Per viaggiare negli USA bisognerà “mettersi a nudo”, ecco tutti i dati personali richiesti in nome della sicurezza nazionale
È solo una proposta, quella avanzata dalla US Customs and Border Protection, la più importante tra le forze dell’ordine impiegate dagli Stati Uniti alla sicurezza delle frontiere, ma fa già discutere e molto. Come si legge nel documento ufficiale, pubblicato sul Federal Register del dipartimento della Sicurezza interna, ai viaggiatori provenienti un po’ da tutto il mondo si chiedono una montagna di documenti, tra cui “i propri profili social degli ultimi 5 anni”.
Oltre ai nostri account social e molti di noi ne hanno diversi attivi su varie piattaforme, l’Agenzia per la Protezione delle dogane e delle frontiere degli Stati Uniti, su suggerimento dell’Homeland Security, vuole per ogni turista in entrata sul suolo americano anche i seguenti dati personali: i numeri di telefono utilizzati negli ultimi cinque anni; gli indirizzi email utilizzati negli ultimi dieci anni; gli indirizzi IP e i metadati provenienti da foto inviate elettronicamente; i nomi dei membri della famiglia (genitori, coniuge, fratelli, figli); i numeri di telefono dei familiari utilizzati negli ultimi cinque anni; le date e i luoghi di nascita dei membri della famiglia, residenza compresa; i dati biometrici, che comprendono volto, impronte digitali, DNA e iride; i numeri di telefono aziendali utilizzati negli ultimi cinque anni e gli indirizzi email aziendali utilizzati negli ultimi dieci anni.
Oltre alla foto del passaporto, verrà richiesto anche “un selfie recente”.
La vera novità, in molti casi, è che prima era facoltativo fornire queste informazioni, ora si vuole renderlo obbligatorio. La proposta fa seguito all’ordine esecutivo firmato dal Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, a gennaio 2025, teso a proteggere gli americani, vigilando proprio sul processo di rilascio del visto “per garantire che gli stranieri ammessi negli Stati Uniti non intendano danneggiare gli americani o i nostri interessi nazionali“. E questo lo si fa identificando la minaccia proprio all’ingresso delle persone sul suolo americano, a quanto pare con ogni mezzo.
La sicurezza nazionale viene prima della sicurezza dei nostri dati personali?
Un mucchio di dati, come detto, ma soprattutto un’invasione eclatante di quella che chiamiamo privacy, senza contare informazioni sensibili relative alle aziende per cui lavoriamo.
I nostri dati personali vengono prima o dopo la sicurezza nazionale di un Paese che vogliamo solo visitare a Capodanno o Pasqua? Un vecchio quesito a cui non è mai stata data una risposta definitiva, a quanto pare, visto che ne stiamo ancora parlando a partire dall’11 settembre 2001 (ma si è sempre cercato un bilanciamento tra diritti fondamentali e sicurezza nazionale).
Vale la pena riproporre una riflessione che offriva l’avvocato cassazionista Nicola Fabiano: “Quale valore attribuiamo alla vita umana? Riteniamo che la vita sia un valore assoluto e inviolabile perché è la sua stessa natura che ci permette di affermarlo. Si tratta di un elemento ontologico, la vita è un valore. Allo stesso modo il dato si riferisce a informazioni personalissime di una persona fisica e va considerato un valore ontologicamente assoluto“.
C’è poi sempre una preoccupazione che in molti non vogliono sottovalutare: che fine faranno i nostri dati?
E poi, che succede se i nostri familiari o le aziende per cui lavoriamo non fossero d’accordo a fornire numeri di telefono privati/di lavoro? Il diritto alla privacy, soprattutto per i dati personali/familiari, come verrà considerato da un Paese che ha fatto della sicurezza nazionale un’ossessione?
Per dare l’illusione della massima sicurezza al popolo americano, noi saremo (forse) costretti, come turisti, a mettere a nudo informazioni estremamente personali, in qualche modo, e a ridurre di fatto la nostra di sicurezza.
Che fine fanno i dati personali dei turisti europei che entrano negli USA?
Alla frontiera USA i dati personali dei turisti europei vengono raccolti, conservati e condivisi all’interno dell’apparato di sicurezza statunitense con garanzie molto più deboli rispetto agli standard UE, soprattutto per chi non è cittadino o residente permanente. In sintesi: finiscono nei database di DHS/CBP per controlli di sicurezza, possono essere incrociati con altre banche dati e condivisi con altre agenzie, con tutele limitate e margini ridotti di opposizione o cancellazione per gli stranieri.
