Finestra sul mondo

Trump indagato, Brexit, Industria automobilistica, Scandalo ministro Bayrou, Agguato a parlamentari repubblicani Usa

di Agenzia Nova |

Poteri, economia, finanza e geopolitica nelle ultime 24 ore

Finestra sul mondo è una rubrica quotidiana con le notizie internazionali di Agenzia Nova pubblicate in collaborazione con Key4biz. Poteri, economia, finanza, lette in chiave di interdipendenza con un occhio alla geopolitica. Per consultare i numeri precedenti, clicca qui.

Usa, Trump sarebbe indagato per presunta ostruzione della giustizia

15 giu 11:31 – (Agenzia Nova) – Il procuratore speciale Robert Mueller, incaricato dal dipartimento di Giustizia di condurre indagini indipendenti in merito alla presunta intromissione della Russia nelle elezioni presidenziali Usa dello scorso anno, avrebbe iscritto al registro degli indagati il presidente Donald Trump, per accertare eventuali atti di ostruzione della giustizia da parte dell’inquilino della Casa Bianca. Lo riferisce la “Washington Post”, che cita fonti anonime secondo cui Mueller intende far luce sulle conversazioni tra il presidente e l’ex direttore dell’Fbi James Comey. Comey, licenziato da Trump il mese scorso, aveva fatto trapelare alla stampa il resoconto di una sua conversazione con il presidente, risalente allo scorso febbraio, in cui questi auspicava la fine delle indagini dell’Fbi a carico dell’ex consigliere per la sicurezza nazionale Michael Flynn, poi dimessosi per aver taciuto su alcuni suoi colloqui con l’ambasciatore russo a Washington. Interrogato dal Senato la scorsa settimana, Comey ha candidamente ammesso di aver fatto personalmente trapelare alla stampa i resoconti delle sue conversazioni con Trump per innescare la nomina di un procuratore speciale: nomina che di li’ a pochi giorni si e’ materializzata, ed e’ andata a Mueller, suo amico e mentore all’Fbi. Durante la sua deposizione, Comey si e’ astenuto dall’accusare Trump di ostruzione alla giustizia, ma ha sibillinamente dichiarato che sarebbe stato compito del procuratore speciale stabilire eventuali profili di reato. Dalla testimonianza, pero’, e’ anche emerso che Trump non ha mai tentato di insabbiare le indagini sulla Russia, e che il licenziamento di Comey e’ stato innescato soprattutto dal rifiuto di quest’ultimo di confermare pubblicamente che Trump non era personalmente indagato nell’ambito del “Russiagate”, pur avendo rassicurato personalmente il presidente a tale proposito. Il fatto che Trump non fosse personalmente indagato per presunti contatti con la Russia, come invece suggerito per mesi da diverse indiscrezioni di stampa, e’ una delle poche informazioni che nei mesi scorsi l’Fbi ha evitato di far trapelare in forma anonima. Questa serie di circostanze, il fatto che l’ipotesi di “collusione” tra la campagna di Trump e la Russia sia ormai sfumata per la totale assenza di prove, sostituita dalle accuse di ostruzione alla giustizia in merito a Flynn, e l’apparente coordinamento tra Comey e Mueller, oltre alla prosecuzione delle fughe di informazioni dopo l’affidamento delle indagini a quest’ultimo, ha spinto diversi sostenitori del presidente Trump a mettere pubblicamente in dubbio l’imparzialita’ e l’equidistanza del procuratore speciale, che pero’ gode di una discrezionalita’ quasi assoluta. Trump, del resto, ha le mani legate: rimuovere Mueller dall’incarico lo esporrebbe a gravi accuse di insabbiamento da parte dei suoi oppositori. Proprio ieri, la Casa Bianca ha smentito che il presidente stia valutando tale opzione, come sostenuto invece da un suo conoscente e dalle incessanti indiscrezioni anonime pubblicate dai principali quotidiani statunitensi. L’unica certezza, come sottolinea “Bloomberg”, e’ che Mueller ha ampliato e in parte mutato la finalita’ delle indagini affidategli: anziche’ indagare sulle interferenze russe nel processo elettorale Usa, Mueller si starebbe concentrando piu’ in generale sull’analisi della condotta del presidente in carica.

