vicepresidente degli Stati Uniti, JD Vance, commentava le voci che giravano a Washington con toni duri, chiamando in causa la censura: “L’UE dovrebbe sostenere la libertà di parola, non attaccare le aziende americane per la spazzatura”.

Elon Musk ha poi condiviso il messaggio di Vance su X, ringraziandolo pubblicamente: “Apprezzo molto”.
Tra i due esiste un’amicizia e una simpatia di lunga data, tanto che in molti hanno avanzato l’ipotesi di un possibile riavvicinamento di Musk alla Casa Bianca non tanto per riappacificarsi con Trump, quanto per sostenere una possibile candidatura di Vance alle presidenziali del 2027.

Virkkunen, ha dichiarato a politico.eu: “Sono piuttosto calma in certe situazioni. Non mi sorprende nulla. Stiamo proteggendo le nostre leggi e allo stesso tempo renderemo l’Europa più veloce, semplice e facile per le imprese“. Alla domanda sul timore di possibili reazioni degli Stati Uniti alla multa ai sensi del DSA, la commissaria ha risposto secca: “No“.

Se si rispettano le nostre regole, non si viene multati, è semplice“, ha quindi sottolineato Virkkunen, che poi ha detto: “Questa decisione riguarda la trasparenza di X” e “non ha nulla a che fare con la censura“.

Ue divisa tra “pro e contro” le Big Tech

Il punto è che a Bruxelles e in seno alla Commissione europea, in molti vorrebbero un’azione più energica nei confronti delle Big Tech. Più in generale, questa divisione tra fazioni, pro o contro Trump e le Big Tech, è molto più ampia e riguarda le Istituzioni, gli Stati membri e la società civile.

Nei giorni scorsi il presidente francese Emmanuel Macron ha criticato il ritmo delle indagini dell’UE sulle aziende tecnologiche ai sensi del Digital Services Act (DSA), esortando la Commissione a compiere progressi sui casi aperti riguardanti aziende statunitensi.

Nelle ultime ore la Commissaria Ue alla Concorrenza, Teresa Ribera, si è ribellata alla linea politica della Presidente Ursula von der Leyen, molto accondiscendente rispetto alle politiche commerciali e non solo, spesso aggressive e irrispettose, di Donald Trump, e ha risposto pe le rime all’attacco del Segretario al Commercio Usa Howard Lutnick sui dazi: “E’ un attacco diretto contro il Digital Markets Act (DMA)“.

Il pacchetto Digital Omnibus, da poco approvato e che promette semplificazioni normative e facilitazioni legislative che nelle intenzioni di Bruxelles dovrebbero favorire crescita e concorrenza, è visto da tutti come un regalo alle Big Tech da parte della Commissione e un processo di indebolimento dei diritti e delle tutele dei cittadini europei.

Su questo si sono espressi negativamente quasi 130 organizzazioni politiche, di settore e della società civile europee, esprimendo serie preoccupazioni: dietro questa operazione di “pulizia tecnica” del digital acquis, il corpus legislativo europeo sul digitale, si intravede un cambio di paradigma che potrebbe ridisegnare — secondo molti al ribasso — alcuni tra i più importanti baluardi regolatori degli ultimi anni: GDPR, AI Act, Data Act, Direttiva e-Privacy e Direttiva NIS2.

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