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Tim, l’ad Pietro Labriola atteso al varco da Vivendi

Sotto l’occhio vigile del primo azionista Vivendi, Tim ha convocato per oggi una runione del consiglio di amministrazione ad alta tensione, per esaminare le due offerte migliorative per la rete fissa da parte di CDP e Macquarie da un lato (19,3 miliardi) e KKR dall’altro (19 miliardi più 2 miliardi in caso di fusione con Open Fiber). Lo scrive oggi l’AFP, la principale agenzia di stampa francese, aggiungendo che la posizione dell’amministratore delegato Pietro Labriola, nominato a gennaio 2022 con il sostegno di Vivendi, appare oggi molto indebolita nel momento in cui decisioni cruciali per il futuro dell’azienda sovrindebitata si impongono.

Il colosso francese dei media ha considerato come un casus belli l’ennesimo tentativo di prendere tempo e di rinviare il testa a testa dei due concorrenti, CDP-Macquarie da un lato e il fondo americano KKR dall’altro, chiedendo di rivedere al rialzo la loro offerta.

“E’ chiaro che si sono persi venti preziosi mesi per discutere di offerte chiaramente respinte dal mercato”, aveva detto una fonte vicina a Vivendi dopo l’assemblea generale degli azionisti di Tim, che aveva bocciato il nuovo sistema di remunerazione previsto per l’ad.

Soltanto il 42,5% del capitale rappresentato in assemblea ha votato a favore del meccanismo di bonus per gli anni 2023-2025, il 10,6% dei voti contrari e il 46,8% degli azionisti si è astenuto, compresa Vivendi.

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Questa forte astensione “è un chiaro segnale del rifiuto” del piano strategico proposto da Labriola, che mira a vendere la rete per ridurre l’ingente debito dell’operatore (circa 25 miliardi netti), ha assicurato la fonte vicina a Vivendi.

Offerte ritenute insufficienti

Se all’inizio il piano era stato sostenuto da Vivendi, le cose sono progressivamente cambiate fino alla bocciatura delle due controfferte ritenute largamente insufficienti.

“È la dimostrazione della totale assenza di una governance adeguata” ed è necessario “un cambio di rotta”, secondo questa fonte.

Vivendi aveva sbattuto la porta del consiglio di amministrazione del gruppo italiano a gennaio, annunciando le dimissioni di questo organo del suo presidente del consiglio di amministrazione, Arnaud de Puyfontaine.

“Ora abbiamo la totale libertà di difendere l’equa valutazione” di Tim, ha dichiarato de Puyfontaine a marzo.

CDP, secondo azionista dell’operatore con una quota del 9,81%, aveva offerto per la rete ad aprile 19,3 miliardi di euro contro i circa 18 miliardi di una prima offerta, mentre KKR ha avanzato una proposta di 21 miliardi di euro, dopo i 20 miliardi precedenti.

Queste offerte restano quindi molto lontane dalle aspettative di Vivendi, che ha fissato l’asticella molto in alto stimando il valore della rete in 31 miliardi di euro.

Il Sole 24 Ore scrive che il board potrebbe chiedere un ulteriore rilancio fissando un termine a fine maggio o fine giugno. Ma Vivendi sarebbe contraria ad un terzo round di offerte.

Pietro Labriola aveva presentato nel giugno 2022 un piano strategico incentrato sulla scissione tra la rete di telefonia fissa, messa in vendita, e le attività di servizio.

La cessione della rete doveva consentire a Tim di ridurre il proprio indebitamento, salito a fine dicembre a 25,4 miliardi di euro.

In attesa del piano B

Vivendi, che non ha presentato una concreta controproposta, è ora in attesa di un piano B dal consiglio di amministrazione di Tim.

Segno del disaccordo fra le parti, il viaggio di Pietro Labriola a Parigi alla fine di aprile per discutere a voce della situazione con i vertici di Vivendi, ma l’ad non è riuscito a farsi ricevere da de Puyfontaine.

Secondo Repubblica, il comitato rischi della società, propedeutico al consiglio che inizia oggi alle 14, ha criticato Labriola per non aver approfondito altre soluzioni alternative: insomma il piano B non c’è e anche vendere la sola Sparkle (valutata 900 milioni da Cdp e 1,25 miliardi da Kkr), non basterebbe a fare fronte alle prossime scadenze dei debiti del gruppo.

Un bel rebus per il cda di Tim, che ha pure ricevuto una lettera dal fondo Bdl (padrone del 2,5% di Tim), che giudica insufficienti le offerte. E che espone il consiglio al rischio di una o più azioni di responsabilità da parte di Vivendi, e degli altri azionisti di mercato in caso di uno stallo decisionale che non permetta all’azienda di trovare una soluzione al problema del debito. Ma l’orientamento prevalente pare quello di chiedere nuove offerte, non vincolanti, verso i primi di giugno.

Ipotesi Opa su Tim

I media italiani hanno a più riprese attribuito a Vivendi l’intenzione di lanciare un’Opa su Tim, associata a fondi di investimento e a un ente pubblico, per procedere poi il delisting del gruppo.

Secondo diverse ricostruzioni, la rete dovrebbe così passare sotto il controllo pubblico, mentre la società di servizi rimarrebbe in seno a Vivendi.

Un modo per vincere per Vivendi, la cui avventura in Italia si è finora rivelata inconcludente.

Il crollo della valutazione dell’operatore italiano ha pesato sui suoi conti lo scorso anno per circa 1,7 miliardi di euro.

Il presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha più volte ribadito l’obiettivo di creare “una rete nazionale a controllo pubblico”. E di questo tema ha fatto un motivo costante della campagna elettorale.

Il governo aveva anche promesso soluzioni per Tim entro la fine del 2022. Ma ancora non ha deciso nulla, anche perché i numeri hanno detto di no alle soluzioni fino ad oggi prospettate, come indicato anche dal titolo in Borsa.

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