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Vivendi, investitori disorientati: ha senso il ritorno nelle tlc?

Il tonfo registrato ieri in Borsa da Vivendi (che ha chiuso a -5,8%) potrebbe essere il segno che gli investitori sono forse un po’ confusi sull’identità che il conglomerato media intende assumere e sulla trasparenza delle sue operazioni, a maggior ragione alla luce dell’operazione di riacquisto di titoli propri (345.472 a un prezzo medio di 19,83 euro) nell’ambito di un buyback da 10 milioni di titoli che dovrà essere completato entro il prossimo 30 novembre 2015.

In conference call, ben 4 analisti avevano chiesto lumi sul piano di riacquisto, ma il management non lo ha proprio menzionato.

“Perché – si chiede un osservatore – Vivendi ha messo in azione il piano senza neanche accennarlo alla comunità finanziaria, nonostante ripetute domande in merito durante la conference call? Questo cosa ci dice della trasparenza di Vivendi nei confronti degli investitori di minoranza?”.

Il ritorno nei giochi e nelle tlc

Dopo aver ceduto asset per circa 35 miliardi di euro per liberarsi del fardello delle telecom e ricentrare il suo business su contenuti e Pay-Tv, con la vendita di SFR in Francia, di GVT in Brasile e di Maroc Telecom, e con la cessione delle quote nella società di videogiochi Activision Blizzard, ecco che la società di Vincent Bollorè rientra in gran fanfara in entrambi i settori.

Nel settore tlc, acquisendo il 20% di Telecom Italia e dicendosi intenzionato a restare azionista nel lungo periodo. Sembrerebbe prossimo l’ingresso di 2 o 3 rappresentati del gruppo nel cda della società italiana.

Per portarsi sostanzialmente al controllo di Telecom Italia (partendo dall’8% ‘ereditato’ da Telefonica nell’ambito della cessione di GVT) Vivendi ha sborsato circa 1,6 miliardi di euro e ora ha in cassa circa 8 miliardi.

Dal momento poi che la società sembrava orientata a centrare le sue attività sui contenuti, quindi su musica (possiede la maggiore casa discografica mondiale, Universal Music) e Pay-Tv (Canal+) e che questi business non navigano proprio in acque tranquillissime – entrambe hanno generato lo stesso Ebitda del 2009 – e richiedono pesanti investimenti nei prossimi due anni, oltre che un rigoroso controllo dei costi, perché entrare nel capitale delle società di giochi Ubisoft e Gameloft non escludendo di rilevarne in futuro il controllo, dopo essere uscita, nel 2014, da Activision Blizzard?

E ancora, si chiedono gli osservatori, se entrare in Ubisoft  – che gode di ottima salute – può avere un senso per rafforzare la posizione sul fiorente mercato dei videogiochi, perché entrare in Gameloft che invece sembra attraversare un periodo più complicato, vista la recente chiusura di vari studi, anche aperti recentemente come quello di Seattle, avvenuti nel 2015?

Qual è il progetto nascosto dietro questo rientro in settori da cui Vivendi sembrava volersi distaccare definitivamente?

Bollorè non è certo uno sprovveduto e avrà in mente un quadro ben preciso per il futuro del suo gruppo, ma a questo punto sarebbe anche meglio renderlo più trasparente anche agli occhi degli investitori.

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