games

Videogiochi e figli, il grande dilemma. Anche mobile

di |

Fino a qualche anno fa, il videogame era percepito come un passatempo adatto solo a bambini e ragazzi, e al massimo gli si riservava una scrollata di spalle nei discorsi da adulti; oggi parliamo di un settore che solo nel 2020 ha fatturato la bellezza di 57 miliardi di dollari.

Rubrica settimanale SosTech, frutto della collaborazione tra Key4biz e SosTariffe. Per consultare gli articoli precedenti, clicca qui.

Videogiochi sì o no? Ah, saperlo. Croce (e delizia: raramente i figli sono tranquilli e fermi come quando hanno un controller o lo smartphone in mano) di ogni genitore, l’intrattenimento videoludico è oggi una questione complessa, considerando come sono cambiati i termini del problema e quanto in fretta l’hanno fatto. Fino a qualche anno fa, il videogame era percepito come un passatempo adatto solo a bambini e ragazzi, e al massimo gli si riservava una scrollata di spalle nei discorsi da adulti; oggi parliamo di un settore che solo nel 2020 ha fatturato la bellezza di 57 miliardi di dollari; più dell’intera industria cinematografica, per capirci. E con giochi che fanno guardare ai fantasmini di Pac-Man con aria incredula: possibile che si sia fatta così tanta strada nel giro di qualche decennio.

Sempre più labile il confine con il cinema

Il riferimento ai film e alle serie non è casuale, considerando che sono sempre di più i prodotti audiovisivi che si basano su qualche uscita più o meno celebre per PC o console. Ci sono gli esempi di The Witcher, Halo, Castlevania, per dire solo tre titoli, senza considerare operazioni “meta” come Mythic Quest su Apple Tv+. Certo, da una parte la speranza dei produttori è chiaramente quella di avere già un pubblico pronto e fedele, i fan del gioco; ma la cura sempre maggiore dedicata non solo a questioni prettamente grafiche o di giocabilità ma alla sceneggiatura, alla storia, al voice acting rende ben più facile il lavoro oggi rispetto a quando si cercava di tirare fuori blockbuster da Mortal Kombato Super Mario Bros, con risultati non propriamente atti a essere recensiti sui Cahiers du cinéma (ci sono le eccezioni: su Netflix l’anime Arcane, ispirato a un gioco apparentemente poco “raccontabile” come League of Legends, ha stupito un po’ tutti per la sua qualità). Prendiamo The Last of Us, uno dei titoli più amati di Sony e forse l’esclusiva per eccellenza per PlayStation, per molti una lettura ben più matura dell’abusato genere del survival post-apocalittico  rispetto a un The Walking Dead qualsiasi: prodotto da HBO (quindi farà compagnia, oltre a Game of Thrones, anche a mostri sacri in catalogo come Succession o The Wire), sarà scritto da Craig Mazin, lodatissimo per la sua Chernobyl, e avrà come protagonisti Pedro Pascal (sfidante Do Oscar Isaac per il titolo di “attore-di-Star-Wars-che-si-vede-ovunque”) fresco di The Mandalorian e Bella Ramsey, indimenticata Lyanna Mormont dello stesso Trono di Spade; la musica (come nei giochi) spetterà a Gustavo Santaolalla, il compositore preferito di Alejandro González Iñárritu, vincitore di due Oscar consecutivi per la miglior colonna sonora.

Ma è arte?

Insomma, se prima si rideva a chi parlava di “arte” per i videogame, ora è sempre più complicato escluderli da un consesso che forse è già troppo inclusivo, e che a maggior ragione non può sbattere la porta in faccia senza spiegazioni a prodotti che ormai richiedono anni di lavoro e centinaia di persone al lavoro. Ma c’è anche l’altro lato, ed è quello dei mobile games, ormai a disposizione di tutti grazie ai prezzi bassissimi di Internet Mobile (basta confrontare le varie offerte su SOSTariffe.it per rendersene conto) e capaci di catalizzare l’attenzione dei più giovani grazie ai vari Clash of Clans e Fortnite; i quali, però, possono diventare un pozzo senza fondo di spese, se ci si fa prendere la mano dagli acquisti in-app, dando origine a una versione della ludopatia senza fumosi bar di periferia ma con l’ultimo iPhone come protagonista.

Da qui i dubbi: quanto tempo concedere ai figli per i videogame? C’è chi concede mezz’ora, chi un’ora, chi è rigidissimo e vieta qualsiasi genere di intrattenimento videoludico fino a una certa età (presumibilmente quella in cui si dovrà scegliere tra la propria intransigenza e il rischio di far sentire la propria prole un po’ disadattata, in un modo dove i videogiochi, come si è visto, sono sempre più persuasivi). Ognuno ha la sua ricetta, ma sono sempre di più i genitori che non sanno come giustificare discorsi come “puoi vedere la serie ispirata, ma non giocare col gioco”, soprattutto perché nel momento in cui si ha un telefonino in mano scaricare un gioco infinitamente più complesso di Snake è davvero semplice.

I videogiochi? Fanno diventare più intelligenti

In questo dibattito tra fazioni opposte, si sente di tutto. Fox News ha appena incolpato proprio i videogiochi («da quando sono così realistici, gli incidenti di questo tipo sono aumentati») per il massacro del supermercato a Buffalo compiuto dal diciottenne suprematista bianco Peyton Gendron, che con un AR-15 ha sparato all’impazzata contro la folla uccidendo dieci persone (quasi tutte di colore) e ferendone altre tre.  E c’è anche chi dice che i videogiochi sono come la cocaina, come ha detto qualche settimana fa un senatore di Forza Italia, Andrea Cangini, affermando che «l’uso non può che degenerare in abuso».

Dall’altra parte, c’è chi dice addirittura che i videogiochi rendono più intelligenti: è il risultato di uno studio condotto su 9.855 bambini i 9 e 10 anni: in media, chi di loro trascorreva più tempo del normale davanti al PC o a una console giocando ha dimostrato due anni dopo un aumento di 2.5 punti di QI rispetto agli aumenti standard. In particolare, sono stati mostrati netti miglioramenti nella comprensione della lettura, negli esercizi basati sulla memoria, nell’autocontrollo, nel pensiero “flessibile” e nella gestione dei processi visuali-spaziali. Anche qui le perplessità non sono mancate, considerando quanto una ricerca di questo tipo (che fa parte dell’Adolescent Brain Cognitive Development Study) sia, per forza di cose, elitarista (non tutti i bambini del mondo possono dedicare, come per quelli dello studio, 2 ore e mezza a guardare la tv o i video online, mezz’ora a socializzare su Internet e un’ora a giocare ai videogiochi), senza contare le differenze che esistono tra un tipo di gioco e l’altro. D’altra parte, c’è chi fa notare che si cerca di far leggere più possibile bambini e ragazzi, ma in diversi tipi di videogame – soprattutto i più maturi – c’è la possibilità di avvicinare alla lettura anche chi si dedicherebbe ad altre cose assai più prontamente. Il dibattito continua.