Finestra sul mondo

Trump e l’accordo col l’Iran, Nuove accuse a Temer (Brasile), L’Irlanda e UE si preparano alla guerra sulle imposte, Brexit

di Agenzia Nova |

Poteri, economia, finanza e geopolitica nelle ultime 24 ore

Finestra sul mondo è una rubrica quotidiana con le notizie internazionali di Agenzia Nova pubblicate in collaborazione con Key4biz. Poteri, economia, finanza, lette in chiave di interdipendenza con un occhio alla geopolitica. Per consultare i numeri precedenti, clicca qui.

Iran, l’amministrazione Trump deve trarre il massimo da un cattivo accordo

14 set 10:53 – (Agenzia Nova) – Il segretario di Stato Usa, Rex Tillerson, ha dichiarato il mese scorso che la politica degli Stati Uniti nei confronti dell’Iran non dovrebbe cominciare concludersi con l’accordo sul nucleare. Le questioni aperte di Washington nei confronti del paese degli Ayatollah sono assai piu’ vaste, ha sottolineato Tillerson, citando il coinvolgimento di Teheran nei conflitti in Iraq e Siria, e il loro sostegno al gruppo militante libanese Hezbollah. Secondo Michael Singh, ex direttore per gli affari mediorientali presso il Consiglio per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, Tillerson ha certamente ragione, ma ha tralasciato un punto forse ancor piu’ importante: “senza un approccio stabile all’accordo sul nucleare, le domande in merito al destino di quell’accordo finiranno per distrarre e in ultima analisi sviare la piu’ vasta attivita’ diplomatica statunitense nei confronti dell’Iran e di altre questioni cruciali nel Medio Oriente”, avverte l’esperto in un editoriale sulla “Washington Post”. Il presidente Usa Donald Trump, che durante la campagna elettorale dello scorso anno ha minacciato di smantellare l’accordo con Teheran, scalpita affinche’ Teheran venga riconosciuta in qualche modo colpevole di aver violato i termini dell’accordo, cosi’ da respingerlo. Per il momento, pero’ – scrive Singh – non e’ pervenuto alcun segnale concreto in tal senso. La Repubblica islamica sta sfruttando con accortezza le scappatoie offerte dal testo dell’accordo sui fronti della produzione e dello stoccaggio di acqua pesante; al contempo, Teheran e’ impermeabile agli avvertimento delle Nazioni Unite sul fronte dei test balistici, che non rientrano espressamente nell’ambito dei limiti imposti dall’accordo. Nulla di tutto questo, spiega l’autore dell’editoriale, pare costituire una formale violazione dell’accordo in vigore. Il problema di Washington “non e’ tanto la conformita’ ai termini da parte dell’Iran, ma i termini stessi dell’accordo”. Trump “non ha torto nel denunciare un ‘cattivo accordo'”, secondo Singh. L’intesa raggiunta dalle maggiori potenze globali con Teheran “ha una portata troppo circoscritta, e consente all’Iran di continuare a lavorare alla tecnologica balistica e delle centrifughe pur avendo sospeso l’arricchimento dell’uranio. Quel che e’ peggio, i limiti imposti a Teheran sono temporanei, e alcuni verranno meno in appena un decennio; per allora, Teheran “potra’ espandere la propria potenza nel Medio oriente, mentre gli strumenti a disposizione degli Usa per provare a contenere quel paese – in particolare le sanzioni – saranno limitati”. Tornare indietro, pero’, e’ di fatto impossibile: una politica realistica nei confronti dell’Iran deve prendere atto dell’accordo in vigore come base di partenza, senza smantellarlo o rassegnarsi a lasciarlo invariato, ma puntando a rafforzare “sia l’accordo in se’, sia il quadro generale delle politiche in cui si inserisce”. Gli Usa dovrebbero lavorare con i loro alleati – e in particolare con Regno Unito, Francia e Germania – per avanzare “una interpretazione piu’ rigida del testo in vigore”, chiudendo le scappatoie formali attualmente sfruttate da Teheran. Washington dovrebbe anche lavorare con gli stessi alleati per affrontare le questioni che sono state omesse dall’accordo sul nucleare, a partire dal tema spinoso del programma missilistico di Teheran. L’obiettivo dovrebbe essere quello di “impedire a Teheran di acquisire missili balistici intercontinentali e continuare ad esportare tecnologia balistica”, tramite il ricorso a “sanzioni, controlli alle esportazioni, interdizione e un rafforzamento della difesa missilistica”. Gli Stati Uniti dovrebbero mettere inoltre in chiaro sin d’ora che intendono prorogare la validita’ dell’accordo, cosicche’ tra alcuni anni Teheran non si possa trovare di nuovo con le mani libere. Tutto questo, conclude l’autore dell’editoriale, dovrebbe essere coronato da “una strategia piu’ vasta per contrastare l’aggressione dell’Iran nel Medio Oriente”, concentrandosi su obiettivi concreti che portino all’indebolimento degli attori di prossimita’ cui Teheran si appoggia sul campo. Il tutto, tenendo presente che “l’Iran e’ esperto nello sfruttare il caos, che e’ endemico nella Regione mediorientale”.

