Key4biz

Ufficiale la Netflix della cultura. Rai e Cinecittà fuori dal gioco?

Da ieri, è ufficiale l’avvio della “Netflix italiana della cultura”: dopo mesi di annunci, nella sera di ieri giovedì 3 dicembre, il principale “player” della partita, Cassa Depositi e Prestiti (Cdp), ha diramato un comunicato stampa che, finalmente, chiarisce qualcosa della oscura intrapresa. Il titolo del comunicato stampa è esplicito: “al via il progetto per la piattaforma digitale della cultura: teatro, musica, arte live e on-demand”.

Si legge che l’iniziativa è promossa dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo (Mibact) insieme a Cdpper il supporto al patrimonio artistico-culturale italiano”.

Cassa Depositi e Prestiti comunica il “via libera” (testuale) alla costituzione di una nuova società partecipata al 51 % da Cdp. Il “partner industriale”, Chili Tv (49 %), sarebbe stato “selezionato attraverso una procedura competitiva aperta a tutto il mercato”.

La nuova piattaforma sarà operativa nei primi mesi del 2021 e – prevede Cdp – “porterà benefici economici diretti alle attività culturali”.

Lo “scoop” della imminente costituzione della nuova società è stato dato – come abbiamo segnalato nel nostro dossier di approfondimento di martedì scorso (vedi “Key4biz” del 1° dicembre, “La Netflix italiana della cultura. Realtà o fiction?”) – dal collega Rosario Dimito, sulle colonne del quotidiano “il Messaggero” nell’edizione di venerdì scorso 27 novembre.

Per una settimana, però, curiosamente, nessuna conferma e nessuna smentita da parte di nessuno dei tre partner dell’intrapresa: Mibact, Cdp, Chili Tv.

Al punto tale che alcuni parlamentari hanno presentato interrogazioni, dapprima un gruppo di deputati della Lega, prima firmataria Cristina Patelli (lunedì scorso) e poi anche, ieri, del Movimento 5 Stelle, in primis la senatrice Bianca Laura Granato ed altri esponenti delle Commissioni Cultura di Camera e Senato… Da ricordare anche che la Responsabile Cultura della Lega, l’ex Sottosegretaria al Mibact Lucia Borgonzoni, ad inizio ottobre aveva dichiarato: “Netflix della cultura: idea che mi terrorizza, ci vogliono togliere le emozioniFino a quando eravamo chiusi in casa per il lockdown, poteva andare bene, ma adesso che senso ha? L’idea è quella di creare due livelli di cultura, uno per i ricchi, che possono permettersi di andare a teatro, ed un secondo per tutti gli altri, che, non avendo le stesse possibilità economiche, invece, accenderanno la tv in casa e vedranno quello che loro vogliono che guardino, il pensiero unico. Ci vogliono togliere le emozioni. La cultura sono le nostre radici, se qualcuno le cambia, ci cambia il futuro…”.

I parlamentari grillini ieri domandavano, se questa iniziativa del Ministro Dario Franceschini guarda anche all’estero, perché “il servizio di promozione della cultura italiana nel mondo non poteva essere affidato a Raiplay”?! E qui si aprirebbe un altro (penoso) capitolo, quello del misterioso canale internazionale in inglese che Viale Mazzini dovrebbe lanciare secondo gli obblighi del vigente “contratto di servizio”, e che invece è ancora a livello di cantiere immaginario (qualche settimana fa, causa deficit di bilancio Rai, ne è stata ipotizzata finanche la chiusura)…

Da Rai, partner non coinvolto, nessuna reazione ufficiale, silenzio assoluto, se non una dichiarazione del Consigliere eletto dai dipendenti, Riccardo Laganà: “sarebbe assurdo rimanere indietro rispetto a questa operazione, posta l’utilità della stessa” (così mercoledì 2 dicembre a “Fanpage”). Laganà richiede che “questa idea venga ricondotta nel prossimo Cda del 14 dicembre, considerando il valore di RaiPlay come piattaforma nella quale si potrebbero destinare i contenuti veicolati dal Ministero”.

Il Segretario nazionale dell’Usigrai Vittorio Di Trapani è intervenuto sulla questione (via Twitter): “il governo sembra intenzionato a creare la piattaforma della #cultura con una alleanza tra Cdp (Cassa depositi e prestiti) e una piattaforma privata (scelta poi come?). Perché non con RaiPlay?”.

