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Tlc tra presente e passato. F. De Leo: ‘Open Fiber è la Tesla delle reti. Oggi serve creare valore con nuove idee e puntare al futuro’

Consueta intervista del lunedì con Francesco De Leo, Executive Chairman della Kauffman & Partners di Madrid. Un appuntamento ormai atteso da tutti gli addetti ai lavori del settore, ma che questa volta abbiamo voluto orientare sui temi del suo intervento alla Terza Conferenza internazionale 5G Italy e il Recovery Fund, che si è tenuta a Roma nei giorni 1-2-3- dicembre scorsi. Si è parlato anche in altri panel delle contaminazioni tra i settori delle tlc, energia e automotive e si ha la sensazione che solo un cambio di pelle sostanziale può venire in soccorso ai tradizionali operatori di telecomunicazioni che faticano a trovare un nuovo modo di guardare al loro modello di business.

Ne è scaturita una intervista di prospettiva strategica molto corposa, che abbiamo deciso di dividere in più parti. Oggi vi presentiamo la prima di esse.

Key4Biz.   Ci stiamo avviando verso la fine dell’anno. Quali sono le attese e le aspettative rispetto al 2021?

Francesco De Leo.   C’è ancora molta incertezza sui mercati finanziari e non è chiaro quale potrà esserne l’evoluzione nel 2021. È possibile che ci troviamo difronte ad un “biforcazione” storica: da un lato una eventuale terza ondata della pandemia legata al COVID-19 potrebbe affossare le economie dell’Eurozona, ma al contempo l’accelerazione della trasformazione digitale, che è sotto gli occhi di tutti, può essere il “catalyst” di un cambio di passo senza precedenti. Tutto ciò ci spinge nell’attesa della nascita e dell’affermazione di nuovi player, nuovi protagonisti, nella tecnologia su scala globale.

Key4Biz.   Quale fra i due scenari ritiene il più plausibile?

Francesco De Leo.   In realtà, i due scenari potrebbero coesistere per qualche tempo, come avviene in tutte le fasi di trasformazione. E questo comporterà una maggiore attenzione da parte degli investitori e dei mercati, che diventeranno più selettivi nell’affrontare quella che si annuncia come una delle più importanti “market rotation” della storia, con la migrazione da settori maturi, verso nuove asset class.

Key4Biz.   E lei personalmente verso quale scenario propenderebbe?

Francesco De Leo.   Sono convinto che ci troviamo di fronte alla più grande opportunità di creazione di valore che mai abbiamo avuto nella storia degli ultimi 150 anni. Fra la fine del 1800 egli inizi del 1900 ci furono 50 anni in cui tre piattaforme tecnologiche determinarono l’evoluzione del mondo come lo conosciamo ai giorni d’oggi: (1) il motore a combustione interna (2) l’elettricità (3) e lo sviluppo del sistema finanziario. E oggi, come mai avvenuto in precedenza ci troviamo di fronte alla convergenza fra (1) energia, (2) telecomunicazioni che ha il proprio catalyst (3) nell’automobile, e alla progressiva (4) digitalizzazione dei servizi finanziari (fintech), grazie alla diffusione della telefonia mobile nel mondo.

Key4Biz.   Qual è la differenza rispetto ad allora?

Francesco De Leo.   È la velocità di diffusione delle tecnologie su scala globale e la possibilità, per gli attori più attrezzati, di innescare azioni di “blitzscaling”, diventando player globali in 2 massimo 3 anni: tutto questo non succedeva in passato. Ma c’è una derivata secondaria, forse ancora di magnitudo più rilevante rispetto a quanto succedeva fra il 1880 e il 1929: la velocità di “ibridizzazione” delle tecnologie e la capacità di ognuna di queste 4 piattaforme (energia, automotive, telco e fintech) di contaminare le altre e di scatenare ondate successive di innovazione.

Key4Biz.   Eppure si registra molta preoccupazione da parte dei grandi investitori, anche per l’instabilità geopolitica e la volatilità dei mercati. È proprio sicuro che “andrà tutto bene”, come si diceva forse un po’ a sproposito all’inizio della pandemia?

