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Valditara: “Stop ai cellulari in classe, se non per la didattica”. Tamaro: “Perché dico no alla scuola 4.0”

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Non ci sono novità e stravolgimenti delle regole nelle scuole nella circolare firmata dal ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara, ma è l'occasione per fare un'analisi sull'uso dello smartphone e anche del metatarso per fini didattici con il "no" alla Scuola 4.0 da parte di Susanna Tamaro.

Lo diciamo subito, non ci sono novità e stravolgimenti delle regole nelle scuole nella circolare firmata dal ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara, perché si ribadisce “il divieto di utilizzare il cellulare durante le lezioni”, e le indicazioni sull’utilizzo dei telefoni cellulari e di analoghi dispositivi elettronici nelle classi sono già stabilite dallo Statuto delle studentesse e degli studenti del 1998 e dalla circolare ministeriale n. 30 del 2007.

Il ministro conferma l’uso dei cellulari e di altri dispositivi elettronici su autorizzazione del docente per la didattica

E smartphone, tablet e LIM (lavagna interattiva multimediale) sono già utilizzati per la didattica, infatti, il ministro non fa altro che confermare anche questo: “l’utilizzo dei cellulari e di altri dispositivi elettronici può essere ovviamente consentito, su autorizzazione del docente, e in conformità con i regolamenti di istituto, per finalità didattiche, inclusive e formative, anche nell’ambito degli obiettivi del Piano Nazionale Scuola Digitale (PNSD) e della ‘cittadinanza digitale’.

E lo smartphone per fini didattici come viene già usato in classe? 

“Per la condivisione di file e documenti, applicazioni, esercitazioni, calcolatrice, lavori online in comune e ricerche sul web, soprattutto dopo la DAD l’apertura ai cellulari per la didattica è maggiore”, ci racconta Cristina Costarelli, presidente Associazione Nazionale Presidi del Lazio. 

“Ovviamente, lo smartphone per la didattica comporta dei rischi, perché può sfociare in un cattivo utilizzo”, aggiunge Costarelli, che ci spiega anche perché il ministro non può con la circolare introdurre sanzioni “c’è lo Statuto di studenti e studentesse che affida tutta la parte sanzionatoria dei comportamenti all’autonomia scolastica, quindi ai Consigli di istituto”.

“Quindi”, continua, “si segue il regolamento di disciplina, quando in classe lo smartphone è utilizzato non per fini didattici dagli studenti, si va, nei casi più lievi, dalla nota disciplinare (quando si usa durante il compito in classe) fino alla sospensione se usato per fare foto poi postate su Internet”.

Oltre ai tablet usati per la didattica da tutti gli studenti, i cellulari sono utilizzati anche per documentare le esperienze didattiche”, ci racconta Salvatore Giuliano, preside dell’Istituto ‘Majorana’ di Brindisi, tra i fautori della didattica anche attraverso i device. “Non confondiamo la causa con l’effetto”, tiene a precisare, “sull’uso degli smartphone in classe. Se gli alunni si distraggono non è sempre colpa dei cellulari, ma di lezioni poco interattive e interessanti. E quest’ultimo aspetto che andrebbe migliorato”.

Uso perdurante dei cellulari da parte degli studenti, quali rischi?

Ritornando alla circolare, il ministro ha allegato la relazione finale dell’indagine conoscitiva realizzata nel 2021 nella scorsa legislatura dalla 7ª Commissione del Senato“Sull’impatto del digitale sugli studenti, con particolare riferimento ai processi di apprendimento” in cui si mettono in evidenza gli effetti negativi per la salute dei ragazzi che possono derivare dall’uso perdurante dei cellulari. La relazione termina così: “Giovani schiavi resi drogati e decerebrati dal digitale: gli studenti italiani. I nostri figli, i nostri nipoti. In una parola, il nostro futuro”.