Michele Anzaldi, membro della Commissione di Vigilanza Rai (“in quota” Italia Viva), manifesta la sua contrarietà alla “newco”, ma ripropone l’idea già espressa in passato di un “bando aperto anche ai privati” per un progetto di questo tipo: “solo così la Rai potrebbe essere stimolata a partecipare e si eviterebbero gli sprechi che caratterizzano l’azienda”. Anzaldi cita i casi del canale istituzionale Rai e quello di lingua inglese, denunciando il pericolo che un progetto del genere, affidato a prescindere al servizio pubblico, finirebbe per non vedere mai la luce. Oggi il parlamentare di Iv, segnala che “determinati servizi oggi appaltati alla Rai e determinate quote di canone andrebbero messi a bando per altri operatori, come il caso Chili con il ministero dei Beni culturali costretto a rivolgersi a Cdp e ai privati, invece che alla Rai, per la nuova piattaforma cosiddetta ‘Netflix della cultura’“. Prospettiva veramente inquietante, quella della “privatizzazione”,  in verità, per chi crede ancora nel “servizio pubblico” della Rai.

Luci e ombre del comunicato ufficiale di Cassa Depositi e Prestiti

Il comunicato stampa Cdp (colosso presieduto da Giovanni Gorno Tempini, con Fabrizio Palermo, Amministratore Delegato) merita essere analizzato con attenzione, perché certamente chiarisce qualcosa della finora misteriosa iniziativa.

Da segnalare che il comunicato stampa di Cdp, prima di citare il partner prescelto (cioè Chili Tv), precisa che “per la realizzazione e la gestione della piattaforma il Mibact e Cdp hanno avviato un’interlocuzione con la Rai ed i principali operatori presenti nel mercato italiano, all’esito della quale è stata indetta una procedura competitiva aperta per l’individuazione del partner industriale”.

Questa iniziativa è però stata gestita – a quanto è dato sapere – senza alcun avviso pubblico, e senza che vi fosse una procedura trasparente, aperta alla discussione della società civile: eppure Cassa Depositi e Prestiti non è esattamente una impresa privata, essendo emanazione diretta dello Stato.

Si sarebbe trattato di un “beauty contest”, ovvero di una procedura competitiva, ma messa in atto senza gara pubblica: perché?! E chi sono stati i partecipanti?! L’elenco non è stato reso noto (pare siano stati una decina), ed anche in questo caso non si comprende perché.

Precisa Cdp: “è stata così selezionata Chili Spa – società attiva dal 2012 nel settore dei servizi di tv on demand e che conta oltre 4 milioni di utenti iscritti – per la sua esperienza internazionale nel settore, l’innovativa infrastruttura tecnologica utilizzata e il know-how strategico-commerciale utile all’espansione della piattaforma”.

Qual è l’obiettivo della piattaforma?! Spiega Cdp: “accedere a un’offerta ampia, diversificata e molto concorrenziale per la visione live e on-demand di concerti e opere teatrali, si potranno effettuare tour virtuali dei principali musei italiani e delle maggiori mostre di interesse pubblico, visitare festival e fiere e scegliere fra un ampio catalogo di film e altri contenuti tematici”.

In parallelo a questa offerta, “nella piattaforma sarà anche possibile acquistare biglietti e merchandising garantendo uno strumento semplice e funzionale per chi vorrà tornare a visitare di persona il patrimonio artistico-culturale italiano quando sarà nuovamente possibile farlo”.

Quasi a mo’ di “excusatio non petita”, il comunicato segnala che “il progetto è aperto alla futura collaborazione della Rai e di altre istituzioni e soggetti del settore culturale, pubblici o privati”, e precisa che “sin da subito verranno avviate le attività operative utili alla definizione degli accordi con operatori e altre istituzioni culturali per il reperimento dei contenuti da distribuire attraverso la piattaforma”.

Qualcosa è stato finalmente chiarito, ma le perplessità restano tante.