Francesco De Leo.   In una fase di rapida trasformazione, non ha molto senso guardare alle fluttuazioni quotidiane dei corsi di Borsa o ai risultati del prossimo trimestre. Questo modello di analisi ha portato ad un orientamento mirato ai risultati e alle performance di breve termine, trimestre dopo trimestre: tutto ciò non ha consentito di cogliere le trasformazioni che oggi si stanno affermando, senza lasciare margini a chi è ancorato alle legacy ereditate dal passato. Ciò che accomuna i 50 anni prima del 1929 e la fase attuale è l’inversione dei tassi di rendimento (yield inversion): i tassi a breve sono più alti dei tassi a medio-lungo termine. Per alcuni osservatori ci troviamo di fronte agli eventi che culminarono nel 1929, con l’aggravante che i meccanismi di contagio dei mercati finanziari sono molto più rapidi che in passato, per la crescente interconnessione dell’economia globale. Personalmente, sono di avviso contrario: l’inversione dei tassi è dovuta alla constatazione che i player e i settori che si affermeranno da qui ai prossimi anni presentano un profilo di rischio inferiore alle classi di investimento attualmente presenti nei listini dei mercati. I nuovi attori sostituiranno quelli che li hanno preceduti e che non hanno saputo adattarsi ai cambiamenti: il “new normal” può innescare un “unlocking” di valore senza precedenti. Ma, per chi è rimasto indietro, sarà già tanto non precipitare verso una probabile estinzione darwiniana.

Key4Biz.   E quindi, che cosa si attende?

Francesco De Leo.   Sono convinto che il mondo dell’energia e la trasformazione del settore automotive siano il trigger di questa trasformazione dell’economia globale, che, come sottolineavo prima, non ha precedenti nella storia. Il cambio di paradigma che stiamo registrando nell’automotive è dimostrato dalla reazione dei mercati finanziari: oggi Tesla vale più di 500 miliardi di dollari, e vi sono in Cina player che definiamo “borne electric” che presto si porteranno su livelli comparabili di capitalizzazione. Uno dei leader indiscussi agli occhi dei mercati e degli osservatori è il Gruppo ENEL: è stato in grado di raddoppiare il suo valore di borsa negli ultimi 5 anni e ci sono margini perché continui ad essere uno dei protagonisti su scala globale, in termini di capitalizzazione per i prossimi anni. Se analizziamo le iniziative in corso, il footprint geografico, il livello di innovazione e i nuovi business in cui ENEL ha saputo affermare la sua leadership negli ultimi 3-4 anni, sono dell’avviso che ad oggi ci siano significativi margini di ulteriore apprezzamento del titolo. Con la sua presenza in Spagna (con Endesa) ed in America Latina, è leader in 32 Paesi: è altamente possibile che il valore di ENEL sia a questi livelli ancora ampiamente sottostimato. In prospettiva, è destinata a superare i 100 miliardi di euro di capitalizzazione e di questo passo, nel prossimo triennio può raddoppiare il proprio valore in borsa, entrando a fare parte di quel ristretto club di corporation con una quotazione superiore ai 150 miliardi di euro. Se sarà così, rappresenterà un risultato unico a livello globale, che costituisce di per sé la chiave con cui l’Italia può giocarsi la partita di affermare una posizione di leadership tecnologica, in un momento di profonda trasformazione dell’economia globale. E vorrei sperare che questo faccia piacere a tutti nel nostro Paese, dal momento che ENEL è stata in grado di accettare la sfida di un cambio di paradigma senza precedenti. Ha vinto una partita importante, non era scontato e la sua crescita può progredire ulteriormente.

Key4Biz.   D’ accordo. Ma allora, scendendo più in dettaglio, quali sono le implicazioni per il settore delle telecomunicazioni?