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Brasile, non c’e’ pace per i presidenti: nuove accuse a Temer, nuovo interrogatorio a Lula

14 set 10:53 – (Agenzia Nova) – La giustizia non da’ tregua a nuovi e vecchi presidenti del Brasile. Il procuratore generale della Repubblica Rodrigo Janot, anticipa il quotidiano “Floha de Sao paulo”, ha presentato una nuova denuncia contro il presidente Michel Temer, accusato di ostruzione alla giustizia e organizzazione criminale. Il rapporto della procura consta di oltre duecento pagine e, scrive la testata, verra’ presentato entro la giornata di oggi al Supremo tribunal federal (Stf), la massima corte brasiliana, l’unica a poter decidere delle cause che interessano le piu’ alte cariche dello Stato. L’accusa nasce dalle dichiarazioni di ex dirigenti dell’industria alimentare Jbs, le stesse che dettero origine alla prima richiesta di rinvio a giudizio per Temer, ed e’ estesa ad alti membri del Partito del Movimento Democratico Brasiliano (Pdmb). Il fascicolo appare delicato anche perche’ le collaborazioni che gli imprenditori avevano garantito alla giustizia in cambio di agevolazioni sulle pene sono state azzerate dopo che si e’ scoperto che non avevano rivelato per tempo tutti i reati a loro conoscenza. Ma i riflettori della giustizia erano accesi ieri sull’ex capo di Stato Inacio Luis Lula da Silva, per il secondo faccia a faccia con Sergio Moro, giudice “star” dei processi sulla corruzione. Il primo confronto, su un caso di corruzione, aveva spinto il magistrato a comminare una pena di nove anni in prima istanza ed era stato accompagnato – “come un vero combattimento sportivo”, scrive il quotidiano spagnolo “El Pais” – da migliaia di detrattori e sostenitori di Lula per le strade di Curitiba, sede del processo. Ieri l’attenzione era minore ma gli affondi di Lula contro la giustizia hanno avuto la stessa veemenza. Il leader del partito dei lavoratori (Pt) deve rispondere di nuove pesanti accuse di corruzione, stavolta frutto delle dichiarazioni di un suo ex fidato e potente ministro, Antonio Palocci, agli arresti da tempo ma finora lontano da testimonianze a effetto. Palocci e’ “freddo e calcolatore”, ha detto Lula rilanciando il dubbio che questi abbia voluto alleviare la sua pena coinvolgendo il presidente nella speranza di ottenere sconti della pena per la sua collaborazione. “La testimonianza di Palocci e’ stata quasi cinematografica, come se fosse stata scritta da uno sceneggiatore della televisione ‘O Globo’. E’ cosi’ furbo da inventare una bugia piu’ vera della realta’”, ha detto l’ex capo di Stato accusato da Palocci di aver stretto “un patto di sangue” con l’impresa di costruzioni Odebrecht per garantire a questa la salvaguardia degli affari in cambio di tangenti. E il ritorno della giustizia sulle sue tracce fa dire a Lula di essere vittima di una “caccia alle streghe”.