Sarebbe interessante comprendere chi ha elaborato le preliminari analisi di scenario, gli studi predittivi, le ricerche di mercato sulla base delle quali è stata decisa questa intrapresa dello Stato, e le sue dimensioni di business potenziale (al di là della funzione, che è evidentemente anche istituzionale). Cdp sostiene che “il mercato delle performing arts digitali si è sviluppato principalmente all’estero (Francia, Uk e Usa) grazie ad alcuni esempi di ventures e presenta ad oggi un grande potenziale di crescita anche in Italia”, ma non ci risulta esista una iniziativa in qualche modo simile a quella che Cdp e Chili – ed il Mibact anche – hanno deciso di intraprendere.

Una delle questioni essenziali della scelta a favore di Chili potrebbe essere stata codeterminata dal know-how di questa piccola società nel business “pay”, allorquando Rai ovviamente svolge una funzione di servizio pubblico ed è alimentata prevalentemente dal canone: di fatto, comunque, Rai non è “gratuita”, essendo pagata dai cittadini che utilizzano energia elettrica. Si ricordi, in argomento, che nell’ottobre del 2015 l’allora Dg Antonio Campo Dall’Orto studiò una prospettiva di ingresso Rai nel business “pay”, emulando il modello Netflix, ma l’iniziativa si andò presto ad arenare, sia per motivi politici (i dubbi su un’offerta Rai anche di tipo “premium”, secondo alcuni in contrasto con l’idea di servizio pubblico accessibile gratuitamente a tutti) sia tecnologici (la costruzione di una piattaforma “pay” è certamente impresa complessa).

Perché Rai non è stata coinvolta attivamente e prioritariamente?!

Ci si domanda comunque per quale ragione il Mibact non ha ritenuto di affrontare questa prospettiva direttamente e – soprattutto – prevalentemente con Rai.

Si ricordi che a fine marzo 2020, in piena crisi pandemica, il Presidente Marcello Foa scrisse peraltro una lettera aperta al quotidiano “La Stampa”, sostenendo – in risposta ad un appello del regista Pupi Avati (e poi di Renzo Arbore) – che “raccontare la cultura in tv può far risorgere l’Italia”.

Pur con tutte le criticità che possono caratterizzare lo stato attuale del servizio pubblico italiano, è evidente che Rai ha alcuni vantaggi competitivi non indifferenti: le dimensioni industriali, il patrimonio delle teche e d’archivio, la sua “mission” istituzionale.

Chili Tv avrà senza dubbio un qualche know-how evoluto in relazione alla vendita di prodotti, ma va segnalato che non ha praticamente alcun contenuto prodotto in proprio, e si nutrono dubbi sulla sua concreta capacità di “organizzare” al meglio il possibile incontro tra la potenziale domanda e l’offerta enorme dell’“universo di riferimento”, ovvero l’offerta di teatro, musica, danza, cinema, “performing arts”, cose museali e beni culturali vari ed eventuali del sistema italiano…

Ci si domanda se questo potenziale è stato ben studiato, dato che il sistema culturale italiano non è mai stato oggetto di analisi approfondite. Basti ricordare che “testi di riferimento” restano ricerche fragili come i rapporti annuali promossi da Siae e Federculture e Symbola. Lo stesso “mercato” dello spettacolo dal vivo in Italia non è mai stato oggetto di studi approfonditi, nel rapporto tra capacità di autoalimentarsi e sovvenzionamenti pubblici (dello Stato centrale e delle Regioni).

E chi riesce a stimare realisticamente quanta parte di questo “mercato” possa passare dalla fruizione dal vivo alla fruizione via web?!

Peraltro, si ha ragione di ritenere che nel 2021 la pandemia vada a ridurre la sua espansione, e quindi ci si augura che teatri e cinema e luoghi altri dello spettacolo possano riaprire le proprie porte.

Restiamo convinti che lo spettacolo dal vivo – ma anche il cinematografo – non possano essere snaturati nella loro storica caratteristica fondamentale: il web può essere integrativo, ma non sostitutivo.

Peraltro, il comunicato di Cdp evidenzia che la novella piattaforma non sarà esclusivamente dedicata allo “spettacolo dal vivo” o ai “beni culturali”, perché si prevede la chance, per il potenziale consumatore, di “scegliere fra un ampio catalogo di film e altri contenuti tematici” (testuale): quindi, in questo caso, in diretta competizione con altri operatori ben attivi sul mercato italiano.

Quale il “business model” e la funzione istituzionale?!

In ogni caso, non si comprende proprio quale sia il “business model”, e, soprattutto, la sua concreta applicazione al mercato culturale italiano?!