Francesco De Leo.   È una grande opportunità nella misura in cui le telco europee, ed in particolare gli incumbent, sapranno offrire risposte credibili ai mercati. Occorre che siano in grado di uscire dalla spirale del debito, più di 500 miliardi di euro, con un rating prossimo al livello di junk bond: stanno scontando un ventennio in cui l’assuefazione alle pressioni del debito ne ha profondamente limitato le ambizioni in termini di innovazione. Ritrovare un percorso d’inversione di tendenza non è immediato, né semplice: gli investitori attendono da tempo un’inversione di rotta, con un cambio di strategie e di management. Il settore ha già visto, dal 2015 in avanti, l’affermarsi di nuovi operatori, come le compagnie di gestione delle torri, che con il loro focus e capacità di esecuzione hanno raccolto il favore dei mercati. In una certa misura, il processo di de-verticalizzazione è già iniziato e, con gli effetti della pandemia, ha subito un’ulteriore accelerazione. Pensare di ritornare al passato è fuori dal tempo. Prima si prende atto del “new normal”, meglio è per tutti gli stakeholder coinvolti. Non possono essere solo le maestranze a dover pagare il conto dei ritardi accumulati in questi anni.

Key4Biz.   Ma è così sicuro che la de-verticalizzazione sia il trend del prossimo futuro?

Francesco De Leo.   Non è il trend del prossimo futuro, è già il trend del presente. Due casi su tutti: Cellnex ed Open Fiber. Hanno 5 caratteristiche fondamentali in comune, che non si riscontrano negli incumbent e che gli investitori hanno apprezzato e continueranno a premiare:

(1) sono operatori indipendenti

(2) neutrali

(3) non verticalmente integrati

(4) senza legacy ereditate del passato e

(5) con possibilità ancora tutte da esplorare di blitzscaling su scala globale.

Aggiungo, che per entrambi questi operatori, su due versanti diversi del mondo telco, quello della telefonia mobile da una parte, e quello delle reti ultra-broadband dall’altra, la scelta di fondo è stata quella di imporre soluzioni tecnologiche di avanguardia, che hanno contribuito ad una riduzione significativa del carbon footprint nella gestione delle reti. Difficile, per molti degli incumbent, se non impossibile, riuscire a portarsi su questi livelli di eccellenza, considerata la pesante eredità infrastrutturale legata alle reti in rame.

Key4Biz.   Quali sono le opportunità di ulteriore crescita per i nuovi operatori infrastrutturali?

Francesco De Leo.   Provate a pensare che appena il 7 maggio 2015, quando Cellnex viene quotata alla Borsa di Madrid, si trova ad avere in gestione le 7.737 torri, acquisite qualche mese prima da Wind in Italia, e all’incirca 6000 torri di telefonia mobile in Spagna, acquisite in precedenza da Telefonica, nello specifico nelle aree rurali. Oggi, a soli 5 anni di distanza, con l’acquisizione delle torri di telefonia mobile di Hutchison per 10 miliardi di euro, si trova ad avere in portafoglio 103.000 torri con una presenza paneuropea e una leadership indiscussa nell’indoor coverage (DAS, Distributed Antennas Systems): quasi 10 volte le torri in gestione al momento della quotazione. E questo spiega perché il valore di Borsa è passato dai 3,2 miliardi di euro la lancio dell’IPO (Initial Public Offering) ai 25 miliardi di euro attuali. Per Goldman Sachs la capitalizzazione target può arrivare vicina ai 40 miliardi di euro. Considerati i tassi di crescita attuali, la leadership in ambito reti 5G mirate all’automotive e alla guida autonoma, e non ultimo l’impegno del management in termini di sostenibilità, Cellnex è leader indiscussa a livello europeo di una nuova asset class, i cui margini di sviluppo sono ancora tutti da disegnare. E tutto questo in meno di 5 anni.

Key4Biz.   Lei ha indicato anche Open Fiber, come un player in grado di ripercorrere la strada che ha portato al successo Cellnex, in modo così dirompente. Ma un conto sono le torri di telefonia mobile, un conto le reti ultra-broadband. Non trova?