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Usa, Medicare per tutti o decentramento decisionale: sulla sanita’ si allarga una frattura ideologica

14 set 10:53 – (Agenzia Nova) – la riforma della sanita’ statunitense sta spingendo i partiti repubblicano e democratico su due posizioni ideologiche diametralmente opposte. Mercoledi’ sera un agguerrito gruppo di repubblicani si e’ riunito per rilanciare uno sforzo teso a demolire completamente l’Affordable Care Act varato dall’amministrazione di Barack Obama. I senatori hanno proposto di demandare il potere decisionale ai singoli Stati federati, tramite lo stanziamento a questi ultimi di fondi federali, con la liberta’ assoluta di definire le politiche. A poca distanza, il Partito democratico si ha ufficializzato di fatto la propria trasformazione in un Partito socialista a tutti gli effetti: la sua leadership si e’ schierata formalmente a sostegno del piano del socialista Bernie Sanders, che prevede una vasta espansione del piano Medicare, sino a trasformarlo in un programma di assistenza sanitaria pubblica per tutti gli americani. Le proposte dei due partiti sono del tutto inconciliabili, salvo due elementi comuni: entrambe puntano a superare il sistema attualmente in vigore, il cosiddetto “Obamacare”, la cui insostenibilita’ finanziaria appare ormai irreversibile. Ed entrambe sembrano non avere alcuna possibilita’ di ottenere l’approvazione del Congresso in tempi ragionevoli. La stampa Usa si concentra da alcuni giorni sulla proposta del senatore socialista Bernie Sanders, che e’ ormai divenuta quella ufficiale dei Democratici: Sanders propone un “Medicare per tutti”, un sistema sanitario che avrebbe come contribuente singolo lo Stato federale. Si tratta di un modello simile a quello di molte socialdemocrazie europee, ma che nessuno dei grandi partiti politici Usa hanno mai teorizzato prima. Secondo Sanders, “anziche’ sprecare centinaia di miliardi di dollari nel tentativo di amministrare un sistema enormemente complicato, con centinaia di polizze assicurative differenti, avremmo un solo piano assicurativo per tutti gli americani, e un solo attore”, ovvero lo Stato. Negli Usa, tale prospettiva suona a molti, non soltanto nel Partito repubblicano, come una vera e propria eresia. Non sorprende, dunque, che sulla “Washington Post” l’opinionista Dana Milbank scriva che i Democratici si sono “convertiti al socialismo”. Il piano di Sanders, sottolinea Milbank, rappresenta una svolta drammatica: il senatore del Vermont aveva avanzato una proposta simile nel 2013, ma allora non aveva attenuto nemmeno una singola adesione da parte dei legislatori del Partito democratico. Di contro, la presentazione del piano avvenuta ieri a Washington, alla presenza di altri 15 senatori democratici di primissimo piano e di alcune centinaia di attivisti progressisti, e’ parsa a tutti gli effetti “il primo atto della campagna presidenziale democratica del 2020”. I Repubblicani, avverte l’opinionista, faticheranno a contrastare la nuova linea dei Democratici, per almeno due ragioni: anzitutto, hanno auto-sabotato il loro tentativo di superare l’Obamacare, a causa delle loro divisioni interne e dell’ostilita’ nei confronti del presidente, l’outsider Donald Trump. In secondo luogo, mancano di una strategia comunicativa efficace contro il piano di Sanders: per otto anni, infatti, hanno attaccato l’etichetta di “socialista” al sistema varato da Obama, che pure era basato su un sistema di para-mercato convenzionato. Oggi, scrive Milbank, i Repubblicani “non hanno piu’ alcuna munizione da sparare contro i Democratici per aver abbracciato la vera soluzione socialista”.

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Regno Unito, Hammond ammette che l’Ue ha “legittime” preoccupazioni sulla regolamentazione della City

