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Web tax, Moavero la chiede per finanziare i migranti. Ma il fronte Ue resta diviso

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Il ministro degli esteri Enzo Moavero Milanesi lancia l’idea di vincolare l’istituenda web tax europea al finanziamento del capitolo migranti. Ma per ora nessuno raccoglie.

Nessun paese della Ue, almeno per ora, ha commentato la proposta del ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi, che intervistato dalla Stampa ha avanzato una proposta che potrebbe, in qualche modo, unire il litigioso consesso europeo in materia di immigrazione, creando un link inedito fra l’istituenda tassa europea sui proventi delle web company – Google e Facebook in primis, ma anche quelle della sharing economy come Airbnb, Uber e Amazon – che fatturano miliardi in Europa lasciando soltanto le briciole nei paesi dove generano i ricavi grazie ai regimi fiscali favorevoli di paesi come Irlanda e Lussemburgo dove hanno sede legale – e il capitolo scottante dell’immigrazione. “Tassiamo i giganti della rete per finanziare le nazioni africane. Chi rifiuta i centri per i rifugiati tradisce lo spirito del vertice Ue. La volontarietà vale per tutti, noi compresi”, ha detto il ministro Moavero Milanesi, in un’intervista alla Stampa, che indica dunque la “istituenda Web Tax europea” come fonte dei fondi per aiutare i Paesi africani a frenare l’emigrazione dei loro cittadini.

La proposta di Moavero getta un sasso digitale nello stagno dei rimbalzi di responsabilità fra stati membri in tema di immigrati, e indica a Bruxelles una strada inedita per trovare fondi freschi, con cui finanziare e gestire i flussi migratori, il problema dei problemi nelle diverse cancellerie del Vecchio Continente sempre più sovraniste.

Un problema che sta mettendo a dura prova la tenuta della coalizione di governo di Angela Merkel.

Web tax vale 5 miliardi all’anno nella Ue

La proposta di web tax della Commissione Ue prevede che le web company con un fatturato rilevante generato in Europa paghino una percentuale del 3% sul loro giro d’affari (turnover). Secondo le stime, con un’aliquota del 3%, l’imposta potrà generare entrate per gli Stati membri di circa 5 miliardi di euro all’anno.

Se la proposta sarà votata da tutti gli stati della Ue, il che è tutt’altro che sicuro, la nuova tassa sarà applicata alle grandi imprese con un fatturato globale superiore a 750 milioni di euro e ricavi annui “imponibili” generati nella Ue superiori a 50 milioni di euro.

La proposta è di imporre la web tax nel paese dove sono basati gli utenti digitali. L’ammanco calcolato nella Ue, tenendo conto di Google e Facebook, è di 5,4 miliardi di euro annui.

 

Cooperazione rafforzata

Per passare e diventare legge in tutti gli stati della Ue, la proposta della Commissione Ue, avanzata il 21 marzo scorso, ha bisogno del voto unanime del Parlamento Ue e di tutti i 28 stati dell’Unione, che sono tutt’altro che d’accordo, anzi sono divisi. In materia fiscale le riforme devono essere approvate con voto unanime in Europa.

Ma già al Digital Summit che si tenne a settembre del 2017 in Estonia il premier Paolo Gentiloni disse che bisogna ‘Decidere subito sulla tassazione dei giganti del web. Se la proposta della Commissione Ue non trova l’ok dei 28 Paesi, si può procedere comunque con la web tax attraverso la ‘cooperazione rafforzata’ di un gruppo di almeno 9 Stati dell’Unione europea”.

 

Europa spaccata

La tassa in questione rappresenta una misura a breve termine prima che la Ue trovi il modo di tassare gli utili delle grandi web company americane in un quadro internazionale, in ambito Ocse (ma il dossier va per le lunghe), per fare in modo che gli utili siano tassati nei paesi dove le imprese hanno un’interazione più importante con gli utenti e non nei paesi con regimi fiscali più morbidi. L’obiettivo è tassare le imprese digitali anche nei paesi dove non hanno stabile organizzazione, vale a dire presenza fisica. La proposta in discussione prevede tre requisiti per essere applicata: che l’azienda superi i 7 milioni di euro di ricavi annui in un singolo paese; se l’azienda ha più di 100mila utenti in un singolo paese;  se conta più di 3mila contratti commerciali con utenti business in un singolo esercizio fiscale.

Ma nonostante il pressing di diversi paesi, fra cui appunto Germania, Francia e Italia, che da tempo spingono per l’adozione della web tax europea, l’istituzione della nuova tassa sui giganti del web potrebbe arrivare soltanto con voto unanime dei 28 stati membri. Che finora, come succede quasi sempre (basti pensare all’ultimo summit sui migranti o seguire il dibattito in corso sulla riforma Ue del copyright), sono divisi.

Contro la web tax

L’Irlanda, ad esempio, che ha messo in guardia dal fatto che la nuova proposta rischia di suddividere, e quindi diminuire, la fetta della torta fiscale delle web company, piuttosto che aumentare a tassazione. Contrari anche Lussemburgo, Olanda e Malta tutti paesi con regimi fiscali più favorevoli per gli Ott.

Altri paesi temono inoltre che nella tagliola della nuova norma possano finire anche le società più piccole e le startup.

Ad ogni modo, la proposta riguarda anche le società di advertising online, il che amplia la platea anche a Google e Facebook, e alle piattaforme digitali che offrono servizi di intermediazione.

Non più tardi di un mese fa, anche i ministri delle Finanze di Svezia, Danimarca e Finlandia si sono schierati contro la web tax Ue, affermando che i negoziati per l’introduzione del nuovo regime fiscale vanno fatti a livello internazionale di Ocse, pena il rischio di ricevere ritorsioni fiscali per le web company Ue (come ad esempio la svedese Spotify).

L’industria americana del tech ha protestato vivamente, sostenendo che è sbagliato tassare i ricavi (e non i profitti) e che sarebbero penalizzate soprattutto le grandi aziende, come Amazon, che hanno margini più bassi.