Insomma, le informazioni disponibili sono poche e non consentono di chiarire i dubbi.

Premesso che il promotore (Ministero a parte) è un gruppo economico (pubblico) di dimensioni impressionanti, ci si augura che il progetto sia stato sviluppato in modo serio ed accurato. A naso, però, in assenza di dati (il comunicato Cdp non propone 1 cifra una di previsioni di mercato e di business), l’iniziativa sembra peccare di discreto velleitarismo.

Riccardo Luna, nell’edizione odierna de “la Repubblica”, rivela che ieri giovedì 3 sono stati perfezionati gli accordi tra i due partner e che i due futuri soci andranno dal notaio mercoledì prossimo 9 dicembre. Il “naming” è ancora segreto, l’amministratore delegato della novella società sarà Giorgio Tacchia (cofondatore con Stefano Parisi di Chili). Nel suo accurato articolo, Luna ricostruisce un qualche “dietro le quinte”: il 1° giugno scorso, il Mibact avrebbe chiesto a Rai di partecipare all’iniziativa, prospettando nel progetto il coinvolgimento dell’allora Direttrice di Rai Cultura Silvia Calandrelli, ma Viale Mazzini avrebbe frenato, soprattutto perché la piattaforma RaiPlay non sarebbe in grado di gestire un’offerta “on demand” di tipo “pay”…

I balletti delle nomine Rai sullo sfondo, tra Calandrelli ed Ammirati…

Le motivazioni dell’assenza o del ritardo di Viale Mazzini sono forse da cercare però altrove. In effetti, nel mentre, peraltro, acque agitate in Rai, tra Rai Cultura e Rai Fiction e Rai Teche

Silvia Calandrelli è una apprezzata dirigente Rai, da anni alla guida della Direzione Rai Cultura (che comprende Rai 5, Rai Storia, Rai Scuola), e si ricordi che nel gennaio 2020 la sua prospettata nomina a Direttrice di Rai 3 non passò, in occasione di un consiglio di amministrazione che evidenziò le tante contraddizioni interne dell’attuale assetto “politico” della Rai. Comunque, la Direttrice di Rai Cultura per quattro mesi ha retto Rai3 “ad interim”, rete che è stata a metà maggio 2020 assegnata al grillino Franco Di Mare.

Da ricordare anche – in questa strana “partita” – che a fine febbraio il titolare del Mibact designa un’altra dirigente Rai, Maria Pia Ammirati, come Presidente dell’Istituto Luce Cinecittà (al posto di Roberto Cicutto, elevato a Presidente della Fondazione Biennale di Venezia), e vengono nominati consiglieri il politico Goffredo Bettini e l’organizzatrice culturale Annalisa De Simone (in perfetta tripartizione lottizzatoria di maggioranza: Italia Viva, Partito Democratico, M5S). Ammirati era dal 2014 Direttrice di Rai Teche, e dal 2016 al 2019 è stata anche Responsabile dei Contenuti Digital di RaiPlay. A fine marzo 2020, Ammirati annunciava con orgoglio “abbiamo messo Dante online”, così rispondendo, anche lei, al succitato appello di Pupi Avati. La designazione da parte del Ministro di fine febbraio si perfeziona a metà giugno 2020, con la nomina formale del nuovo Cda, e quindi l’insediamento di Ammirati alla guida di Cinecittà.

Nel mentre, però, a metà giugno, si dimette dalla Direzione di Rai Fiction Eleonora Andreatta (detta Tinny), e va a dirigere la produzione di fiction per Netflix Italia (formalmente nominata “Vice Presidente delle Serie Originali Italiane”), e la Ammirati viene indicata come sua possibile successore in Rai, ma a fine settembre 2020 questa nomina salta, per le solite conflittualità interne del Cda, ovvero i veti incrociati tra partiti.

A metà novembre, Maria Pia Ammirati viene nominata dal Cda Rai come Direttrice della Fiction (direzione fino ad allora tenuta dall’Ad Fabrizio Saliniad interim”). Il nome dell’Ammirati – gradito ad una parte del Pd, oltre che ad Italia Viva – circola peraltro in queste settimane come possibile neo Amministratore Delegato, in caso di fuoriuscita di Fabrizio Salini.

La Ammirati mantiene però l’incarico di Presidente di Cinecittà, ma è evidente che non è compatibile con il nuovo impegnativo ruolo in Rai.