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Regno Unito, Hammond pronto a sfidare May sulle priorita’ della Brexit

15 giu 11:31 – (Agenzia Nova) – Il segretario del Regno Unito per l’Uscita dall’Unione Europea, David Davis, riferisce il “Financial Times”, intende iniziare le trattative con l’Ue, lunedi’, presentando un’offerta “molto generosa” sui diritti dei cittadini comunitari residenti nel paese, circa tre milioni di persone, garantendo loro lo status e il trattamento di cui godono attualmente; potrebbe cedere sulla data-limite, non il giorno della notifica di uscita, il 29 marzo 2017, ma quello dell’effettiva uscita; si aspetta, d’altra parte, che Bruxelles rinunci a chiedere che i cittadini comunitari dopo la Brexit possano continuare a rivolgersi alla Corte europea di giustizia per far valere i loro diritti. Il ministro, irritato per le notizie circolate nei giorni scorsi sul caos nella squadra negoziale, assicura che tutto procede bene, e anche Downing Street dichiara che si atterra’ ai piani, ma il governo di Theresa May e’ sotto pressione affinche’ ammorbidisca la sua posizione; diversi esponenti conservatori ritengono che senza la maggioranza assoluta alla Camera dei Comuni non sara’ possibile far passare le leggi necessarie per dare attuazione alla Brexit. Per una linea piu’ moderata e’ il cancelliere dello Scacchiere, Philip Hammond, che vorrebbe un significativo periodo di transizione per attenuare l’impatto dell’uscita dall’unione doganale e dal mercato unico; sui rischi economici di un’uscita disordinata dall’Ue e’ atteso per questa sera un suo discorso alla Mansion House di Londra. Non si sa ancora se il responsabile del Tesoro prendera’ le distanze in modo esplicito dalla premier o se ricorrera’, come ha gia’ fatto in passato, a un linguaggio piu’ sfumato, ricordando, ad esempio, che i cittadini non hanno votato “Leave” nel referendum dell’anno scorso per diventare “piu’ poveri o meno sicuri”. Un intervento piu’ diretto sarebbe un duro colpo per Downing Street, a pochi giorni dall’inizio delle trattative, e May ha ragione di preoccuparsi, dopo aver lasciato il cancelliere ai margini e nell’incertezza per tutta la campagna elettorale, rifiutando di pronunciarsi sulla sua conferma.

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Industria automobilistica, Renault alla vigilia di una svolta strategica

15 giu 11:31 – (Agenzia Nova) – L’assemblea degli azionisti di Renault, in programma per oggi giovedi’ 15 giugno, si annuncia di importanza cruciale per le scelte strategiche del costruttore automobilistico francese: lo scrive il quotidiano economico “Les Echos” che dedica alla questione l’apertura della sua prima pagina. L’articolo a firma di Julien Dupont-Calbo analizza punto per punto le tematiche che negli ultimi tempi si sono accumulate in materia di riorganizzazione del colosso dell’auto e della sua governance: innanzitutto i rapporti tra Renault ed il partner giapponese Nissan, che a sua volta l’anno scorso ha assorbito il marchio Mitsubishi; senza dubbio ci sara’ una accelerazione della convergenza, in vista della presentazione in autunno dei piani industriali strategici delle tre entita’. C’e’ poi il tema delle turbolente relazioni tra il presidente dell’Alleanza Renault-Nissan, Carlos Ghosn, e lo Stato francese che e’ il maggior azionista di Renault: a chi debba davvero rispondere Ghosn e’ una questione che si e’ fatta sempre piu’ intricata dopo l’aumento nel 2015 della partecipazione azionaria dello Stato, e che non e’ mai stata veramente risolta; a complicare le cose ci sono poi le polemiche sorte sulla stratosferica remunerazione del presidente di Renault e lo scandalo “diesel-gate” sul quale i governi di Parigi, quello passato e quello da poco in carica, non hanno espresso una posizione chiara. Tutto cio’, secondo “Les Echos”, apre il capitolo della successione del 63enne presidente esecutivo, un dossier reso ancora piu’ stringente dal recente pensionamento del direttore esecutivo di Nissan: dopo sei anni alla guida di Renault-Nissan, Ghosn cedera’ il volante o cerchera’ un altro mandato di quattro anni? si chiede “Les Echos”; ed in caso di avvicendamento il successore sara’ un esterno, un francese proveniente da Renault o un giapponese di Nissan-Mitsubishi? Da oggi gli azionisti saranno chiamati a pronunciarsi.

