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TIM e il paradosso della cura Cattaneo: tagliati maxi-sprechi e subappalti, ma si protesta per il buono pasto

Raffaele Barberio

Nel corso delle ultime settimane si è sviluppata una crescente attenzione sociale a seguito degli scioperi e delle manifestazioni messe in campo dalle cosiddette “felpe rosse”, ovvero i tecnici di rete di Telecom Italia ora TIM.

Quando i lavoratori si muovono c’è qualcosa che viene reclamato o che non va ed è sempre utile guardare più da vicino.

Al centro delle proteste, stando a quanto abbiamo appreso dagli stessi lavoratori che manifestavano, ci sarebbero cose rilevanti come “…tagli agli organici e con essi la disdetta del contratto di secondo livello, unitamente ad aspetti riguardanti i buoni pasto”, diritti minori si dirà, ma importanti in momenti difficili come quelli attuali.

Non sarebbe una novità, si potrebbe obiettare. Da qualche tempo stiamo infatti assistendo, per effetto delle mutate dinamiche di mercato, ad una diffusione a macchia d’olio di queste dinamiche in tutte o quasi le aziende italiane.

Abbiamo pertanto cercato di approfondire la vicenda, per capire come stessero effettivamente le cose.

Contrariamente alle aspettative, abbiamo riscontrato elementi che contraddicevano le premesse e che forse rappresentano uno dei tanti casi di “asimmetria negoziale” tra le parti.

Il primo elemento nel quale ci siamo imbattuti è che TIM non ha in effetti disdetto l’intero contratto integrativo, come denunciato, ma solo due componenti firmate nel 2008 senza peraltro data di scadenza, con l’obiettivo di rinegoziarle comunque nell’ambito della più ampia contrattazione sindacale.

Il secondo elemento è che non ci sono esuberi, nei termini e nelle misure temute dai sindacati.

Flavio Cattaneo, amministratore delegato di TIM, ha infatti più volte ribadito, anche durante le conference call con gli analisti di mercato che, a parte i dirigenti (per i quali sono stati avviati concreti piani di accompagnamento), intende mantenere il perimetro organizzativo attuale della società. E per assicurare ciò, Cattaneo ha avviato una concreta operazione di riqualificazione del personale. Il problema da considerare, a questo proposito, è semmai il fenomeno della cosiddetta “stratificazione” di ruoli, soprattutto nelle cosiddette linee che negli anni passati hanno portato molte funzioni a crescere (in modo irregolare e non sempre giustificato) nonostante i mutati scenari economici e tecnologici e le relative dinamiche di mercato che premevano in altre direzioni.

Abbiamo voluto sentire qualche voce all’interno dell’azienda ed ecco il quadro che ne abbiamo ricavato.

Abbiamo registrato una diffusa (e forse temuta) consapevolezza interna sul fatto che molti lavori e funzioni di tipo concettuale, quelli legati alla “carta” o alla “scrivania” per intenderci, non esistono più.

Cosa vuol dire ciò? Vuol dire che occorrono invece altre figure, che se vi è un restringimento in un’area vi possono essere esigenze ed ampliamenti di opportunità in altre.

Ma non sappiamo quanta consapevolezza ci sia effettivamente su quest’ultimo aspetto all’interno di TIM. Qui, a nostro avviso, dovrebbe battere Cattaneo. Se in due anni la copertura in fibra ottica è cresciuta di tre volte, passando dal 24% al 60% del Paese, chi venderà i nuovi servizi se non ci sono figure commerciali e di mercato a sufficienza? E questo è sì un problema di prospettiva di mercato.

Ora ci rendiamo conto che la rivendicazione sindacale punti a determinati obiettivi, ma in una società come quella in cui viviamo (e questo vale per chiunque in qualunque settore) tutti, dico tutti, dobbiamo essere pronti a imparare, imparare sempre e per tutta la nostra vita lavorativa, seguendo l’evoluzione dei servizi e delle tecnologie e prendendo la forma del contesto di mercato nel quale la propria azienda si trova.