Francesco De Leo.   Open Fiber è un caso di indiscusso successo nell’evoluzione delle reti di telecomunicazioni in Europa. In un paese come l’Italia che, fino a pochi anni fa, si trovava in una posizione di retroguardia in Europa, Open Fiber è stata in grado di mettere in moto la digitalizzazione del Paese con la tecnologia più avanzata oggi disponibile (FTTH, Fiber To The Home): oggi sono 6,7 milioni le unità abitative collegate in fibra e a breve termine diventeranno 10 milioni.  Nessun operatore al mondo è stato in grado di raggiungere questi risultati in così breve tempo. È vero che ci sono lamentele da più parti sui ritardi nell’esecuzione dei piani di rollout: ma non si può non tenere in conto che, in soli 4 anni, Open Fiber si è affermata come il maggiore operatore di reti in fibra, indipendente, neutrale e non verticalmente integrato in Europa. Alle valutazioni attuali potrebbe valere, stando anche alle indiscrezioni di stampa, fra i 6 e i 7 miliardi di euro. Ma se guardiamo alle proiezioni, e considerato che, come già annunciato da ENEL (azionista di riferimento, assieme a CDP), l’obiettivo è quello di esportare il modello Open Fiber anche all’estero, in molti dei Paesi in cui ENEL già si trova ad operare in posizione di leadership, ci sono tutti i presupposti per attendersi il raddoppio del valore “potenziale” dai 6-7 miliardi di euro attuali a 14-15 miliardi, già nei prossimi 12-18 mesi. Non mi sentirei di escludere un percorso come quello che è stato avviato da Cellnex, che ha saputo moltiplicare per 8 volte la propria capitalizzazione dal momento del suo IPO, in meno di 5 anni.

Key4Biz.   Nelle ultime settimane sono emerse nei confronti di Open Fiber voci critiche da parte di più osservatori, anche espressione dell’attuale Governo, come nel caso di Infratel. Ma, quali sono a suo avviso, i criteri con cui si dovrebbe dare una valutazione di Open Fiber?

Francesco De Leo.   Open Fiber non è differente da Tesla, chiaramente non in termini di settore, ma per come sta contribuendo a creare una nuova asset class. Guardi, solo due anni fa, in molti dubitavano della capitalizzazione di Tesla. Alla prova dei fatti sono stati smentiti. Tesla da sola vale 500 miliardi di euro, più di quanto non valgano GM (General Motors) e Toyota, messe insieme. Non si possono utilizzare gli stessi criteri adottati per valutare un incumbent tradizionale: non è corretto dal punto di vista metodologico, né sotto il profilo dell’analisi finanziaria. Quando parliamo di Open Fiber, stiamo guardando ad un player che, come Tesla, non ha legacy del passato e opera con un modello open source: non ha nulla a che vedere con gli incumbent verticalmente integrati, e non deve fare i conti con il retaggio di una rete in rame, che in prospettiva deve essere oggetto di decommissioning. Il prezzo dell’azione di un incumbent riflette per il 20% il futuro potenziale di generazione di cash flow, e per l’80% la generazione di cassa attuale. Nel caso di Open Fiber vale esattamente il contrario: il prezzo è dato per il 20% dal cash flow attuale, e per l’80% dalla proiezione dei futuri flussi di cassa legati all’esportazione del modello di business e all’ingresso in nuovi mercati verticali, come l’automotive. I mercati finanziari riconoscono che il valore prospettico di Open Fiber, grazie al “parenting advantage” di ENEL, può crescere più che proporzionalmente, per il ruolo di leadership che proprio ENEL ha saputo conquistare agli occhi degli investitori internazionali, ampliando i mercati target dove già sta operando.

Key4Biz.   D’accordo, tutto questo è plausibile e lei fa una valutazione ambiziosa di Open Fiber. Di chi sono i meriti e perché già oggi Open Fiber può ambire ad un valore prossimo ai 14-15 miliardi di euro?