I dati confluiscono principalmente nei sistemi informativi del Department of Homeland Security (DHS) e del Customs and Border Protection (CBP), che li utilizzano per controlli automatizzati e manuali su watchlist, database di intelligence, precedenti di immigrazione e sicurezza, e condivisione con altre agenzie federali (es. FBI, altre componenti di DHS) e, in determinati casi, con partner esteri, nell’ambito di accordi di cooperazione.
La conservazione può durare anni: storicamente, i record ESTA e PNR (dati di prenotazione) vengono trattenuti a lungo per analisi retrospettive, prevenzione terrorismo e investigazioni, con possibilità di riutilizzo a fini diversi da quelli “strettamente” dichiarati al momento della raccolta.
Libertà civili calpestate?
Sophia Cope, avvocato senior presso la Electronic Frontier Foundation, un famoso gruppo per i diritti digitali, ha dichiarato in un comunicato che “la divulgazione obbligatoria dei dati provenienti dai social media dei turisti e la sorveglianza rappresentano un serio danno per le libertà civili”.
Un sistema estremamente invasivo, ha commentato Cope, che non si dimostra a priori efficace nello scovare terroristi e criminali di ogni sorta, ma che colpisce chiaramente ogni diritto di esprimere le proprie idee (tramite i social), che pone un serio pregiudizio negativo verso ogni idea politica e viola palesemente la privacy dei viaggiatori, che in questa proposta sono considerati quasi dei pregiudicati e con loro tutti i familiari.
Il cambiamento proposto dall’Agenzia USA, in caso di via libera dopo i 60 giorni di consultazione pubblica, interesserebbe i visitatori ad oggi idonei al programma di esenzione dal visto (Visa waiver program), che consente ai cittadini di 42 paesi (Italia compresa) di viaggiare negli Stati Uniti per un massimo di 90 giorni senza visto, purché ottengano prima un’autorizzazione elettronica di viaggio.
L’industria del turismo USA sul piede di guerra
Ovviamente, se proprio non vogliamo considerare di massima rilevanza la tutela dei nostri dati personali e decidiamo di sottostimare l’escalation delle attività di controllo sulle persone, di sicuro c’è da valutare e a fondo l’impatto che questa misura potrebbe avere sull’industria turistica americana.
Il turismo in entrata negli Stati Uniti, noto come “travel exports”, ha generato una spesa record di 127 miliardi di dollari, da parte dei visitatori internazionali nei primi sei mesi del 2025. Per l’intero 2024 è stata stimata una spesa complessiva di 254 miliardi di dollari, con proiezioni iniziali per l’anno in corso riviste al ribasso a 169 miliardi a causa di fattori geopolitici e variabili economiche negative.
In molti si sono subito preoccupati negli Stati Uniti, gli operatori turistici locali hanno ben capito che questa operazione potrebbe avere effetti seri sugli affari. Secondo quanto riportato dal New York Times, “l’aumento della raccolta di dati da parte del Governo americano potrebbe comportare tempi di attesa più lunghi per i viaggiatori per ottenere l’autorizzazione a visitare gli Stati Uniti, oltre a una maggiore probabilità di essere segnalati per un esame più attento”.
La US Travel Association prevede che il 2025 di chiuderà con un calo degli arrivi di stranieri del 6,3% rispetto al 2024. Il mese scorso, l’amministrazione Trump aveva già aumentato il prezzo d’ingresso dei parchi nazionali per i turisti stranieri, per dare “la priorità agli americani”.
La proposta, inoltre, arriva mentre gli Stati Uniti si preparano ad accogliere, insieme a Canada e Messico, la Coppa del mondo di calcio del 2026, che dovrebbe attirare centinaia di migliaia di tifosi da tutto il mondo. Un’occasione ghiotta per gli operatori turistici americani. Che effetti avranno queste misure estreme sui flussi turistici alimentati dagli appassionati di calcio?
Ronan Evain, direttore esecutivo di Football Supporters Europe, ha dichiarato: “I piani annunciati dal governo degli Stati Uniti sono profondamente inaccettabili. La libertà di espressione e il diritto alla privacy sono diritti umani universali“. Aggiungendo che “questa politica introduce un’atmosfera agghiacciante di sorveglianza che contraddice direttamente lo spirito accogliente e aperto che la Coppa del Mondo dovrebbe incarnare e deve essere ritirata immediatamente“.

