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Tra Rai e Symbola, misteri eleusini e numeri in libertà in attesa dell’audizione dell’Ad Fuortes oggi ore 20

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Questa mattina presentazione dell’11ª edizione della ricerca “Io Sono Cultura” di Symbola e questa sera alle 20 prima audizione dell’Ad Fuortes in Commissione Vigilanza Rai. E 44 associazioni protestano…

Esiste un nesso sulle due notizie sulle quali ci soffermiamo oggi? Crediamo di sì, perché entrambe sono afferenti al deficitario “sistema informativo” della cultura e dei media del nostro Paese, che si caratterizza per fantasiose numerologie e molte zone d’ombra: la presentazione della 11ª edizione del rapporto “Io Sono Cultura” di Symbola e la prima audizione del neo Amministratore Delegato della Rai Carlo Fuortes di fronte alla Commissione di Vigilanza Rai presieduta da Alberto Barachini.

Questa mattina, stranamente via web, è stata presentata la undicesima edizione di una pubblicazione annuale che abbiamo avuto occasione di apprezzare ed al contempo criticare molte volte su queste colonne: lo studio realizzato da Symbola Fondazione per le Qualità Italiana, presieduta da Ermete Realacci, che è ormai una sorta di rituale appuntamento annuale, che si accompagna a quello promosso da Federculture e da Civita. Se su quest’ultimo abbiamo espresso apprezzamenti per l’accuratezza metodologica (vedi “Key4biz” del 21 giugno 2021, “Associazione Civita presenta la “Next Generation Culture”: per uno sviluppo digitale dei musei. Ma manca una policy di sistema”), altrettanto non riteniamo di poter purtroppo sostenere per quanto riguarda Federculture e Symbola. In effetti, in entrambi i casi si osserva un approccio metodologicamente debole ed una visione volutamente positiva ed ottimista. Entrambi guardano alle politiche del Ministro “pro tempore” sempre con occhi benevolente ed occhiali con lenti rosa: le criticità vengono eluse o comunque attenuate, e si rinnovano iniezioni di ottimismo.

In sostanza, Symbola più di Federculture vede il bicchiere sempre mezzo pieno, anzi per lo più pieno

Entrambi i rapporti propongono set di dati sui quali si potrebbero promuovere seminari tecnici di metodologia delle scienze sociali, come esempio di studi deboli e fragili e frammentari.

Inoltre, di anno in anno, entrambi gli studi chiamano a corte decine di operatori del settore ed esperti, nel tentativo di proporre un mosaico di pareri ed opinioni: ma, variando continuamente l’eletta schiera (è opportuno precisare che anche chi redige queste noterelle ha fatto estemporaneamente parte – come IsICult – di questi “opinionisti”, per Symbola nel 2011 e per Federculture nel 2009), emerge una grande frammentazione di opinioni e l’impossibilità di una lettura analitica diacronica.

Ancora una volta la retorica del Ministero della Cultura come maggiore dicastero “economico” d’Italia…

I numeri, i numeri, i numeri: anche questa mattina, per l’ennesima volta, il Presidente di Symbola Ermete Realacciha richiamato la ormai semi-mitica sortita di Dario Franceschini, allorquando insediatosi per la prima volta alla guida dell’allora Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo (febbraio 2014) sostenne che sentiva l’onore e l’onore di essere titolare del più importante “ministero economico” del Paese. Questo orgoglio ci siamo permessi di contestarlo tante volte anche su queste colonne, perché si pone a rischio di continua deriva economicista di una funzione sociale della cultura: strumento di estensione del pluralismo espressivo, strumento di coesione sociale, strumento di democrazia politica. L’economico deve essere subordinato al sociale, nella politica culturale, e non viceversa. 

Abbiamo già identificato, in un ancora mai scritta “storia della politica culturale italiana” (ci stiamo lavorando…), come questa “scoperta del mercato” la si debba ai Walter Veltroni (1996-1998) ed a Giovanna Melandri (1998-2001) e come, nel corso dei decenni, si sia assistiti alla continua deriva mercatista della cultura.

Rare le voci contrarie, e tra le poche quella di Tomaso Montanari. Anche con il grillino Alberto Bonisoli alla guida del Ministero (giugno 2018-settembre 2019) questo approccio non è cambiato. 

Dario Franceschini, questa mattina, ha nuovamente ringraziato Ermete Realacci, perché Symbola rinnova la dimostrazione della centralità anche economica della cultura: crediamo che questa interpretazione – per così dire – “materialista” non debba essere motivo di particolare orgoglio. 