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Francia, il ministro della Giustizia Bayrou nella tormenta degli scandali

15 giu 11:31 – (Agenzia Nova) – Si fa difficile in Francia la posizione del ministro della Giustizia, il centrista Francois Bayrou: su questo sono ormai concordi tutti i principali giornali francesi, con i conservatore “Le Figaro” che addirittura avanza l’ipotesi di imminenti dimissioni. La tempesta mediatica nasce dallo scandalo degli impieghi fittizi al Parlamento europeo: una quarantina di deputati francesi a Strasburgo sono accusati di aver assunto propri assistenti parlamentari che, pur stipendiati dall’Ue, in realta’ hanno svolto esclusivamente lavoro di partito nelle rispettive circoscrizioni elettorali in Francia; partita dalle denunce contro la leader del Front national, Marine Le Pen, l’inchiesta ha finito per coinvolgere anche una decina di eurodeputati del Movimento democratico (MoDem) di cui Bayrou e’ presidente. Il loro coinvolgimento in questo scandalo e’ tanto piu’ imbarazzante se si considera che fra loro c’e’ anche la nuova ministra francese degli Affari europei, Marielle de Sarnez; a cio’ si aggiunge poi che Bayrou, in quanto ministro Guardasigilli, e’ incaricato proprio di mettere a punto una … riforma moralizzatrice della politica. Ad aggravare una situazione gia’ di per se’ assai delicata sono arrivate le rivelazioni secondo cui Bayrou sarebbe intervenuto sulla direzione dell’emittente statale “Radio France” nel tentativo di far insabbiare un’inchiesta giornalistica sullo scandalo degli impieghi fittizi in cui sono coinvolti appunto gli eurodeputati MoDem: con il risultato di provocare una dura presa di posizione del primo ministro Edouard Philippe, che ha cercato di riportarlo all’ordine. Ma inutilmente: il MoDem ha dato un sostanziale aiuto all’elezione del nuovo presidente Emmanuel Macron, puntando in campagna elettorale sulla moralizzazione della vita pubblica francese in chiara contrapposizione con la Le Pen e soprattutto contro il candidato del centro-destra Francois Fillon, a sua volta azzoppato da uno scandalo di impieghi fittizi, il cosiddetto “Penelope-gate, a favore di moglie e figli; e dal lungo confronto elettorale Bayrou e’ emerso come il vero “numero 2” dell’esecutivo Macron, svincolato persino dall’autorita’ del primo ministro Philippe. Questa prima vera “grana” per il nuovo esecutivo Macron-Philippe, finora rimasta in una situazione stallo, potrebbe nei prossimi giorni registrare importanti sviluppi in seguito a nuove rivelazioni di uno degli assistenti del gruppo MoDem a Strasburgo, che ha ammesso di essere stato assunto abusivamente: nei giorni scorsi il Parlamento europeo ha tolto l’immunita’ parlamentare a Marine Le Pen, che ora puo’ essere processata dalla magistratura francese; stessa sorte potrebbe quindi toccare alla ministra Marielle de Sarnez ed agli altri suoi colleghi eurodeputati centristi. A quel punto, Macron dovra’ per forza intervenire.