14 set 10:53 – (Agenzia Nova) – Il cancelliere dello Scacchiere del Regno Unito, Philip Hammond, in un discorso alla Mansion House, residenza ufficiale del sindaco di Londra, riferito dal “Financial Times”, ha ammesso che l’Unione Europea ha “legittime preoccupazioni” sulla futura regolamentazione della City e si e’ impegnato a elaborare un piano per la cooperazione nella vigilanza dopo la Brexit. “Riconosciamo che ci sono preoccupazioni legittime tra i nostri colleghi dell’Ue sulla vigilanza e la supervisione dei mercati finanziari del Regno Unito, che forniscono servizi finanziari vitali alle societa’ e ai cittadini dell’Ue”, ha dichiarato il ministro. L’esponente del governo britannico ha detto di voler sviluppare proposte per una nuova relazione con l’Ue che preservino lo status di Londra di hub finanziario europeo e rassicurino Bruxelles che le regole rimarranno in linea con quelle comunitarie. Tuttavia, ha aggiunto che il governo si opporra’ a eventuali tentativi dell’Ue di restringere il settore finanziario britannico: “Non accetteremo programmi protezionistici mascherati da argomentazioni sulla stabilita’ finanziaria”. Il suo discorso anticipa un documento sulla posizione negoziale sui servizi finanziari, atteso per la fine del mese, cosi’ come il prossimo round di negoziati a Bruxelles; la prossima settimana, invece, sara’ la premier, Theresa May, a parlare, un intervento per il quale ha scelto Firenze. Il riferimento di Hammond alle “preoccupazioni” europee, comunque, fa pensare a un’apertura al modello della vigilanza congiunta, in particolare in alcune aree, come il clearing delle transazioni in euro. La Commissione europea potrebbe accettare la vigilanza congiunta, ma ritiene che i regolatori dell’Ue dovrebbero avere il potere di decidere se i volumi del clearing a Londra siano tali da incidere sulla stabilita’ finanziaria.

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Ue, l’Irlanda pronta allo scontro sulle imposte societarie

14 set 10:53 – (Agenzia Nova) – Il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, nel suo discorso annuale sullo stato dell’Unione Europea, si e’ pronunciato a favore di una semplificazione del processo decisionale, con l’introduzione del voto a maggioranza qualificata a livello ministeriale (anche se resterebbe la possibilita’ di veto a livello di Consiglio) su alcune materie, come la base imponibile consolidata comune per l’imposta sulle societa’ (Ccctb), l’Iva, le imposte per l’industria digitale e sulle transazioni finanziarie. L’Irlanda, che per attirare multinazionali offre alle societa’ un’aliquota del 12,5 per cento ed e’ contraria alla Ccctb, si prepara a respingere il tentativo della Commissione di controllare la politica fiscale societaria. Se la proposta di Juncker fosse adottata, riferisce il quotidiano britannico “The Times”, il potere degli Stati membri piu’ piccoli, come l’Irlanda, si ridurrebbe; a Dublino l’introduzione di un pacchetto di regole comuni per calcolare quanto dovuto dalle societa’ potrebbe costare quattro miliardi di euro all’anno. I politici irlandesi sono preoccupati. Fonti ufficiali del governo hanno dichiarato che Dublino resistera’ a qualsiasi modifica sui diritti di voto esistenti in materia di tasse societarie. Fergal O’Brien, direttore delle politiche e degli affari pubblici dell’Ibec, la piu’ grande organizzazione d’impresa irlandese, spiega che e’ essenziale per l’economia mantenere la piena sovranita’ fiscale e la competitivita’, soprattutto in vista della Brexit. A suo parere l’Ue, attraverso il mercato unico, apporta molti vantaggi a un paese piccolo come l’Irlanda, ma e’ necessario mantenere la capacita’ di adattare le politiche fiscali e del lavoro alle necessita’ del modello economico nazionale; pertanto, l’esecutivo dovrebbe ricorrere al veto in caso di necessita’. Il ministro delle Finanze, Paschal Donohoe, partecipera’ a una riunione informale dei ministri finanziari europei in Estonia nel fine settimana; la questione sara’ oggetto di discussione, ma non ci saranno trattative pubbliche.

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Tajani, e’ Ankara ad aver cambiato il proprio atteggiamento nei confronti dell’Ue

