l'indagine

Transizione green, sette Comuni UE su dieci lamentano investimenti insufficienti e mancanza di esperti

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I Comuni europei alle prese con la transizione energetica, ecologica e digitale, tra finanziamenti limitati, mancanza di competenze e ostacoli burocratici. Secondo la BEI a rischio gli obiettivi di decarbonizzazione se non si interviene. Situazione simile anche in Italia.

Transizione ecologica, energetica e digitale: c’è chi può e chi non può

Tutti gli Stati membri dell’Unione europea sono impegnati nella difficile, complessa ed inevitabile transizione energetica ed ecologica finalizzata al raggiungimento dell’obiettivo, ambizioso ed altrettanto impegnativo, di diventare il primo continente decarbonizzato al mondo.

Non tutti, però, sono pronti ad affrontare questa sfida, anzi, solo una piccola parte. Secondo un’indagine che ha visto partecipare 744 Comuni dell’Ue, relativa al 2022 e realizzata dalla Banca europea degli investimenti (BEI), ben il 60% delle amministrazioni locali ha denunciato scarsità di finanziamenti negli ultimi tre anni, o finanziamento inadeguati rispetto allo scopo, riguardo ad alcuni settori di spesa molto rilevanti in termini di infrastrutture strategiche e contrasto/adattamento ai cambiamenti climatici.

Il 69% dei Comuni intervistati non dispone di esperti con le sufficienti competenze in ambito ambientale e climatico, con seri problemi di attuazione dei programmi di investimento sul territorio. L’80% addirittura ha dichiarato che, oltre la mancanza di risorse adeguate, a rendere difficile l’attuazione dei programmi ci sono anche le barriere burocratiche, l’ambiguità dei regolamenti e la lunghezza dei processi normativi.

Problemi questi che secondo le amministrazioni pubbliche locali hanno avuto un peso enorme sugli investimenti passati in progetti di contrasto, mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici (60%), ma anche su quelli relativi alle infrastrutture digitali (40%).

La transizione monca: chi aveva meno risorse ha preferito dare precedenza alla digitalizzazione

In molti casi, la transizione energetica ed ecologica si è ‘sdoppiata’ e da un unico percorso se ne sono creati due, spesso distinti, proprio perché i Comuni europei non hanno saputo gestire la trasformazione per come era stata ideata da Bruxelles.

Chi aveva meno risorse (finanziarie e professionali) ha dato precedenza alla transizione digitale, lasciando indietro quella ecologica, mente le amministrazioni dei territori con un’economia più solida sono riuscite ad investire e lavorare su un unico piano di interventi riunificando ambiente, energia e digitalizzazione.

D’altronde, come ha giustamente fatto notare Ricardo Mourinho Felix, vicepresidente della BEI: “Per sviluppare pratiche sostenibili in aree chiave come la pianificazione urbana, l’efficienza energetica, la gestione dei rifiuti e la decarbonizzazione dei trasporti, l’apporto dei Comuni e degli enti locali è fondamentale, per questo bisogna dotare il prima possibile le amministrazioni pubbliche di tutte le risorse necessarie, non solo finanziarie. In questo momento storico di grandi cambiamenti, il ruolo dei Comuni nella transizione energetica ed ecologica, ma anche in quella digitale, è assolutamente centrale e la nostra indagine lo dimostra”.

Entro il 2050 quasi il 70% della popolazione europea vivrà nei centri urbani e questo comporterà la necessità di portare a termine rapidamente tutti i progetti relativi alla transizione.

Come abbiamo visto, però, la cosa non è semplice e anche in Italia si rischia di creare nuove disuguaglianze territoriali e di veder aumentare il gap con il resto d’Europa.

La situazione italiana, tra scarsità di finanziamenti e mancanza di competenze

Un terzo dei Comuni italiani non è pronto ad affrontare la sfida della transizione energetica, ecologica e digitale (il 69% ha manifestato l’intenzione di utilizzare i fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza per gli obiettivi di digitalizzazione, infrastrutture sostenibili, clima e ambiente).

Il PNRR ha messo sul tavolo 10 miliardi di euro circa per sostenere il lavoro dei Comuni italiani nelle diverse aree di intervento, ma l’ostacolo principale sembra essere la mancanza di competenze e professionalità adeguate allo scopo. Non c’è il personale amministrativo e tecnico che dovrà seguire i progetti in tutto il loro ciclo di vita, praticamente dall’uscita del bando alla loro implementazione.

Questo problema colpisce il 50% circa delle nostre amministrazioni pubbliche locali, mentre un 43% ha lamentato anche scarsità di risorse finanziarie. Stranamente solo nel 24% dei casi si denunciano complessità e problematiche burocratiche.

Le amministrazioni pubbliche, in particolare quelle locali, non sono riuscite a reclutare tutto il personale specializzato necessario per la realizzazione di molti dei progetti del PNRR. In totale dovrebbero essere 15mila le nuove assunzioni, ma finora sono state solo 2.500. Il problema è quello evidenziato fin dall’inizio da molti: si tratta di contratti a tempo determinato e non permanenti, per competenze che spesso sono pagate molto meglio nel settore privato.