Non è la quota percentuale del Prodotto Interno Lordo stimolata dal sistema culturale ad essere l’indicatore giusto: semmai, ci si dovrebbe domandare quanto il sistema culturale italiano contribuisce al benessere della collettività, che non può e non deve essere misurato esclusivamente con fatturati, ricavi, quantità di forza-lavoro

Questi indicatori – sia ben chiaro – sono interessanti ed utili, ma dovrebbero essere subordinati a ricerche e studi di natura qualitativa, di approccio sociologico, su come la cultura in Italia contribuisce al benessere spirituale del Paese, alla coesione sociale, all’estensione delle libertà identitarie e dei diritti culturali.

Nelle more, ci domandiamo se ha senso ri-produrre il solito set di dati di Symbola: male non fanno, certamente, se li si prende con prudenza, e se si ricorda che mischiano scientemente capre e cavolimele e pere.

Per esempio, enfatizzano quanto sia in crescita il settore dei videogame, senza rimarcare che esso è soltanto una piccola parte del settore del “software” che Symbola mette nel gran calderone, così come inserisce nel pentolone anche gli architetti, assimilandoli a creativi come i registi o i gli scrittori… 

Certo, il “perimetro” delle industrie culturali e creative può essere sempre più esteso, ma in questa gran confusione di attività finisce per rientrare di tutto.

E le rigide tassonomie dei controversi codici Ateco ingabbiano le attività del sistema culturale in una riduttiva logica merceologico-commerciale.

Con il solito tono entusiasta, Symbola ci vuole ricordare che “cultura e bellezza in Italia sono tratti identitari radicati nella società e nell’economia. Oggi, ad un anno e mezzo dallo scoppio della pandemia e in piena fase di ricostruzione e ripartenza, le industrie culturali e creative sono tra i settori più strategici per facilitare la ripresa economica e sociale italiana. Non solo perché i numeri dell’ultimo decennio dimostrano che parliamo di una fonte significativa di posti di lavoro e ricchezza. Ma anche perché sono un motore di innovazione per l’intera economia e agiscono come un attivatore della crescita di altri settori, dal turismo alla manifattura creative-driven. Ossia quella manifattura che ha saputo incorporare professionisti e competenze culturali e creative nei processi produttivi, traducendo la bellezza in oggetti e portando il made in Italy nel mondo”.

Va bene, ma forse – retorica ed orgoglio nazionalisti a parte – non sarebbe opportuno identificare le “fragilità” che pure il sistema ha, e che anche Domenico Sturabotti, Direttore di Symbola, nella sua presentazione, ha onestamente più volte citato (senza identificarle, però)?!

E che dire della funzione autopromozionale che il rapporto di Symbola sembra assumere da parte del partner Unioncamere e del principale finanziatore, la Regione Marche (Lega Salvini)?! In modo discretamente narcisistico, il Presidente di Unioncamere Andrea Prete ha colto l’occasione per ribadire che il “sistema camerale” italiano sta vivendo positivamente la propria riforma. E l’Assessore alla Cultura della Regione Marche Giorgia Latini ha enfatizzato quel che sta facendo la sua regione per stimolare il proprio tessuto culturale (la Regione con il maggior numero di teatri d’Italia, in proporzione alla popolazione, ha sostenuto). Questa mattina non è intervenuto il terzo sostenitore del rapporto, ovvero l’Istituto per il Credito Sportivo (Ics), presieduto da Andrea Abodi.

Questi i numeri sciorinati, in estrema sintesi, nel solito fuoco d’artificio: la “filiera” culturale e creativa si conferma comunque centrale all’interno delle specializzazioni produttive nazionali, grazie a 84,6 miliardi di euro di valore aggiunto prodotti e poco meno di 1,5 milioni di persone occupate; valori che, rispettivamente, incidono per il 5,7 % e 5,9 % di quanto complessivamente espresso dall’intera economia italiana e una capacità moltiplicativa pari a 1,8 (per 1 euro prodotto se ne generano 1,8 nel resto dell’economia) che sale a 2,0 per il patrimonio storico e artistico e a 2,2 per le industrie creative. Complessivamente quel che Simbola definisce il “Sistema Produttivo Culturale e Creativo” evidenzia un moltiplicatore per il 2020 pari a 1,8. Evitiamo commenti su questi “moltiplicatori”, perché la metodologia adottata per queste stime non è descritta in modo esaustivo, e ciò basti.