Francesco De Leo.   In parte tutto è questo è dovuto all’accelerazione della convergenza fra energia e telecomunicazioni. Non era scontato ed in una certa misura anche difficilmente prevedibile. Ma un ruolo chiave l’avuto quello che abbiamo specificato come “parenting advantage”. Occorre dare merito al top management di ENEL di averci creduto in anticipo sui tempi: non è semplice, e solo ex-post se ne riconosce il valore. Ma questo è proprio ciò che hanno apprezzato i mercati: l’unicità della visione strategica che anticipa i tempi, la ferrea disciplina in termini di esecuzione e, non meno importante, i risultati portati a casa. Quando si guarda al campo degli incumbent nelle telco europee, si direbbe che ci sia un appiattimento generalizzato: le strategie comunicate ai mercati sembrano fatte con “un copia e incolla” (cut and paste). Nella maggior parte dei casi non emergono elementi distintivi, come se gli incumbent europei seguissero lo stesso play-book, forse anche perché si affidano, generalmente, agli stessi consulenti e agli stessi investment banker: il “pensiero unico” non porta mai lontano, nemmeno in economia. Nella media, il progressivo declino verso una mediocrità diffusa in termini di analisi e strategie non ha portato a nulla di buono, ma alla difesa ad oltranza dello status-quo. Gli investitori si sono stancati di attendere un segnale forte di cambiamento e quindi rivolgono il loro favore altrove. Farebbero bene a rileggersi “Good Strategy/Bad Strategy” di Dick Rumelt: forse ne avranno il tempo durante le vacanze natalizie.

Key4Biz.   Si stenta a credere che sia una questione solo di “bad strategy” e “poor execution”. Si ha la sensazione che lei abbia qualcosa in serbo che ancora non ci dice…

Francesco De Leo.   Ha ragione, i problemi strutturali stanno altrove. Ci sono 4 piattaforme di innovazione in cui le telco europee hanno accumulato un ritardo, in una certa misura preoccupante: (1) AI, Artificial Intelligence, (2) Blockchain, (3) Deep Learning e (4) Cloud di nuova generazione.

Se non si trovano riscontri di iniziative puntuali in queste 4 aree di innovazione, come priorità del management, è difficile che gli investitori si possano convincere di un possibile rilancio. Un esempio eclatante è la sfida del cloud: le telco europee, o almeno alcune di queste, hanno inseguito la ricerca di un’alleanza con Google. Non è semplice individuarne le ragioni, ma è sembrata più una scorciatoia per un facile annuncio a mezzo stampa, che non una strategia deliberata di creazione di valore. L’accelerazione dell’elettrificazione del settore auto e l’evoluzione delle reti IoT (Internet of Things) vedono le aziende del settore dell’energia in una posizione più in linea con il futuro verso cui stiamo andando a passi veloci. Il cloud sta cambiando rapidamente architettura e tecnologie abilitanti. I problemi di latency nella guida autonoma stanno portando l’intelligenza alla periferia delle reti, come dimostrato dall’evoluzione dell’edge computing. Avere seguito Google in un modello di cloud centralizzato è stato un errore: la struttura, l’architettura e la distribuzione geografica dei data center di nuova generazione va in tutt’altra direzione. Può anche essere che sia stato un modo per Google di confinare in un angolo le telco europee, relegandole ad una posizione di ritardo strutturale.

Key4Biz.   Ma è proprio sicuro di questo? È sicuro che la partita si giochi sul rapporto tra centro e periferia o, se vuole, su una diversa architettura della struttura della rete?

Francesco De Leo.   Non è un caso che analisti e investitori oggi si trovino più allineati con gli attori di punta nel settore dell’energia che, per storia e competenze acquisite nel tempo, sono in grado di offrire più garanzie nel processo di rollout di una struttura più granulare di data center “leggeri”, sia nelle aree metropolitane che in quelle rurali. È un dato di fatto che la rete di distribuzione dell’energia è più granulare e diffusa come “geographic reach” di quanto non siano le reti di telecomunicazione e che il management di un’azienda elettrica è più allenato da generazioni ad affrontare questi problemi. È abbastanza anomalo, e per certi versi sorprendente, che i consigli di amministrazione dei principali incumbent non abbiano colto questa “contradictio in terminis” e non vi abbiano posto rimedio: il futuro non è delle reti centralizzate, ma dell’egde computing e dei data center “leggeri”, collocati alla periferia delle reti. Se non si affronta questa sfida infrastrutturale, non sembra plausibile che gli incumbent siano in condizione di giocare un ruolo di leadership: e questo è un problema che deve essere risolto, tempestivamente.