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Usa, agguato a parlamentari repubblicani: gravemente ferito il deputato Scalia

15 giu 11:31 – (Agenzia Nova) – Il clima di gravissima tensione politica e ideologica che grava sugli Stati Uniti dalle elezioni presidenziali dello corso anno e’ sfociato mercoledi’ in un grave episodio di violenza armata. Un 66 enne di Belleville, Illinois, ha teso un agguato ieri a un gruppo di parlamentari repubblicani ad Alexandria, in Virginia. James T. Hodgkinson, gia’ noto alle forze dell’ordine per maltrattamenti e altri precedenti, si e’ assicurato che i parlamentari impegnati sul campo da gioco fossero Repubblicani. ha poi aperto il fuoco sui presenti con un’arma semiautomatica, mentre questi si allenavano alla tradizionale partita di baseball di beneficenza tra membri repubblicani e democratici del Congresso. L’aggressore ha esploso decine di colpi di arma da fuoco ferendo cinque persone, incluso il vice capogruppo della maggioranza alla camera dei rappresentanti, Steve Scalise. Il deputato versa in condizioni critiche: un colpo di arma da fuoco l’ha raggiunto al fianco ed ha causato gravissime lesioni interne a ossa e organi. Tra i feriti – almeno uno verserebbe in condizioni ancor piu’ gravi – figurano alcuni aiutanti dei parlamentari che si stavano allenando sul campo, e due degli agenti di polizia intervenuti per fermare l’aggressore, che e’ stato colpito a morte. Hodgkinson era un convinto sostenitore del senatore socialista Bernie Sanders, e veemente contestatore del presidente Usa Donald Trump. Si era trasferito ad Alexandria pochi mesi fa, e proprio allora aveva acquistato le armi utilizzate per l’agguato di ieri: circostanze che spingono a ipotizzare una premeditazione. Sul suo profilo facebook era solito pubblicare messaggi di odio nei confronti di Trump e dei Repubblicani, che accusava di attuare un’agenda politica in favore dei ricchi. L’agguato e’ coinciso con il 71 esimo compleanno del presidente, ma per il momento l’Fbi ha scelto di non sbilanciarsi in merito al movente dell’aggressione. Il tragico episodio di ieri ha unito per una rara volta l’intero arco parlamentare statunitense nella condanna della violenza politica, che dall’elezione di Trump ha toccato picchi sempre crescenti, nelle strade come negli ambienti dell’intrattenimento e della cultura; infuria in questi giorni, ad esempio, la polemica per uno spettacolo teatrale a Manhattan caldamente raccomandato dal “New York Times”: in scena una rivisitazione dell’assassinio di Giulio Cesare, dove ad essere ripetutamente pugnalato e’ un sosia del presidente Trump.

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Spagna, si celebrano i 40 anni da quando il paese “ha imparato a votare”

15 giu 11:31 – (Agenzia Nova) – I media spagnoli celebrano oggi il quarantennale delle prime elezioni democratiche celebrato nel paese dopo la caduta della dittatura di Francisco Franco. Il 15 giugno del 1977 si aprivano infatti le urne per una delle tappe chiave della transizione, “momento folgorante” della storia spagnola, nelle parole dello storico leader socialista Alfonso Guerra. Allora vinse il centrista Adolfo Suarez, lo stesso cui il re Juan Carlos assegno’ l’incarico di formare un governo subito dopo la morte del “caudillo”: operazione ardua che Suarez porto’ a compimento mettendo assieme le forze piu’ disponibili a guidare il delicato passaggio al nuovo scenario istituzionale. E’ in atto una “operazione malinconia”, scrive il quotidiano “El Mundo” parlando degli innumerevoli convegni ispirati “alla nostalgia di un mondo che non esiste piu’ e la mancanza di un’epoca di comprensione e speranza” che i tanti protagonisti invitati “hanno mitizzato”. La testata mette in fila pareri di storici, ex ministri e professori universitari. Ne esce un quadro di contrasti tra le ambizioni dell’epoca, ritratte con un misto di ingenuita’ e speranza, e la cruda realta’ attuale. “Allora l’idea di democrazia godeva di un grande rispetto, mentre ora e’ totalmente disprezzata”, spiega lo storico Jose’ Alvarez Junco. “Nel 1977 una schiacciante maggioranza di spagnoli voleva un regime costituzionale e democratico”, gli fa eco il professor Santiago Munoz Machado spiegando che “ora c’e’ una notevole carenza di idee politiche su come rispondere alle nuove sfide che si presentano”. Caduto Franco, ci si muoveva con il timore di “un ritorno a situazioni di violenza o autoritarismo”, nel 2017 regna la frivolezza con “che molti usano per giocare con le istituzioni e si disinteressano a qualsiasi progetto condiviso”. “Quel tempo portava con se’ una chiara aspirazione: essere europei. Una aspirazione giustificata e astratta”, osserva il professore di filosofia Jose’ Luis Villacanas ricordando che “essere europei significava democrazia e partiti politici, non molto ma sufficiente per l’epoca”. “La Vanguardia”, non da sola, celebra l’anniversario partendo da un paragone con la mozione di sfiducia presentata nei giorni scorsi da Podemos, facendo un ritratto di una societa’ e un modo di intendere la democrazia profondamente diverso da quello della fine degli anni 70. Per celebrare l’evento, “El Pais” pubblica sulla propria pagina web un lungo video in ci si alternano testimonianze dei protagonisti dell’epoca, le immagini di una inedita campagna elettorale e della straordinaria giornata elettorale.