14 set 10:53 – (Agenzia Nova) – In un’intervista rilasciata alla “Frankfurter Allgemeine Zeitung”, il Presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani, discute del processo di adesione della Turchia all’Unione europea, in discussione a causa della svolta autocratica intrapresa dal presidente turco Recep Tayyip Erdogan. Tajani sostiene che ad aver cambiato posizione non sia l’Europa, ma Ankara, e che la maggior parte degli Stati membri non vogliono rompere le trattative in corso. Paesi che come la Turchia valutano l’introduzione della pena di morte, avverte Tajani, non possono avere spazio all’interno dell’Ue, e lo stesso vale per i paesi che pongono limiti alla liberta’ di parola o di stampa, imprigionando i giornalisti. “E’ inoltre inaccettabile che Erdogan interferisca con le elezioni tedesche, condizionando i cittadini in merito alle scelte che dovrebbero operare”, sottolinea Tajani, riferendosi agli elettori tedeschi di origini turche, che sono circa un milione. Ciononostante, puntualizza il presidente del Parlamento europeo, occorre portare avanti il dialogo, se non altro per via dell’accordo stretto con Ankara per contenere i flussi migratori attraverso l’Egeo. Su questo fronte, mette in guardia Tajani, non e’ possibile farsi illusioni: entro il 2100 la popolazione africana e’ destinata a raddoppiare a cinque miliardi di persone, pertanto va sostenuta la strategia del cancelliere tedesco Angela Merkel e dei suoi colleghi francese, italiano e spagnolo. Per mettere in atto tale piano c’e’ bisogno di piu’ denaro e che si supporti sul posto l’economia, tramite incentivi alle piccole imprese locali. Nessun paese puo’ risolvere il problema da solo, e per questa ragione, avverte il presidente del Parlamento Ue, entro il 2020 andra’ aumentato il bilancio comunitario. Tajani torna a sollecitare la solidarieta’ di tutti i paesi europei – inclusi quelli est-europei – per far fronte alla sfida delle migrazioni. A tal proposito, spiega, il Ppe intende portare avanti dialogo con il primo ministro Viktor Orban. La collaborazione con la Commissione europea dovra’ essere piu’ stretta al fine di raggiungere piu’ facilmente gli obiettivi comuni. Per quanto riguarda il progetto di difesa comune, Tajani spiega che l’Europa deve adottare una strategia condivisa, senza pero’ voltare le spalle alla Nato. In materia economica, invece, occorre prendere dei provvedimenti affinche’ nazioni straniere, come la Cina, possano investire in Europa rispettando al contempo le stesse regole delle societa’ del Continente.

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“Wall Street Journal”, “Bruxelles non ha imparato nulla” dalla Brexit

14 set 10:53 – (Agenzia Nova) – Il “Wall Street Journal” dedica un duro editoriale al discorso sullo stato dell’Unione europea del presidente della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker. Nel corso del suo intervento, ieri, Juncker ha illustrato le linee guida del piano di auto-riforma dell’Unione europea dopo l’uscita del Regno Unito; secondo il quotidiano economico statunitense, “c’e’ da chiedersi se l’obiettivo di Bruxelles sia quello di spingere anche gli altri paesi ad andarsene”. Anziche’ concentrarsi sugli aspetti dell’Unione che hanno davvero veicolato prosperita’ nel Vecchio continente, accusa il “Wall Street Journal”, Juncker ha promesso di riformare l’Ue secondo modalita’ che non faranno rimpiangere a Londra la decisione di andare per la sua strada. Alcuni passaggi dell’intervento tenuto dall’ex premier lussemburghese, ammette l’editoriale, potrebbero suscitare l’invidia di Londra: ad esempio la decisione di “rispolverare i moribondi negoziati commerciali con Australia e Nuova Zelanda”, che assieme a quelli con Messico e America Latina costituiscono “una strategia intelligente per tentare di arginare gli impulsi protezionistici provenienti da Washington”. Gran parte delle priorita’ delineate da Juncker, pero’, “lasciano perplessi”. il presidente della Commissione europea “si e’ piegato alle pressioni di Francia e Germania di concedere piu’ potere a Bruxelles per bloccare gli investimenti stranieri nell’Ue, specie da parte delle compagnie cinesi”. Se Londra evitera’ misure analoghe, quella delineata da Juncker si trasformera’ a tutti gli effetti “in una clausola pro investimenti nel Regno Unito”. Juncker vuole anche reinterpretare i trattati europei per consentire all’Unione maggiori poteri decisionali in materia di tassazione e affari esteri, da assumere tramite voti a maggioranza qualificata, e non tramite l’accordo unanime dei paesi membri. Secondo il “Wall Street Journal”, “cio’ darebbe a Francia, Germania e Italia briglia sciolta per imporre il loro modello ad alta tassazione a paesi piu’ piccoli come Irlanda, Paesi bassi e il Lussemburgo di Juncker”. La competizione fiscale da parte dei paesi europei piu’ piccoli, sottolinea il quotidiano statunitense, “e’ uno dei principali motori di riforma fiscale per le grandi economie”: un motore che rischia di sparire se la visione presentata da Juncker si trasformera’ in realta’. Le mosse auspicate dal politico lussemburghese “libererebbero Parigi e Berlino dalla necessita’ di competere tramite le aliquote fiscali o una limitazione della spesa”. E l’idea di introdurre il voto a maggioranza qualificata, secondo l’editoriale, “preannuncia discussioni tossiche su questioni di politica estera come la risposta alle crisi mediorientali o la gestione delle relazioni con la Russia”. L’intervento di Juncker, insomma, e’ stato secondo il “wall Street journal” una “opportunita’ sprecata” di riorientare l’Ue verso l’obiettivo della competitivita’ economica, restituendo agli Stati membri margini decisionali in materia di spesa e immigrazione.