Da segnalare che alcuni avevano addirittura ipotizzato che Eleonora Andreatta andasse a Netflix su “mandato” del Ministro Franceschini, per cercare di convincere la potente piattaforma statunitense a sviluppare un “business model” focalizzato proprio sull’offerta di spettacolo dal vivo e cose museali italiche: questa sì sarebbe stata una “alleanza” inedita ed intrigante. Nutriamo dubbi però che Netflix avrebbe confermato le chance di fattibilità di una simile iniziativa…

In effetti, il “modello di business” della Netflix italiana della cultura permane discretamente confuso…

E Cinecittà sullo sfondo, anch’essa ignorata

E peraltro, lo stesso Ministro Franceschini prevede una qualche evoluzione per Cinecittà: abbiamo già segnalato (vedi “Key4biz” del 18 novembre 2020, “Legge di Bilancio 2021, quel sottile fil rouge che collega cultura e intelligence”) che l’articolo 9 della bozza di Legge di Bilancio 2021, all’articolo 93, prevede un (ennesimo) intervento a favore di Istituto Luce Cinecittà, che viene trasformata da “società a responsabilità limitata” (srl) a “società per azioni” (spa). Le ragioni di questa modifica non sono chiare, e peraltro permane la formula curiosa di un azionista, che è il Ministero dell’Economia e delle Finanze (Mef), che cede ad un altro dicastero, il Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo (Mibact), “i diritti dell’azionista” (e, per semplificare il tutto, con la formula “d’intesa con il Mef”). Viene autorizzato un aumento di capitale nell’ordine di 10 milioni di euro. La legge prevede che La società sia amministrata da un (nuovo) consiglio di amministrazione composto da 5 membri, di cui 2 membri designati dal Ministro titolare del Mef (uno dei quali con funzioni di Presidente, designato d’intesa con il titolare del Mibact), e 3 membri (uno dei quali con funzioni di Amministratore delegato), designati dal Ministro per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo. Abbiamo già segnalato che diverte osservare che la “Relazione Illustrativa” della Legge di Bilancio non prende nemmeno in considerazione l’articolo 93, per comprendere l’importanza (…) assegnata all’intervento. Alcuni ipotizzano che la stessa Cassa Depositi e Prestiti possa entrare in Cinecittà, e – secondo una maligna interpretazione – per concretizzare il salvataggio di una società che ormai sarebbe decotta…

“AnicaOnDemand” (Onde): un dimenticato precedente storico, il tentativo Anica del 2012

In argomento – emulazioni di Netflix e tentativi di mettere a frutto il potenziale di business del web per i prodotti audiovisivi e culturali – nessuno sembra ricordare che nel marzo del 2014, ben prima quindi dell’avvento di Netflix, venne presentata “AnicaOnDemand” (da cui l’acronimo “Onde”), che pure era stata annunciata fin da fine 2012 dall’allora Presidente dell’Anica Riccardo Tozzi: venne prospettata come innovativa “piattaforma streaming” nata dalla sinergia tra Anica (Associazione  Nazionale  Industrie Cinematografiche  Audiovisive e Multimediali) e Can (Cross Advertainment Network) in partnership con MYmovies.it. Con le migliori condizioni di mercato sia per gli aventi diritto che per l’utenza finale, Onde intendeva rappresentare “la prima proposta di cinema indipendente in digitale”, creata dalla rete dei produttori e dei distributori italiani, in partnership con importanti player del mercato. Obiettivi principali del servizio venivano identificati “nell’esplorazione di nuove e innovative possibilità di sfruttamento dei diritti, la lotta contro la distribuzione e la fruizione illegale di contenuti audiovisivi e l’incremento del mercato online del cinema e dell’audiovisivo in genere”. Il partner tecnologico di allora, My Movies, vantava 400mila utenti unici al giorno. Era stata ipotizzata anche una possibile alleanza con la piattaforma online Cubovision di Telecom Italia.

L’iniziativa di AnicaOnDemand si affiancava – concorrenzialmente – proprio a quella Chili che allora muoveva i primi passi. A distanza di un paio di anni, l’iniziativa venne interrotta. E si ricordi che Netflix è entrata in Italia nell’ottobre del 2015…

Grande confusione sul futuro della Rai e di Cinecittà: perché non una sinergia?!