L’intera filiera culturale costituita avrebbe quindi un valore aggiunto di ben 239,8 miliardi di euro: 84,6 miliardi + 155,2 miliardi… 

Boom!, verrebbe da commentare con affettuosa ironia! Numeri in libertà, fuochi d’artificio che consentono di riempire pagine dei giornali, che si bevono questo dati come se fossero scientificamente validati.

Transeat.

Va peraltro segnalato che il rapporto di Symbola ha avuto oggi 4 agosto una presentazione “nazionale” ovvero ministeriale, perché a livello locale era già stato presentato da mesi (in particolare, il 5 maggio scorso, proprio nell’ambito della Regione Marche). Le presentazioni sono in effetti multiple ed itineranti, ed in ogni Regione vengono “estrapolati” i dati regionali, producendo simpatiche graduatorie…

E, a proposito di “fragilità del sistema”: come commentare che l’intervento conclusivo del Ministro Dario Franceschini questa mattina è stato interrotto sul più bello, perché… è saltato il collegamento?! Dopo rinnovati tentativi e diversi minuti di attesa, la moderatrice, l’architetto Paola Pierotti (partner di Ppan – Comunicazione e networking per il costruito), ha rinunciato, ed ha amaramente commentato come l’evento fosse stato funestato da una sfavorevole… “bassa banda”. Con buona pace della retorica sull’Italia digitalizzata a banda larga.

A proposito di “fragilità” del sistema culturale italiano: il lavoro di analisi critica del collettivo “Mi riconosci? Sono un professionista dei beni culturali”

Riteniamo, a proposito delle “fragilità”, sarebbe interessante piuttosto un confronto del Ministro Dario Franceschinicon quei soggetti che non fanno parte del coro: ci limitiamo a segnalare il lavoro degli attivisti del collettivo “Mi riconosci? Sono un professionista dei beni culturali”, ed in particolare la loro contro-manifestazione di protesta in occasione dell’assai “coreografico” G-20 della Cultura celebrato la settimana scorsa in quel luogo-simbolo che è il Colosseo… 

Non è ancora stato oggetto di una presentazione ufficiale e di un pubblico dibattito il volume, fresco di stampa, edito da Derive&Approdi a fine maggio, “Oltre la grande bellezza. Il lavoro nel patrimonio culturale italiano”, curato da Leonardo Bison e Marina Minniti (177 pagine, 17 euro): sarebbe veramente interessante un confronto (sicuramente destinato a divenire uno scontro aspro, ma ben venga il massimo della dialettica, in materia di politica culturale) degli autori – ovvero del collettivo di professioniste e professionisti nati nel 2015 – con il Ministro Dario Franceschini e con la Sottosegretaria Lucia Borgonzoni

Ed in materia di “lavoro” nel sistema culturale italiano, sarà bene presto tornare, dato che, a fronte di un sistema informativo ancora fallace (vedi supra, il problema non riguarda soltanto la fonte Unioncamere per Symbola, ma Istat anche), si registra che sono in gestazione in Parlamento proposte di legge che vorrebbero istituire un altro… “osservatorio” (un altro ancora?!): un “Osservatorio sulle Industrie Culturali e Creative” (di fatto sarebbe – più esattamente – un Osservatorio sul Lavoro nelle Industrie Culturali e Creative), come se i nostri quasi mille tra deputati e senatori non sapessero che presso il Ministero della Cultura è ancora in qualche modo attivo (sarebbe attivo, almeno sulla carta e per quel poco che riesce a fare) un Osservatorio dello Spettacolo (istituito con la cosiddetta “legge madre” del 1985 sul Fondo Unico dello Spettacolo alias Fus), che è stato depotenziato e definanziato nel corso dei decenni… Invece di dotare una struttura già esistente delle risorse economiche e professionali indispensabili per il suo buon finanziamento, si crea una nuova struttura: da non crederci!

La confusione cresce, le aree grigie permangono, numerologie fantasiose si rinnovano… E 44 associazioni del sistema culturale protestano: palliativi che non affrontano le fragilità strutturali

E che dire della posizione critica, molto critica – incredibilmente non ripresa da nessuna testata giornalistica “mainstream” – assunta da ben 44 associazioni del sistema culturale italiano (sul versante creativo, perché su quello imprenditoriale si assiste invece al silenzio benevolente di Confindustria CulturaAnicaApa ed altri ancora)?!