Se consideriamo questi aspetti alti, strategici e di sviluppo, vorremmo dire che ci pesa molto doverci soffermare sulla impuntatura sindacale che reclama il buono pasto anche nei giorni in cui il lavoratore è in trasferta ed è già autorizzato a mangiare fuori a spese dell’azienda. Siamo seri, per favore, o il mercato spazzerà via ciascuna di queste voci impropriamente rivendicative: danno un’idea del mondo del lavoro che non è quella reale e responsabile.

Ma torniamo agli elementi di scenario.

Nell’ultimo trimestre, TIM ha registrato dopo 9 anni una crescita del fatturato e dopo 7 anni, a luglio, il margine operativo lordo è tornato a mostrare un avanzamento. Sono elementi importanti, giustamente segnalati dai media, ma forse scarsamente recepiti nell’ambito delle relazioni industriali interne.

Eppure, in tutti questi lunghi anni di rallentamento del business e precedenti all’arrivo di Cattaneo (negli ultimi 5 anni, dal 2011 al 2015, in cui l’azienda ha avuto Marco Patuano come amministratore delegato, l’allora Telecom Italia ha perso circa il 30% del fatturato), forse nessuno tra coloro che oggi reclamano la meticolosa difesa di aspetti rivendicati si è lamentato come avrebbe dovuto e potuto, anzi.

E così assistiamo ad uno strano paradosso del momento: la crescita delle lamentele proprio nel momento in cui i conti dell’azienda verso cui si reclama crescono e segnano una inversione di tendenza che mercato e azionisti ignoravano da anni.

Per tornare a far crescere i margini, Cattaneo ha ad esempio tagliato sprechi e contratti che, come spesso succede in molte aziende, si erano sviluppati creando sacche di “dispersione”, comode per fornitori e i loro interlocutori, sulle quali incuria, disattenzione e lo stesso scorrere del tempo avevano assicurato una protezione di consuetudine e legittimità. Ha, di fatto, ripreso il filo d’azione degli anni di Bernabè, quando i costi, in 6 anni, furono ridotti di 5 miliardi e il debito passò da 34 a 28 miliardi.

Ma registrare il risparmio di oltre il 40% sulle forniture aziendali, di 20 milioni di euro sul taglio di spese di trasporto (dai taxi agli aerei privati) e di oltre 100 milioni di euro risparmiati sugli immobili e sul taglio di filiere lunghe suona come inversione di tendenza in un’azienda in cui orientamenti e procedure stavano in questi ultimissimi anni andando in altre direzioni.

Inoltre, e questo grida vendetta per chi come noi conosce bene i settori di riferimento, sembrerebbe che negli anni passati molti spazi pubblicitari di TIM venissero gestiti tramite sub-appalti affidati a società di persone (sas o snc, si avete inteso bene). La nuova cura ha già dato l’antibiotico al malato e sono stati risparmiati senza colpo ferire oltre 7 milioni di euro già solo rinegoziando i rapporti con le concessionarie di pubblicità. Parallelamente, ci è stato spiegato in dettaglio il funzionamento di una funzione dedicata a snellire le 11.000 procedure e i 180.000 documenti operativi, per recuperare qualità ed efficienza.

Infine, per la gioia dei consumatori, ci sarà l’installazione delle nuove linee anche nel fine settimana, quando il cliente è a casa e ha più tempo da dedicare.

Il quadro che ne emerge ha tratti di familiarità.

Quando si fa qualcosa per migliorare, quando ci si muove per ottimizzare e diminuire i costi, aumentando l’efficienza e rivalutando il ruolo e la contribuzione delle persone, si rischia spesso di toccare sacche di piccoli e grandi privilegi incrostati negli anni.

Sembra una metafora del paese reale. Ed è evidente che fare ciò può dar fastidio a qualcuno.

Pensiamo che in un processo di rilancio così delicato che ha bisogno di ferma determinazione per riuscire, i dipendenti di TIM, come dice la pubblicità, dovrebbe guardare con ottimismo, con spirito di squadra, rigettando facili strumentalizzazioni, perché la faticosa marcia di rilancio di una grande azienda come TIM ha bisogno di quella spinta e quel coraggio e il perseguimento di quegli obiettivi che la cultura del cambiamento impone costantemente al nostro vivere quotidiano, di cui anche le aziende sono parte importante.

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