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Jean Claude Juncker, l’Ue sfrutti il vento favorevole

14 set 10:53 – (Agenzia Nova) – Il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, ha tenuto ieri il suo discorso sullo stato dell’Unione. Dopo la Brexit e l’elezione di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti, la Ue ha recuperato massicciamente consensi nei sondaggi. L’economia cresce al ritmo del 2 per cento, mentre la disoccupazione e’ al livello piu’ basso degli ultimi 9 anni. Juncker ha sciorinato questi dati positivi e spronato l’Unione a un salto di qualita’. Il presidente dell’Ue ha promosso l’introduzione del voto di maggioranza nel Consiglio degli Stati membri, e per quanto riguarda l’euro, si e’ espresso a sostegno di candidature formali per l’adesione della moneta unica. Juncker vorrebbe inoltre fondere assieme gli uffici della Commissione finanziaria e monetaria e che le decisioni relative al mercato interno fossero adottate a maggioranza qualificata, anziche’ all’unanimita’. Un altro obiettivo importante citato dal presidente della Commissione e’ stato l’armonizzazione della tassazione all’interno dell’Ue. A questo andrebbe associata una maggiore giustizia sociale, facendo si’ che il mercato del lavoro si unifichi con retribuzioni analoghe per ogni rispettiva tipologia di lavoro all’interno dell’Unione. Per quanto riguarda gli investimenti degli Stati esteri, questi dovrebbero passare il vaglio di un meccanismo di protezione sugli interessi strategici e per la sicurezza. Juncker auspica che l’Ue concluda quanto prima accordi economici con il Messico e il Sud America, adottando pero’ un approccio improntato ad una maggiore trasparenza. Per il futuro, ha auspicato che la carica di presidente della Commissione e quella di presidente del Consiglio della Ue vengano unificate. Per quanto riguarda il capitolo immigrazione, l’Ue dovrebbe lavorare secondo Juncker ad un contrasto piu’ efficace di quella illegale, e a un incremento di quella regolata. L’immigrazione dal Mediterraneo e’ calata ad agosto dell’81 per cento rispetto a luglio e l’Italia ha fatto un egregio compito sul fronte dell’accoglienza, ha riconosciuto il funzionario, che ha affrontato anche i temi della lotta al terrorismo e ai mutamenti climatici Il presidente ha inoltre escluso l’entrata nell’Unione della Turchia, almeno per il prossimo futuro. Concludendo il suo intervento, Juncker ha spronato l’Ue: “Sfruttiamo il vento favorevole”.

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Italia, la partita si complica per Vivendi