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Spagna, il nuovo Psoe cerca l’intesa con gli anti-sistema di Podemos per sconfiggere il governo Rajoy

15 giu 11:31 – (Agenzia Nova) – Fallito il tentativo di Podemos, il nuovo leader del Partito socialista operaio spagnolo (Psoe) Pedro Sanchez cerca di intestarsi la guida di un fronte ampio in grado di far cadere il governo del Partito popolare (Pp). Con un’operazione parlamentare sperimentata poche volte nella storia democratica del paese, il movimento antisistema Podemos aveva tentato di sfiduciare il presidente del governo Mariano Rajoy candidando il suo leader – Pablo Iglesias – alla guida dell’esecutivo. Dopo due giorni di dibattito dominati dal punto di vista mediatico dalla fermezza oratoria di Rajoy, la mozione e’ stata sonoramente respinta. Sanchez aveva lasciato la segreteria denunciando l’eccessiva disponibilita’ ai compromessi col Pp ed e’ tornato alla guida del Psoe avendo raccolto, alle primarie del mese scorso, proprio grazie ai voti della base piu’ radicale. Oggi lancia un appello a Podemos e a Ciudadanos – formazione centrista che fornisce appoggio esterno all’esecutivo – perche’ si uniscano tutti in una battaglia per far cadere “quanto prima” il governo Rajoy. Una mossa con cui Sanchez cerca ad un tempo di dare corpo e protagonismo al Psoe, passato in secondo piano proprio grazie all’offensiva mediatica lanciata negli ultimi mesi da Podemos. L’appello – dal titolo “il Psoe sempre all’altezza della storia” – viene lanciato sulle colonne del quotidiano conservatore “El Mundo” e non, come potrebbe sembrare piu’ logico, su “El Pais”, da sempre considerata vicina ai progressisti. E non e’ un caso: “El Pais” alle primarie aveva appoggiato la candidatura promossa dai “baroni” del partito, da Felipe Gobnzalez a Jose’ Luis Rodriguez Zapatero. E oggi pubblica un editoriale nel quale spiega che Iglesias “ha ottenuto un successo, portando il partito di Sanchez in un terreno dove puo’ controllarlo”. Sorprende “che proprio nel momento in cui Podemos viene mostrato con tutti i suoi eccessi retorici e ideologici, il nuovo Psoe di Pedro Sanchez” gli tenda una mano. “E’ chiaro che con un Psoe sicuro di se stesso e senza complessi, Podemos sarebbe stato trattato per cio’ che e’ sotto la direzione di Iglesias: una formazione tanto radicale quanto marginale, incapace di mostrare la credibilita’ sufficiente per mettere d’accordo quei progressisti, tanti, contrari a Rajoy”.