Il 12 luglio 2021 queste 44 associazioni (dicesi quarantaquattro, in rappresentanza di decine di migliaia di lavoratori) hanno dichiarato: “da più di un mese, il Ministero della Cultura parla di riforma storica e di rivoluzione del settore, lo ha fatto quando è stato presentato il Dl Sostegni Bis e lo ha fatto quando è stato approvato il disegno di legge per la riforma del codice dello spettacolo. Entrambe le volte dal ministero ci hanno tenuto a sottolineare che a queste misure si è giunti “attraverso l’interlocuzione costante con gli operatori del settore e il dialogo costruttivo intessuto con le parti sociali”. Se da un lato è vero che in tanti siamo stati impegnati negli ultimi mesi in una lunga serie di incontri indetti dal Ministero, e qualche volta persino con il ministro stesso, dall’altro ci dispiace dover puntualizzare in questa sede che le riforme anticipate in pompa magna non mostrano di avere ascoltato le nostre proposte e le osservazioni dell’intero settore”.

Queste associazioni lamentano una sorta di “politica spettacolo” da parte del Ministero: presunto coinvolgimento “dal basso”, ma processi decisionali nuovamente assunti “dall’alto”. 

Ed anche queste associazioni segnalano le “fragilità strutturali” del sistema culturale nazionale: “al contrario ci troviamo oggi, dopo mesi, a ribadire il nostro disappunto nei confronti di una serie di palliativi che non contribuiranno a cancellare le fragilità strutturali che hanno letteralmente martoriato il settore durante la pandemia, misure che continuano a non affrontare in maniera organica i problemi del lavoro nel settore culturale e creativo”.

Seguono le 44 firme (che crediamo importante riportare, a conferma di quanto plurale e variegato sia il panorama della rappresentatività del lavoro culturale in Italia): A.I.A. – Artisti Italiani Associati; ACEP – Associazione Compositori Editori Produttori; ACMF – Associazione Compositori Musica per Film; AIDAC – Associazione Italiana Dialoghisti Adattatori Cinetelevisivi; A.M.A.M.I. Associazione Manager e Agenti Musicali Italiani; ANAC – Associazione Nazionale Autori Cinematografici; ANART – Associazione Nazionale Autori Radiotelevisivi e Teatrali; ANPAD – Associazione Nazionale Produttori Autori Deejay; ARIACS – Associazione dei Rappresentanti Italiani di Artisti di Concerti e Spettacoli; ASAE – Associazione Sindacale Autori Artisti ed Editori; ASSOARTISTI – Confesercenti – Associazione Italiana degli Artisti e degli Operatori dello Spettacolo; Associazione MusinapoliASSOLIRICABAULI IN PIAZZA;  B.u.l.l.s. (Brescia Unita Lavoratori Lavoratrici dello Spettacolo); CAFIM ITALIACAM (Coordinamento Associazioni Musicisti); CENDIC – Centro Nazionale di Drammaturgia Italiana Contemporanea; FAS (Forum Arte e Spettacolo); FEDERAZIONE AUTORIFEDERAZIONE NAZIONALE DEL JAZZ ITALIANOFNAS – Federazione Nazionale delle Arti in Strada; Forum Nuovi CirchiITAL SHOW;  L’ASSOCIAZIONE – Autori Compositori Interpreti Esecutori; LA MUSICA CHE GIRAMIA (Musica Indipendente Associata); MIDJ – Associazione Musicisti Italiani di Jazz; MIG – Movimento Musicisti Indipendenti per Genova; NOTE LEGALIPCP (Presidi Culturali Permanenti); PIU (Promoter Indipendenti Uniti); R.A.C. Regist_ a confronto; RAAI Registro Attrici e Attori Italiani; R.C.A.A.P.C. Registro Categoria Attrici Attori Professionisti Campani; SHOWNET – Rete di imprese del mondo dello Spettacolo; Slow Music ETSSNAC – Sindacato Nazionale Autori e Compositori; UNA Unione Nazione Autori; UNCLA – Unione Nazionale Compositori Librettisti e Autori; UNICA – Cantautrici Unite; UNIONE OBIS – Associazione Orchestre Ballo Italiano e Spettacolo;  UNISCA (Unione Nazionale Settore Creativo e Artistico); UNITA (Unione Nazionale Interpreti Teatro e Audiovisivo)…

Si attendono sviluppi, di fronte a questo grido di lamento…

Grande attesa per l’audizione di Carlo Fuortes questa sera alle 20 in Vigilanza Rai

L’attesa è altrettanto intensa rispetto al “mondo Rai”: il neo Amministratore Delegato Carlo Fuortes si muove con decisione, anzi con decisionismo. 