In sintesi: grande confusione sul futuro della Rai, grande confusione sul futuro di Cinecittà, balletti infra-partitici nella lottizzazione sulle nomine di entrambi, e dal cappello magico del Ministro esce una novella società, la “Netflix della cultura” italica

È quindi imminente la nomina di un nuovo Cda di Cinecittà, ma non si comprende perché questa società controllata dallo Stato non sia stata presa in considerazione, nella prospettiva della tanto decantata “Netflix italiana della cultura”: insomma, né Rai né Cinecittà. Perché?!

Con la decisione di Cdp, viene sancito l’ingresso nel mercato italiano dell’audiovisivo e del digitale di un nuovo “player” pubblico (in verità pubblico-privato, ma a maggioranza capitale statale), la cui funzione va senza dubbio a sovrapporsi – almeno parzialmente – al ruolo che nel settore svolgono (dovrebbero svolgere) soggetti come Rai e come Istituto Luce Cinecittà.

Qual è il senso reale di questa iniziativa?!

Non sarebbe stato più naturale e logico e razionale stimolare finalmente una sinergia possibile tra Rai e Cinecittà, anche nella prospettiva della piattaforma web della cultura italiana?!

E la tanto auspicata logica di “sistema Paese”?!

E, volendo proprio premere l’acceleratore su una piattaforma “digitale” della cultura italiana, non sarebbe stato sano – come abbiamo già segnalato su queste colonne – promuovere un “tavolo”, aperto e pubblico, e coinvolgere attivamente tutti i possibili partner?! Mediaset e Sky Italia e La7, nonché le associazioni imprenditoriali (dall’Anica all’Agis) e degli artisti ed autori (dalla Siae ai 100autori all’Anac passando per Wgi), e molti altri protagonisti dei vari settori culturali e delle varie industrie creative (a partire dagli enti lirici)…  

In un lungo ed approfondito articolo sull’edizione di ieri de “il Manifesto”, intitolato ironicamente “La ‘Neflix della cultura’ del paese dei balocchi”, Giovanna Branca e Cristina Piccino segnalano come in Europa comincino a riaprire i teatri, i cinema, i musei, mentre in Italia si assiste al silenzio delle categorie degli operatori del settore: “tutto tace nella selva dei Dpcm natalizi, in cui, per carità, il tortellino in brodo vale più di uno spettacolo a teatro o di un film in sala”.

Ed emerge invece il “giocattolo” salvifico della “Netflix italiana” della cultura…

Effetto perverso della pandemia?!

Il giudizio di Giovanna Faggionato sul quotidiano “Domani” (edizione odierna) è forse eccessivamente lapidario: “La Netflix di Stato è un bluff che serve solo a Franceschini”. Non crediamo si tratti di bluff (così come riteniamo inverosimile si possa trattare – come pure qualcuno maligna – di un’iniziativa costruita per il “salvataggio” di una Chili assai in crisi…), ma soltanto di una idea lungimirante – e forse finanche visionaria – che sembra non essere stata studiata in modo sufficientemente accurato e con il coinvolgimento di tutti i potenziali partner.

Si teorizza spesso di… “sistema Paese”, ma poi le pratiche si rivelano parcellizzate e frammentarie, senza una visione strategica globale. Qualcuno evoca il grandioso “portale” del turismo italiano, e teme si possa emulare quella fallimentare esperienza. Il terreno è scivoloso, le sabbie mobili probabili.

Un’iniziativa come quella della “Netflix italiana della cultura” che non preveda il coinvolgimento attivo ed intenso della Rai è semplicemente… surreale e masochista. Ed il budget allocato all’ardita intrapresa è semplicemente… ridicolo, se gli obiettivi reali sono quelli ambiziosamente teorizzati.

Il rischio di una bolla di sapone, di un castello di carte, di un giocattolino, di un fuoco d’artificio è latente: auguriamoci che questo rischio non si concretizzi, e che Cdp – negli studi di fattibilità e nell’esplorazione del mercato – abbia lavorato in modo serio, attento, prudente.

Senza dimenticare che tutte queste elucubrazioni dovrebbero essere correlate alle strategie sulla “rete unica” nazionale, ma qui il ragionamento (nell’intreccio tra media e tlc e banda larga e digitale) si farebbe troppo complicato, e ci torneremo in futuro.

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