“A preoccupare di più”, si legge nelle conclusioni della relazione, “è la progressiva perdita di facoltà mentali essenziali, le facoltà che per millenni hanno rappresentato quella che sommariamente chiamiamo intelligenza: la capacità di concentrazione, la memoria, lo spirito critico, l’adattabilità, la capacità dialettica… Sono gli effetti che l’uso, che nella maggior parte dei casi non può che degenerare in abuso, di smartphone e videogiochi produce sui più giovani. Niente di diverso dalla cocaina. Stesse, identiche, implicazioni chimiche, neurologiche, biologiche e psicologiche”.

È quanto sostengono, ciascuno dal proprio punto di vista “scientifico”, la maggior parte dei neurologi, degli psichiatri, degli psicologi, dei pedagogisti, dei grafologi, degli esponenti delle Forze dell’ordine auditi dalla Commissione del Senato. Un quadro oggettivamente allarmante, anche perché evidentemente destinato a peggiorare.

Puntare sulla media education

Oltre ai rischi per la salute dei nostri figli a scuola, la diffusione massiva di device tecnologici in classe non ha migliorato l’apprendimento degli studenti almeno in maniera sistemica. Lo dice la stessa relazione del Senato: “Non sono emerse evidenze scientifiche sull’efficacia del digitale applicato all’insegnamento. Anzi, tutte le ricerche scientifiche internazionali citate dimostrano, numeri alla mano, il contrario. Detta in sintesi: più la scuola e lo studio si digitalizzano, più calano sia le competenze degli studenti sia i loro redditi futuri”.

Per questo motivo occorre cambiare approccio. Più che la presenza delle tecnologie occorre una riflessione critica sulle tecnologie. Quindi puntare sulla media education: formare gli studenti ed insegnanti all’uso consapevole delle nuove tecnologie e dei social. È necessario riflettere insieme agli studenti su cosa c’è dietro ai social, quali sono i meccanismi, gli algoritmi e gli interessi che muovono Instagram e TikTok, cosa implica per la vita privata e poi professionale dei giovani pubblicare determinati contenuti durante la loro adolescenza.

Susanna Tamaro: “Perché dico no alla scuola 4.0”

Un secco “no”, motivato, alla scuola 4.0 immaginata dal precedente Governo con il Piano Scuola 4.0 inserito nel PNRR, in cui per 100mila aule di primo e secondo grado si prevedono anche lezioni nel metaverso, arriva da Susanna Tamaro. La scrittrice in questo articolo sul Corriere della Sera spiega il suo no.

Ecco un passaggio chiave, dal nostro punto di vista.

“Forse è venuto il momento di cominciare a dire: io non ci sto. La nostra lunga storia evolutiva – vale a dire ciò che ci lega alla realtà – è quella di una specie che trova il suo equilibrio nella socialità. E socialità vuol dire, prima di ogni altra cosa, fisicità, contatto, fare delle cose insieme, imparare delle abilità manuali sempre più complesse, mettersi alla prova ed essere orgogliosi di riuscire a superare ostacoli con le proprie forze. Il cervello umano si sviluppa, come quello di tutti i mammiferi, per fasi successive di apprendimento e, se la finestra non è aperta quando arriva lo stimolo giusto, quella finestra si chiude per sempre. Muovere le mani per fare qualcosa è molto diverso dal muovere i polpastrelli su uno schermo. Questa sorta di cecità cerebrale, nella quale con totale inconsapevolezza stiamo spingendo i cuccioli della nostra specie, a cosa serve se non a farne dei perfetti schiavi digitali del futuro?”

E ancora:

“Le possibilità che ci offre la tecnologia avanzata sono straordinarie e io ne ho una piena ammirazione, ma sono altrettanto consapevole che imporle fin dalla prima infanzia come via maestra dell’apprendimento sia deleterio. Molti genitori, infatti, incominciano ad accorgersene, e per questo si vedono nascere sempre più frequentemente – ce n’è una persino nel piccolo paese in cui vivo – delle «scuole parentali». Sono piccole realtà nate non dal ghiribizzo di qualche pedagogo d’avanguardia ma dal buonsenso di padri e madri consapevoli dei danni che questo sistema provoca all’intelligenza e all’umanità dei loro figli”.

Per approfondire:

Le conclusioni della relazione del Senato “Sull’impatto del digitale sugli studenti, con particolare riferimento ai processi di apprendimento”