14 set 10:53 – (Agenzia Nova) – Si complica in Italia la situazione di Vivendi: ne prende atto il quotidiano “Le Figaro”, riferendo come ieri mercoledi’ 13 settembre la Consob ha sentenziato che il gruppo multimediale francese eserciterebbe un “controllo di fatto” su Telecom Italia (Tim). Dopo “una analisi approfondita della legislazione in vigore e degli elementi di fatto”, recita il comunicato della Consob, il gendarme della Borsa italiana ha concluso che la partecipazione azionaria di Vivendi nel capitale di Tim debba essere appunto “qualificata come un controllo di fatto”: in conseguenza di questa decisione il gruppo francese potrebbe essere costretto ad assumersi la responsabilita’ dei 25 miliardi di debiti di Telecom Italia, iscrivendoli nel suo bilancio registrato in Francia. Vivendi, che e’ il principale azionista di Tim con il 23,9 per cento del capitale, ha invece sempre sostenuto di non avere il pieno controllo di Telecom Italia, e di limitarsi ad esercitare dalla fine dello scorso mese di luglio le “attivita’ di direzione e di coordinamento” dello storico operatore telefonico italiano. Alla decisione della Consob, sia Telecom Italia che la direzione di Vivendi hanno reagito a loro volta annunciando che presenteranno ricorso. Anche il governo italiano, riferisce il “Figaro”, sta conducendo una sua propria indagine per verificare se Vivendi abbia rispettato le regole quando ha assunto la direzione di Telecom Italia: gia’ il 2 agosto scorso una fonte della presidenza del Consiglio aveva spiegato come “nei settori strategici (di cui fanno parte le telecomunicazioni), le societa’ hanno obblighi rafforzati di comunicazioni” nel caso; secondo i media italiani citati dal “Figaro”, se l’inchiesta governativa dovesse appurare che il gruppo francese non ha rispettato questi obblighi quando ha assunto il controllo di fatto di Tim, esso rischierebbe di dover pagare un’ammenda di almeno 300 milioni di euro. Il “Figaro” infine ricorda che a questo complesso dossier si aggiungo le diverse diatribe giudiziarie in cui il gruppo Vivendi e’ invischiato in Italia a causa della scalata “ostile” a Mediaset: Vivendi, che possiede una partecipazione del 28,8 per cento nel gruppo mediatico di proprieta’ della famiglia di Silvio Berlusconi, tra le altre cose si e’ impegnato con l’Autorita’ italiana di controllo sulle telecomunicazioni (AgCom) a trasferire ad una societa’ fiduciaria “indipendente” quasi il 20 per cento di quelle azioni ed a non cedere azioni Mediaset a Telecom Italia.

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Tra la Libia e l’Italia, “piccoli accordi” contro i migranti

14 set 10:53 – (Agenzia Nova) – Il quotidiano francese “Le Monde” si scaglia oggi giovedi’ 14 settembre in un duro attacco contro l’Italia per il modo con cui sarebbe stato raggiunto l’obbiettivo di arrestare il flusso di migranti proveniente dalla Libia: in un articolo pubblicato in prima pagina e scritto a due mani dai corrispondenti da Tunisi e da Roma, Fre’de’ric Bobin e Je’rome Gautheret, si afferma infatti che la spettacolare diminuzione dei soccorsi e dei salvataggi di migranti nel Mar Mediterraneo, registrata da agosto in poi, non sarebbe affatto dovuta alla raggiunta operativita’ della guardia costiera libica, come sostiene il governo italiano, grazie al suo completamento equipaggiamento iniziato dalla scorsa primavera con fondi europei; e neppure dalla regolamentazione imposta alle organizzazioni non-governative (Ong), la cui semplice presenza in mare davanti alle coste della Libia e’ indicata da molti come un incentivo alle partenze dei migranti. Il “Monde” insinua invece che all’origine del fenomeno ci siano accordi occulti che l’Italia avrebbe stretto con loschi personaggi libici. Il quotidiano francese in particolare punta il dito contro il ministro dell’Interno italiano, Marco Minniti, che negli scorsi mesi ha moltiplicato gli incontri in Libia con personaggi locali, sindaci di citta’ e capi di tribu’, assicurando a ciascuno la sua volonta’ di “ascoltare i loro bisogni” e di “aiutarli”. L’articolo insinua che Minniti avrebbe stretto inconfessabili patti con delle milizie armate e persino con gli stessi trafficanti di esseri umani, al rischio di rafforzare e di legittimare le milizie libiche contigue alla criminalita’ organizzata. In particolare i due giornalisti Fre’de’ric Bobin e Je’rome Gautheret citano il caso di Ahmed Al Dabbashi, soprannominato Al-Ammu (“Lo Zio”), il capo della Brigata dei martiri Anas Al Dabbashi: fino allo scorso luglio dominava il traffico di migranti a partire da Sabratha, cittadina costiera libica ad ovest di Tripoli; dopo aver stretto un accordo con lui per la protezione degli impianti gassiferi dell’Eni nel vicino sito di Mellitah, il governo di Roma gli avrebbe versato 5 milioni di dollari per bloccare la partenza dei gommoni carichi di migranti. Oltre a questa accusa all’Italia, il lungo reportage mette in dubbio l’efficacia di questi “piccoli accordi”, citando la possibilita’ che il flusso di partenze dei migranti, bloccato a Sabratha, possa trasferirsi in altre zone della costa libica; e denuncia le violenze e le esazioni a cui i migranti provenienti dall’Africa sub-sahariana continuano ad essere comunque sottoposti in Libia da parte delle reti di trafficanti.

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