Anzitutto, ha deciso di mettere mano ai conti, azzerando il deficit delle stime previsionali ereditate dal suo predecessore Fabrizio Salini, che segnalavano un risultato negativo di 57 milioni di euro. Ha quindi “tagliato” budget in ogni dove, in quel che tecnicamente s’usa definire “riassestamento”. L’Ad, alla fine della riunione del Consiglio di Amministrazione di mercoledì scorso 28 luglio, ha dichiarato: “È una cosa assolutamente inaccettabile per un’azienda che vive grazie al canone versato da milioni di cittadini. Come amministratori dobbiamo avere il massimo rispetto di questo denaro pubblico. I conti della Rai devono essere sempre in utile, o come minimo, in pareggio… Ho dunque proposto al CdA una variazione al Budget 2021 che riporta i conti in pareggio”.

Draconiano?!

Con quale criterio ha usato le… forbici?! 

Non è dato sapere, qualcuno ha evocato i misteri eleusini: quel che si sa è che i tagli non sono stati lineari, ma mirati, direzione per direzione, struttura per struttura, e percentualmente differenziati.

Come sia riuscito, nell’arco di pochi giorni, a mettere in atto una cura dimagrante così sartoriale è veramente un mistero, per quanto Fuortes sia uomo di dimostrate capacità nel gestire le criticità di bilanci. 

I suoi non estimatori sostengono che Rai è macchina policentrica assai più complessa del Teatro dell’Opera di Roma. 

La Rai non è il Teatro dell’Opera: rapporto di 56 ad 1 per i ricavi, di 27 ad 1 per i dipendenti

In effetti, anche soltanto dimensionalmente i rapporti sono ben diversi: se nel 2020 Rai ha avuto ricavi complessivi per 2.509 milioni di euro, il Teatro dell’Opera di Roma (bilancio approvato il 21 giugno 2021) ha registrato un valore della produzione complessivamente di 45 milioni. Il rapporto tra consolidato Rai e Teatro dell’Opera è di 56 a 1. Per quanto riguarda i dipendenti, si passa dai 12.835 di Rai ai 483 dipendenti del Teatro dell’Opera (calcolati col criterio “full time equivalent” alias “fte”): il rapporto è, in questo caso, di 27 (Rai) ad 1 (TdO).

Non è l’aspetto dimensionale dell’esperienza di Fuortes che, in verità, colpisce (qualcuno ricorda che anche Antonio Campo Dall’Orto – Dg dal 2014 al 2017 – veniva da una impresa assai più piccola di Rai, quale era Mtv Italia… e si è rotto le ossa in itinere), ma il processo decisionale messo in atto in questi primi giorni: autocratico e decisionista, parrebbe. 

Basti osservare che direttori apicali Rai hanno appreso dei “tagli” al budget previsionale 2021 attraverso una lettera via email.

Fuortes ha anche imposto ai membri del Consiglio di Amministrazione di Viale Mazzini di non avere contatti diretti con la dirigenza aziendale: una richiesta veramente “marziana”, per come Rai storicamente è stata. E forse anche un po’ lesiva delle libertà dei consiglieri di amministrazione…

Nell’assemblea prevista per domani 5 agosto, verranno sicuramente confermate dagli azionisti (Mef e Siae) le deleghe che sono state assegnate dal Cda del 28 luglio alla Presidente Marinella SoldiRelazioni internazionaliRelazioni istituzionali, con particolare riferimento alla transizione digitale, e in ambito di Corporate e Social Responsability, oltre alla supervisione delle attività di controllo interno. Si tratta di un “perimetro” un po’ più ampio di quello che il precedente Cda aveva assegnato al Past President Marcello Foa, ma che conferma che tutto il potere di gestione aziendale è sostanzialmente nelle mani dell’Amministratore Delegato.

Grande attesa, quindi, per l’audizione parlamentare di questa sera, dato che non è ancora noto – al di là della cooptazione da parte del Presidente Mario Draghi, che è senza dubbio segnale politico fondamentale – quale “idea di Rai” ha l’Ad Carlo Fuortes

In verità, non ci risulta che nemmeno il Premier Mario Draghi si sia mai espresso sulla Rai, e quindi questa sera forse Fuortes parlerà in qualche modo anche “a nome” di Draghi. 

L’attesa è comprensibilmente grande.

Segui qui sul sito della Camera dalle ore 20:00 l’audizione della presidente, Marinella Soldi, e dell’amministratore delegato della Rai, Carlo Fuortes.

Clicca qui per il rapporto 2020 della Fondazione Symbola “Io Sono Cultura”, (ri)presentato il 4 agosto 2021.