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Vita da pecora nei presepi

La tradizione vuole che oggi si addobbi l’albero, la casa e si allestisca il presepe. Immaginiamo di planare su un classico del Natale: New York, Fifth Avenue e Metropolitan Museum; anche qui stanno per accendersi abete e presepe. Eppure, la “gloria in excelsis Grande Mela” non è per nulla autoctona: tutte le figurine che decorano l’albero del MET sono statue originali del ‘700 napoletano.

Quello che ci attira dei presepi è forse il loro essere una polaroid, che emerge ogni anno dal filtro di polvere e nostalgia. Il brulicare dei tipi capta ogni nostro temperamento, anche se si sconsiglia di riconoscersi nell’oste, qui figura malefica per eccellenza. Di importante, invece, c’è il copione e ogni personaggio vive in funzione del centro, o del paio, basti pensare ad esempio al bue e all’asinello.

La scenografia è dogma: guardiamo il presepe più famoso al mondo, quello della Certosa di San Martino di Napoli, con gli stessi occhi di chi l’ha donato e allestito duecento anni fa, il collezionista Cuciniello. Le uniche figure ad avere una certa libertà dal guinzaglio del canovaccio sembrano le pecore: non è raro vederle appollaiate sul cucuzzolo del tempio, o vagare in ordine sparso.

Da Manhattan a San Gregorio Armeno, si chiude un occhio su un certo aplomb pastorale. E chissà se cento giorni da pecora cancelleranno, prima o poi, quell’unico da leone: un animo temperato, in ogni caso, finisce sempre per lasciare il segno.

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