Key4Biz.   E quindi quali sono le attese, se mi permette, tornerei alla domanda di partenza, per chiederle che cosa è in previsione per il 2021?

Francesco De Leo.   Il 5G può essere il “trigger” che consente ai principali operatori in Europa di recuperare una traiettoria di crescita. Ma è possibile che sia l’ultima chiamata per molti degli incumbent. Chi rimarrà indietro, non avrà molte chance di rimanere in corsa e, da una prospettiva di consolidamento del settore, si passerà rapidamente ad una stagione di dismissioni frettolose (asset disposal), dettate più dalla pressione del debito accumulato che non da una visione industriale, con il rischio che serviranno solo per pagare il bonus di fine anno a banchieri ed executive. Per certi versi i mercati si sono stancati di aspettare: ci si attendeva da più parti l’inizio di un processo di consolidamento cross-border che non c’è stato, perché a tutti gli effetti hanno prevalso gli interessi di parte e le pressioni dei singoli governi nazionali sul tema della governance. Si rischia nei prossimi mesi che il mercato europeo sia affollato da operazioni di dismissione che andranno a creare un eccesso di offerta, che con tutta probabilità porterà ad una valutazione al ribasso del prezzo degli asset oggetto di dismissione: a questi prezzi e in queste condizioni di contesto ormai è un buyers’ market, e i consigli di amministrazione delle telco avranno responsabilità precise che saranno sottoposte al giudizio del tempo. Gli unici forse a beneficiarne saranno i fondi di Private Equity, con buona pace delle migliori intenzioni della Commissione Europea e dei singoli governi di assistere ad una reale svolta, dopo anni di attese andate deluse. Senza un cambio di passo l’Europa non può recuperare il treno dell’innovazione, come è avvenuto con la creazione del GSM in un ormai troppo lontano passato. Sembra ormai trascorsa un’epoca giurassica: ma a quel tempo, al vertice delle telco c’era una leadership di qualità diversa, eccellenze assolute che si sono colpevolmente smarrite negli anni.

Key4Biz.   E quindi, in sintesi, quali sono le proposte?

Francesco De Leo.   Per rilanciare il settore nel suo complesso, e puntare al 5G come acceleratore dei processi di trasformazione del settore, c’è a mio avviso una sola strada percorribile. E questa strada è la sterilizzazione, almeno parziale, del debito del settore telco su scala europea. L’assillo del debito ha, infatti, progressivamente determinato un orientamento ostinatamente “risk averse” da parte dei management team, proprio nel momento in cui spingere l’innovazione costituisce, agli occhi dei mercati, l’antidoto più efficace per ridurre il profilo di rischio con cui vengono classificati gli incumbent. In un’epoca che registra l’inversione dei tassi di rendimento dal breve al lungo termine (yield inversion), le telco europee si trovano schiacciate in un angolo, da cui possono uscire solo con soluzioni “out of the box”. Gli azionisti si attendono risposte e hanno dimostrato, temo ancora per poco tempo, una loro disponibilità. Ma è probabile che le resistenze del management costituiranno, come sempre, il principale ostacolo al cambiamento. Presto, molto presto, verosimilmente già a partire dalla prossima primavera (Q1 2021), si comprenderà chi ha le chance di rimanere in gioco e chi no. Fino a quel momento si navigherà a vista, nell’incertezza e nella volatilità che caratterizzano i mercati. In una battuta potremmo rivivere i “Giorni di un Futuro Passato”, per dirla con una citazione che i cinefili più attenti sapranno apprezzare.

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