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Regno Unito, Farron si dimette da leader dei liberaldemocratici

15 giu 11:31 – (Agenzia Nova) – Tim Farron, riferisce il quotidiano “The Guardian”, ha annunciato le dimissioni da leader dei liberaldemocratici britannici, dopo essere stato messo ripetutamente sotto pressione durante la campagna elettorale per le sue convinzioni religiose, in particolare sul tema dell’omosessualita’. Cosi’ il politico ha spiegato la sua scelta: “Dal primo giorno della mia leadership, ho affrontato domande sulla mia fede cristiana. Ho cercato di rispondere con garbo e pazienza. Qualche volta avrei potuto dare risposte piu’ sagge. La conseguenza dell’attenzione alla mia fede e’ che mi sono trovato lacerato tra vivere come un fedele cristiano e svolgere il servizio di leader politico. Essere un leader politico, specialmente di un partito progressista e liberale nel 2017, e vivere da cristiano impegnato, aderendo fedelmente all’insegnamento della Bibbia, e’ diventato impossibile per me”. Ha aggiunto si essersi sentito “oggetto di sospetto” per cio’ in cui crede, incalzato piu’ volte a rispondere se considera l’omosessualita’ un peccato. Farron manterra’ l’incarico fino all’elezione del successore, in estate. E’ un momento delicato per i Lib Dem, che nel voto della scorsa settimana, dopo una campagna incentrata sul contrasto alla Brexit, hanno guadagnato tre seggi parlamentari, salendo da nove a dodici, ma hanno anche perso collegi come Richmond Park, vinto solo pochi mese nelle suppletive, e Sheffield Hallam, il collegio di Nick Clegg, rimasto fuori dalla Camera dei Comuni. Vince Cable, Ed Davey e Jo Swinson, appena tornati a Westminster, potrebbero contendersi la guida del partito.

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Germania, Ditib non partecipera’ alla manifestazione contro il terrorismo islamico

15 giu 11:31 – (Agenzia Nova) – L’Unione turco-islamica per gli affari religiosi (Ditib), la piu’ grande organizzazione islamica in Germania, finanziata dal Direttorio per gli Affari religiosi di Ankara (Diyanet), ha annunciato che non partecipera’ alla marcia musulmana per la pace e contro il terrorismo in programma a Colonia. Diverse associazioni musulmane attive in Germania hanno confermato la loro partecipazione all’evento in programma sabato, che si stima potrebbe mobilitare 10 mila persone. Tra i promotori e partecipanti di maggiore profilo all’evento figurano il teologo islamico Lamya Kaddor e l’attivista per la pace musulmano Tarek Mohamad. All’evento ha aderito il Consiglio centrale dei musulmani in Germania, ma vi prenderanno parte anche organizzazioni cristiane e gran parte dei maggiori partiti politici tedesco: la Cdu, l’Spd, i Verdi, la Linke e l’Fdp. Prevista la presenza anche dello scrittore Navid Kermani e del presentatore Nazan Eckes. Ditib ha giustificato la propria assenza sottolineando che la marcia avviene durante i Ramadan, e manifestare sotto il sole digiuni non sarebbe una pratica ragionevole.

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Germania, armi nucleari: la politica della sedia vuota

15 giu 11:31 – (Agenzia Nova) – Il governo federale tedesco e’ stato criticato dai movimenti pacifisti per la sua assenza ai negoziati per la proibizione internazionale delle armi nucleari che si e’ tenuto presso le Nazioni Unite. Anche il vescovo di Treviri, Stephan Ackermann, ha criticato l’assenza del governo di Berlino ai colloqui a New York. Il presidente della Commissione tedesca per la Giustizia e la Pace ha detto: “Con la sua lontananza, il governo tedesco indebolisce la propria credibilita’ in materia di disarmo nucleare”. Il ministro degli Esteri tedesco, Sigmar Gabriel (Spd), si e’ sempre appuntato al petto l’opposizione alle armi nucleari, ma ha contestato l’effettiva utilita’ dell’iniziativa in sede Onu: “Gli attuali negoziati presso l’Onu sono stati organizzati in modo tale che non tutti gli Stati in possesso di armi nucleari vi prendano parte. Il che ovviamente ha poco senso”, ha detto il ministro. Ai colloqui per il disarmo nucleare globale prendono parte circa i due terzi dei 193 paesi rappresentati all’Onu, ma tra questi non figura nessuno dei nove Stati che ad oggi dispongono di un deterrente atomico.

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